XXI. Esserci

Zalia

Tutta la villa era in subbuglio, soprattutto quando Arthur e Robert avevano fatto ritorno, assieme a sua sorella, tenendo tra le braccia Eris semi cosciente.

Altair sgranò gli occhi, quando vide lo sguardo spaventato di Leon ed Eris svenuta in braccio a Robert. Si catapultò nella loro direzione e si inginocchiò davanti al divano, dove avevano disteso sua sorella. Le accarezzò i capelli. «Cos'è successo?»

Pochi secondi dopo, anche Andromeda varcò l'ingresso di casa, correndo verso i fratelli. Posò una mano sulla spalla di Altair. Lo sguardo era preoccupato e Zalia provò un moto di tenerezza, osservando l'amore che impregnava le relazioni tra fratelli.

«Hanno provato a rapire Leon ed Eris, volevano usarli come merce di scambio.» Arthur fece sedere su una poltrona anche Michael, che tremava nervoso. Gli si rivolse con dolcezza, poi. Gli sistemò un ciuffo di capelli all'indietro. «Hai avvisato casa che resterai a dormire qui? Così ti aiutiamo a calmarti.»

Il ragazzo annuì con un flebile gesto del capo. Il suo sguardo guizzò subito in direzione di Eris, che aprì appena gli occhi, sbattendo confusa le palpebre. Sembrava sul punto di gridare, ma quando riconobbe Altair, scoppiò a piangere e si aggrappò a lui, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo forte.

Zalia sentì una morsa attanagliarle le viscere, mentre Yen la tirava a sé.

Altair tremava, era strano vederlo così, senza difese è completamente in balìa dei propri sentimenti. Sembrava reale e si sentì in colpa per averlo definito un pezzo di giaccio. Trascorrendo del tempo con lui, le sembrava chiaro che ci fosse molto di più sotto quegli strati di rabbia. Le accarezzava i capelli, sussurrandole di stare tranquilla perché adesso era a casa, con loro, e nessuno le avrebbe fatto del male.
Accarezzò le guance di Eris, asciugandole le lacrime, e le diede un bacio sulla fronte, socchiudendo appena gli occhi.

Sua zia Eleonore corse in salotto, tenendo tra le mani un vassoio. «Ho preparato un po' di the caldo per tutti. Ne avremo bisogno. Forza sedetevi.»

Tutti annuirono. Izar, che era stato tutto il tempo al suo fianco, tenendole la mano, si tirò in piedi. Prese alcune coperte e le sistemò sulle spalle di Leon e Michael, che bevevano il the, fissando il vuoto con uno sguardo disincantato, distante dalla realtà.

Robert se ne stava a scambiarsi strane occhiate con Arthur, entrambi sembravano piuttosto arrabbiati e infastiditi. Zalia si chiese se avrebbero dovuto mostrare loro il piccolo furto subito nell'ufficio di Orion o lasciare che se ne accorgessero da soli. D'altronde, fino a prova contraria e ad occhi indiscreti, neanche loro dovevano essere a casa. Erano accorsi tutti non appena avevano saputo dell'incidente.

Sentì i conati di vomito risalire lungo la gola al solo pensiero che tutti fossero in pericolo a causa sua e del patto col diavolo, stretto con quel soldato folle. Iniziava a credere che voleva rapire davvero Leon ed Eris per usarli come scambio con la formula, per assicurarsi che non si sarebbe presa gioco di loro.
Altair aveva ragione alla fine. Gliel'aveva detto fin dal primo momento che era stata una mossa insensata e completamente folle. Strinse i pugni in una morsa, sentì le unghie incastrarsi nei palmi. Iniziò ad agitare la gamba su e giù, in tensione.

Izar si sedette di nuovo al suo fianco. Le posò la mano sulla gamba e le sorrise gentile. Si perse per qualche istante a fissare i suoi occhi chiari, calmi come l'acqua di mare durante una giornata estiva e tranquilla. «Tranquilla, non è colpa tua.» Le sussurrò a bassa voce.

Zalia fece un sorriso tirato. Era sempre colpa sua e della sua impulsività.
Se c'era il cinquanta per cento di possibilità di sbagliare, allora lei si tuffava a capofitto in quell'opzione. Deglutì, mandando giù un groppone troppo forte per poter parlare senza rischiare di piangere.

