II. In Memoriam

𝐓𝐫𝐞 𝐦𝐞𝐬𝐢 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚

Altair

«Andiamo! Sveglia, muoviamoci dai.» la voce di Arthur era insopportabile, soprattutto quando urlava a squarciagola. A volte si divertiva a raccontare che lo avessero cacciato dall'esercito e dalla Serpents Agency perché gridava troppo.
Arthur rideva divertito quando raccontava quella stupida storia, poi sgusciava via dal discorso, forse troppo doloroso e pesante, con qualche battuta di circostanza.

«Glielo vuoi dire anche tu che voglio dormire cinque minuti in più?» Leon nascose il volto nel cuscino, cercando di crogiolarsi nelle calde coperte.

Altair osservò i capelli scuri del fratello, una matassa deforme spalmata sul cuscino, mentre gli dava le spalle e fingeva che quella sveglia assatanata non fosse per lui. «Dai Leon, altrimenti Arthur è capace di entrare qui e sparare.» Altair ridacchiò, restandosene poggiato al muro. Era andato in camera di suo fratello per poterlo svegliare con calma. Dimenticava come la tranquillità non facesse parte del vocabolario di casa. Poteva sentire anche Anita, il loro rottweiler abbaiare al piano di sotto, pretendendo la propria colazione evidentemente.

Leon si mise immediatamente seduto, scattando come un giocattolo a molla. Osservando i suoi occhi color nocciola arrossati dal pianto, Altair sentì la rabbia ribollire nelle vene. Se avesse potuto avrebbe abolito quel giorno, il sei ottobre, quando il loro fratello maggiore Orion era morto. In un inseguimento mortale con la polizia, la sua moto si era schiantata contro un ponte ed era volato giù dalla scogliera, nel mare. Avevano ritrovato solo alcuni pezzi della sua vecchia motocicletta, ma il corpo era stato inghiottito dalle fauci delle correnti marine. Tutti avevano seguito quell'inseguimento per televisione. Orion aveva fatto sprofondare la nomea della loro ricca famiglia, avevano perso quasi ogni cosa. Già i Grey erano abbastanza detestati per le loro origini. Quella storia aveva peggiorato solo le loro precarie condizioni.
Adesso erano solo i fantasmi di un tempo e ovunque, che fossero a scuola o all'università o a lavoro, li conoscevano, li guardavano con strane espressioni: un misto tra disappunto e compassione, nonostante tutto. Orion aveva ucciso, a loro insaputa, il segretario degli affari esteri ed era stato uno dei criminali più ricercati per mesi, se non anche traditore dello stato. Probabilmente, se fosse stato vivo, si sarebbe vantato del suo curriculum.
Altair lo detestava. Non riusciva a perdonarlo. Aveva rovinato tutti loro e non poteva sopportare che i suoi fratelli piangessero la sua morte.
Li aveva abbandonati e lasciati nella merda.

Si avvicinò piano, cercando di ignorare il singhiozzo sommesso di Leon. Lo vide mentre si asciugava una lacrima solitaria con la manica del pigiama. Serrò la mandibola. «Non dovresti piangere per lui...» Inclinò il capo e si sedette sul letto del fratello. Sebbene ormai avesse sedici anni, Leon era sempre stato il più dolce e sensibile della famiglia. Aveva sempre guardato ad Orion come un esempio, con ammirazione, ed era l'unico convinto che non fosse un mostro come tutti volevano dipingerlo. «...Ci ha abbandonati, ci ha lasciati nella merda ed è morto, anche nel peggiore dei modi.»

Lo sguardo di suo fratello si indurì. Lo vide aggrottare la fronte e scuotere il capo. Si liberò delle coperte calde, scalciandole via. «Perché ne parli così?» Si alzò e iniziò a camminare nervoso per la stanza. Acciuffò di fretta un maglione caldo e dei pantaloni, sembrava volesse scappare dalle sue parole. «Orion era nostro fratello-», il labbro inferiore prese a tremargli nervosamente. «...ed è morto. Abbiamo sempre detto che a qualsiasi costo la famiglia viene per prima. E Orion era la nostra famiglia. Quando i nostri genitori e Pollux sono morti, è stato lui ad occuparsi di noi, non ci ha mai fatto mancare nulla. È diventato all'improvviso il fratello maggiore e il padre e la madre che avremmo voluto.»

Altair scosse il capo. «E poi cos'ha fatto, eh? Ha iniziato a bere. Era sempre violento, te lo ricordi? Ti ricordi com'è stato mandato via dall'esercito, vero?» gli puntò un dito contro. «E allora lui ha ucciso un politico, perché non era d'accordo. È diventato un cazzo di terrorista e ci ha lasciati qui a marcire. Se i tuoi compagni a scuola ti prendono in giro, Leon, è colpa sua.»