Altair la stava osservando dal divano di fronte. Era difficile captare i suoi sentimenti. Era tornato ad essere imperscrutabile ed ebbe la sensazione che potesse odiarla in modo viscerale. Se i suoi fratelli erano stati in pericolo, in fondo, era a causa sua.
Interruppe il contatto visivo, poi, rivolgendosi a Robert, che stava accarezzando la schiena di Eris. «Cos'è successo? Vi va di parlarne?»

Eris sospirò piano, soffiando sul the ancora caldo. Tremava un po' in tensione e Altair le prese la mano, intrecciando le loro dita.

«Non trovavamo Leon.» Si intromise Michael. Fissava i propri piedi. Zalia lo conosceva poco, ma sapeva quanto fosse sempre allegro e con un sorriso a illuminargli il volto. Erano solo dei ragazzini, non meritavano di essere coinvolti in quel gioco più grande di loro, così pericoloso che ormai aveva lei stessa paura di essersi lasciata immischiare. «Così l'abbiamo cercato ovunque e abbiamo visto una figura allontanarsi. Lo abbiamo seguito e ci ha legati per poi portarci via... io sarei stato trovato dai vigili del fuoco e avrei dovuto avvisarvi.»

Andromeda si sporse in avanti. Tutti avevano l'attenzione su di lui. «E su cosa?»

«Che se aveste voluto rivedere i vostri fratelli, avreste dovuto consegnargli la formula tra un paio di giorni... Non so a cosa si stesse riferendo, davvero.»

Arthur inarcò un sopracciglio. Si scambiò un'occhiata con Robert, prima di prendere a parlare. «Quale formula? Perché Max voleva uno scambio?»

Izar si irrigidì. Altair alzò lo sguardo su di lei. Zalia era consapevole che dicendo la verità, tutti l'avrebbero vista con uno sguardo diverso. L'avrebbero accusata di essere un'irresponsabile. Se n'era subito pentita. Sapeva che per avere risposte sulla sua famiglia, aveva quasi rischiato di distruggerne un'altra ed era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare. Iniziò a mordicchiarsi il labbro, fino a spaccarlo. Il sapore metallico del sangue le invase la bocca. Prese un grosso respiro per parlare.

«Perché io gli avevo promesso che gliel'avrei portata.» Altair interruppe il silenzio.

Zalia sgranò gli occhi. Cercò disperatamente un contatto con lui, ma il ragazzo evitò accuratamente il suo sguardo. «Ci ha contattati e voleva uccidere noi e Zalia e Yen se non gli avessimo consegnato questa formula. Non sapevo a cosa diavolo si riferisse, ma gli ho promesso che gliel'avrei portata.»

Robert si accigliò. «E perché non me ne hai parlato, Al? È una storia seria, i tuoi fratelli avrebbero potuto morire.»

Altair non si scompose, eppure a Zalia non sfuggì un lampo di delusione e dolore. Stava crollando su se stesso, fingendo ancora una volta di stare bene e di avere tutto sotto controllo. Altair era un castello di sabbia e si chiese quanto ancora avrebbe potuto resistere alla tormenta del suo animo. «Non lo so... volevo risposte su tutto. Sul perché i genitori delle ragazze sono scomparse, su, beh, sai chi-» evitò accuratamente di citare Orion. Zalia notò, però, che Eris si scambiò una veloce occhiata con Andromeda. «... gli avrei consegnato una formula falsa. Infatti ve ne avrei parlato in questi giorni. Organizzato l'incontro, voi due potreste osservarci da lontano e intervenire nel peggiore dei casi.»

Robert scosse il capo. Si massaggiò nervosamente le tempie. «Sentite, facciamo così: adesso andiamo tutti a dormire e a riposare. Domani, a mente lucida, organizzeremo un modo per toglierci Max dai piedi.» Si tirò in piedi e si allontanò dal salotto per primo. Si voltò a guardare Arthur, facendogli un cenno col capo.

L'uomo seguì con lo sguardo l'amico e annuì. Accarezzò i capelli di Altair, con un gesto affettuoso. Sembrava triste e preoccupato. «Non devi fare mai più nulla da solo, Al. Devi parlarci. Non voglio che vi succeda nulla.» Si rivolse poi ad Eris e a Leon. «Ce la fate a salire in camera o vi accompagniamo noi?»

I gemelli scossero il capo. «Stiamo bene.»
Con calma, quella seduta si sciolse. Leon si mosse verso la propria stanza con Michael. Gli avrebbe prestato un pigiama pulito e l'avrebbe fatto dormire nel letto a castello della sua camera. Eris abbracciò Altair, come a volerlo rassicurare di non avercela con lui. Poi si avviò verso le scale, dopo aver salutato tutti, seguito da Andromeda.

Zalia si tirò in piedi. Voleva parlare con Altair, ma il ragazzo scosse il capo. Se ne andò in cucina, come a volersi isolare. Si sentì così crudele. Le mani presero a tremarle. Pur di difenderla, si era assunto delle colpe che non gli appartenevano. Altair che aveva sempre difeso a spada tratta la sua famiglia, adesso era colui che l'aveva messa in pericolo. Non riusciva a sopportare un fardello simile.

«andiamo a dormire, dai. Domani è un altro giorno.» Yen le accarezzò i capelli.

«Ti raggiungo dopo.»

Attese che sua sorella si fosse allontanata e crollò sul divano del salotto. Izar le si avvicinò a tentoni, con calma. Sembrava stesse valutando le parole giuste. Le accarezzò il braccio. «Zalia, non potevamo sapere che sarebbe successo tutto questo. Non è colpa tua.»

«Smettila.»

Izar aggrottò la fronte. «Di fare cosa?!»

Zalia sbuffò. Si mise a sedere. Voleva piangere e urlare. «Di trattarmi come se fossi perfetta! Faccio solo pasticci, Izar! Eris e Leon potevano non tornare mai più a casa per colpa mia! Non posso stare tranquilla! I miei genitori e qualsiasi cosa abbiano fatto, mi hanno offuscata e ho messo in pericolo le uniche persone che si stanno preoccupando per me! È la tua famiglia, cazzo! Sono un'idiota e adesso la situazione andrà solo peggio. Andrà peggio e sarà colpa mia! Devo risolvere questa storia, da sola.»

Izar cercò di fermarla, mentre si tirava in piedi, ma lo strattonò, allontanandolo. «Lasciami stare. Ti prego.»

Vide il ragazzo abbassare lo sguardo, stringendosi nelle spalle. Fece un passo indietro, arretrando, e alzò le mani. La lasciò sola, come aveva chiesto.

Zalia sospirò piano. Indossò il giubbotto e uscì dalla villa, dopo aver preso in prestito le chiavi dell'auto di Altair, sistemate in una ciotola di ceramica all'ingresso. Si accomodò sui gradoni, ancora un po' umidi dalla pioggia. Nascose la testa tra le ginocchia e individuò l'auto di Altair. C'era un'idea che le frullava nella testa.
Coinvolgendo ancora gli altri, avrebbe rischiato di metterli in pericolo. Voleva trovare quella formula o per lo meno qualcosa che somigliasse vagamente. Almeno avrebbe avuto un oggetto da scambiare con Maximillian.
Sempre che la lasciasse ancora viva. Si tirò in piedi.

«Dove vuoi andare?» Altair era alle sue spalle. Iniziava a credere che avesse lo stesso passo felpato di un gatto. Probabilmente avrebbe avuto un'ottima carriera da ladro, nel caso quella da medico non fosse abbastanza.

«Da nessuna parte.»

«Con la mia auto, sai, sarebbe gradito sapere dove vuoi andare.»

«Perché ti sei preso la colpa?»

Altair le sfilò le chiavi da mano, dirigendosi verso la propria auto. Le fece cenno di seguirlo. Zalia iniziava a credere che sotto quello strato di rabbia e rancore, ci fosse un ragazzo ancor più curioso di lei, terrorizzato di comportarsi come un incosciente. Obbedì, senza lasciarselo ripetere ulteriormente. Altair mise in moto l'auto, elettrica, quindi piuttosto silenziosa, e iniziò a guidare.

Zalia sbuffò piano. Detestava i silenzi. Sapeva che Altair, al contrario, ne fosse un grande estimatore. «Allora?»

«Allora cosa?»

«Al, non fare l'idiota. Perché ti sei preso tu le mie colpe?»

Scrollò le spalle. «Perché, comunque vada, ci siamo tutti in questa storia. Robert e Arthur mi hanno sempre visto come il figlio perfetto che non sbaglia mai. Un mio errore è sempre più perdonabile di quello di una grandissima ficcanaso e combinaguai.» Si fermò a un incrocio. «Allora, dove volevi andare?»

Zalia si morse l'interno guancia. Si aspettava che la detestasse. «A casa mia.» Gli indicò la strada.
Altair rischiato di non rivedere più i suoi fratelli a causa sua. Giocherellò con le dita. «Scusami... mi dispiace.»

«Non è colpa tua. Non potevi sapere che sarebbe finita così.»

«Tu però avevi detto che era pericoloso.»

«Io non sono un combinaguai nato, Zalia.» Sospirò stanco, tenendo lo sguardo fisso sulla strada. «È normale, sei emotivamente coinvolta nella storia dei tuoi genitori e fai scelte avventate. Se avessi avuto sangue freddo, non avresti preso quella decisione. So che non vuoi che succeda nulla a nessuno, ci mancherebbe.»

« Sei troppo comprensivo.»

Fece un sorriso tirato. Ci lesse tutto il suo dolore. «Quando ti ritrovi a crescere i tuoi fratellini a soli quindici anni, impari a sapere per cosa arrabbiarti. E ci sono cose che non posso controllare...»

Arrivarono davanti alla sua vecchia casa. Zalia tremò appena sul posto. Fece tintinnare le chiavi nella tasca della giacca. Era strano ritornarci, i ricordi sembravano pronti ad affogarla, a trascinarla giù nell'oblio. Restarono così per cinque minuti, in silenzio, a fissare quella piccola villetta con giardino. Aveva paura a metterci di nuovo piede, ma sapeva che alcune delle risposte erano lì, non poteva tirarsi indietro. Altair la osservò, i suoi occhi di ghiaccio percorrevano la sua figura. «Perché sei voluta venire qui?»

Se ci fosse stato Izar, le avrebbe dato un abbraccio, le avrebbe detto che se non ce la faceva era tutto okay. Altair aveva uno strano modo di tenerla distratta, ma concentrata. L'aveva riportata al suo obiettivo. «Credo che nella fretta del trasferimento non abbiamo visto bene. E dopo aver visto tutte quelle mattonelle che nascondono cose importanti, come nell'ufficio di tuo fratello, ho iniziato a chiedermi se anche i miei conoscessero metodi simili.»

Altair annuì. «Va bene», si guardò intorno «allora entriamo e vediamo cosa troviamo. Massimo un'ora e torniamo. Arthur potrebbe accorgersi che non siamo a casa ed è tardissimo.» Si fermò. Si morse un labbro. «Te la senti?»

«Andiamo. O sei tu il cagasotto? È pur sempre la notte di Halloween.» Scese dall'auto.

Altair roteò gli occhi al cielo. «Rompicoglioni.»

Zalia gli fece la linguaccia. Si avvicinò alla porta e inserì le chiavi nella toppa. Fu abbastanza sorpresa che fosse aperta. L'idea che qualcun altro potesse aver avuto la sua stessa idea la terrorizzava. Scosse il capo e, insieme ad Altair, entrò.

Era tutto come al solito. Perfettamente in ordine. Sentì una morsa attanagliarle le viscere, mentre fissava il solito divano, dove trascorreva le serate a guardare film horror con suo padre, mentre sua madre lo ammoniva che poteva restare turbata dagli incubi.
Gli occhi le si inumidirono. Si portò una mano ad asciugare una lacrima solitaria.

Altair serrò la mandibola. Sembrava volesse starle vicino, ma che non ne avesse abbastanza il coraggio. Zalia credeva che non fosse abituato ad essere così espansivo con gli altri, così come lo era coi fratelli. «Da dove iniziamo?»

Zalia si guardò intorno. Aveva scavato in ogni angolo di casa, quando insieme a Yen aveva trovato un laboratorio nel seminterrato. Non credeva nemmeno avessero un seminterrato, la porta, che portava al piano inferiore, era nascosta dietro a un armadio della cucina. Gli fece cenno di seguirla e scesero le scale. Ormai era completamente vuoto.
C'erano solo ampolle vuote e scatoloni contenenti vecchi telefoni inutilizzabili.

«Come avete fatto a non accorgervene mai?»

«Avevamo traslocato da qualche anno, ma Yen era sempre fuori per l'università. Aveva un appartamento nell'università, per non andare avanti e indietro e perdere tempo. Io sono sempre stata abbastanza distratta. Per di più i miei, a quanto pare, sapevano nascondere bene e mentire altrettanto...»

Altair le posò una mano sulla spalla. «È strano, ma ti ci abitui. A volte la nostra famiglia mente per proteggerci. Mi son detto sempre questo su Orion. Lo odio per avermi mentito, ma mi ha fatto sempre sentire felice, non avrei mai detto che andava in giro ad uccidere e a minacciare.» Scrollò le spalle rassegnato.

Trascorsero molto tempo in quel vecchio laboratorio abbandonato, ma ogni tipo di traccia sembrava essere stata nascosta ed eliminata con accuratezza. Zalia si sentiva esasperata. Si portò le mani in volto, lasciandosi cadere a terra.
Doveva esserci pur qualcosa di utile, si rifiutava di credere che fosse tutto inutile.
Socchiuse gli occhi, cercando di ragionare.

Ricordò il panico di suo padre, quando versò accidentalmente un po' di latte sul suo portatile. Lo trattava come fosse la sua unica ragione di vita. Non la fece mai sentire in colpa, ma trascorse la nottata a  recuperare ogni file. Lo aggiustò per giorni.

Non l'aveva mai ritrovato. Si tirò in piedi e salì frettolosamente le scale, rischiando quasi di inciampare.

«Ehi! Dove vai?» Altair la seguì subito, come un segugio. Aveva l'impressione che neanche lui si fidasse più di tanto del suo istinto di sopravvivenza. La cosa la fece quasi sorridere.

Iniziò a cercare tra gli armadietti della cucina, tra le mensole. Si mosse nervosa nella camera dei genitori, ignorando il magone di malinconia, che la assalì come un macigno sulle spalle. Provò a battere contro ogni mattonella, nell'assurda speranza di trovare qualcosa.

Sbuffò avvilita. «Mi dici cosa stiamo cercando? Sai, non mi hanno ancora dotato del super potere della lettura delle menti, non sono ancora telepatico... »

Zalia lo spinse di lato, uscendo dalla camera da letto. Si guardò intorno, nel corridoio. Andò nella propria camera e sorrise, osservando i due letti affiancati: il suo e quello di Yen. Accarezzò la scrivania in legno scuro. Ricordava ancora suo padre come fosse soddisfatto dopo aver smontato un vecchio mobile, per costruirle una scrivania decente, non piccola come tutte quelle che vedevano nei negozi. Sua madre era scoppiata a ridere, augurandosi di non doverlo far operare per un'ernia.
Zalia, ancora bambina, aveva promesso a suo padre che l'avrebbe operato lei nel peggiore dei casi.

La mia dottoressa. Così la chiamava.

Altair la fissava in silenzio sull'uscio della porta, restandosene poggiato alla parete, con le braccia conserte al petto.

Si mosse nervosa sul posto. Osservò il proprio letto. Era ancora tutto in ordine. Fissò il vecchio pupazzo poggiato contro il cuscino. Un'orsetto con uno stetoscopio e sorrise amareggiata. Inclinò poi il capo.
Sul comodino accanto c'era una vecchia foto di cena di Natale con tutta la famiglia. Era la stessa che aveva sua zia.
Si avvicinò e la accarezzò. Girò la foto e assottigliò lo sguardo. C'era ancora la data.
Doveva essere di più di dieci anni prima, eppure, sebbene sullo sfondo ci fosse un albero di Natale, con tutti loro con stupidi maglioni natalizi, la data riportata era diversa.

Trentuno ottobre mille novecento novantotto.

Prese il pupazzo, istintivamente, e individuò una cerniera. La aprì e, scavando all'interno, trovò una chiavetta usb. Sgranò gli occhi, voltandosi a guardare Atlair.
Afferrò la foto, sapeva che quella data non potesse essere un semplice caso. «Forse abbiamo la soluzione.»

Altair le sorrise e corsero via, lasciando la casa alle spalle. Salirono in auto. Il viaggio era silenzioso, carico di elettrica eccitazione. Zalia non faceva altro che rigirarsi tra le mani la chiavetta. «Non può essere un caso che fosse nascosta in un pupazzo.»

«Ci sarà qualche informazione importante.»

«Magari la formula! Sarebbe grandioso, riuscirei a toglierci Maximillian dai piedi-»

«E credi che a loro basti? Non penso troverai i tuoi genitori così. Se ci fosse la formula, dovremmo ragionare bene su come comportarci...»

Zalia aggrottò la fronte. Forse aveva ragione.
Però era stanca di mettere in pericolo la famiglia Grey. Avevano fatto già molto per lei.

Parcheggiarono l'auto e si incamminarono verso la porta di ingresso. Entrambi si paralizzarono, quando Robert li stava aspettando sull'uscio, con le braccia incrociate al petto.
L'uomo abbassò lo sguardo sull'orologio. «Cinquantatré minuti.» sbuffò scocciato. «Adesso mi sembra chiaro che mi dobbiate una spiegazione.» Si fece di lato per farli entrare e richiuse la porta alle spalle. «Niente più segreti.»

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