Suo fratello indietreggiò. «Ma-»

«Dov'era quando la famiglia doveva venire al primo posto, eh? Noi siamo gli unici che continuiamo a farlo.»

Leon abbassò lo sguardo. Quando lo rialzò, però, era arrabbiato. Lo vide stringere i pugni. «Allora non venire con noi al cimitero se lo odi tanto. Era mio fratello e ogni giorno mi manca. Spero sempre che bussi alla mia finestra, arrampicandosi sull'albero come quasi ogni sabato sera, e mi dica che ha dimenticato le chiavi di casa, ma mi ha portato delle liquirizie.» Aprì la porta e se la richiuse alle spalle.

Altair fece uno sbuffo scocciato e si passò una mano tra i capelli scuri. A scuola, quando suo fratello morì dieci anni prima, gli avevano consigliato di parlare con qualche esperto. Ci aveva provato, ma sembrava solo che lo compatissero. Aveva solo quindici anni e si era ritrovato a dover portare avanti la famiglia. Certo, Arthur e Robert, i migliori amici di suo fratello, lo avevano aiutato. Si erano occupati di tutto, in nome dell'amicizia con Orion, perché 'siamo fratelli, sempre e comunque', stupide stronzate da soldati.

Uscì dalla camera e iniziò a scendere le scale, raggiungendo il piano inferiore, dove sentiva già le voci dei suoi fratelli raggiungerlo.
Anita gli corse incontro, scodinzolando appena. Si abbassò sulle ginocchia e accarezzò il cane, che poggiò il muso sulle sue gambe.
A quanto pareva, era l'unica felice di vederlo quel mattino.

Per lo meno erano riusciti a rifugiarsi ancora nella vecchia e altezzosa villa di famiglia -strano che fosse ancora in piedi-. L'avevano fatta costruire i loro nonni, appassionati di astronomia, tant'è che ogni loro figlio aveva i nomi di una stella o di una costellazione o di un pianeta, e i loro genitori avevano mantenuto la tradizione.
I loro nonni, però, non erano mai stati delle persone normali, - ormai credeva che la normalità fosse un concetto sopravvalutato- la loro nomea di criminali violenti e pazzi li precedeva.

Camminava scalzo, gli piaceva sentire quella fredda sensazione solleticargli i sensi. Entrò in cucina, dove quasi tutti erano impegnati a far colazione.
Leon di solito preferiva prepararsi prima, così da non dover litigare per chi dovesse entrare per primo in bagno.
Saggio.

«Oh ma buongiorno. Mi avete fatto sgolare. La prossima volta compro un megafono.» Arthur gli sorrideva tranquillo. Era sempre felice, pronto a sorridere a tutti, eppure la sera, quando si lasciava cadere sul divano con un bicchiere di whisky in mano, tornava ad essere malinconico. Arthur aveva solo sua sorella Lily, Robert e Orion.
Gli era rimasto Robert, alla fine, ancor più sulle sue del solito. Forse vedeva in tutti loro, in qualche modo, la sorellina morta troppo giovane. Non voleva mai parlarne di cosa le fosse successo e Altair era abbastanza convinto che la sera, quando era solo, avesse qualche allucinazione in cui rivedeva quasi il suo fantasma.
Lo sentiva bisbigliare piano, sotto voce, ma non interveniva mai, né origliava. Credeva di doverlo lasciare da solo col proprio dolore.

«Leon non voleva alzarsi.»

«O forse avete litigato come ogni anno in questo giorno?» Eris lo guardava sprezzante. Lei e Leon erano gemelli, legati da un invisibile filo che li faceva apparire quasi due corpi ma un'unica mente e un solo cuore. Si difendevano a vicenda, a spada tratta, e fin da bambini nascondevano ogni scherzo o guaio.

«Già pronta con le accuse, eh?» Si sedette al tavolo circolare, accanto ad Andromeda, che lo guardava in silenzio. «Hai qualcosa da recriminarmi anche tu? Così facciamo una lista per oggi...»

«Non lo so, Al, sei abbastanza cazzone da risponderti da solo.» Andromeda si versò del latte caldo e Altair placò l'impulso di tirarle quegli stupidissimi e lunghi capelli biondi. A volte il ragazzino che era in lui voleva urlare. L'aveva ucciso dieci anni fa, quando a quindici anni si era ritrovato tutta la famiglia sulle spalle.

Arthur li guardava divertito, tenendo le braccia incrociate al petto. «Puoi non venire, Al. Sappiamo tutti cosa pensi.»

Leon varcò l'ingresso della cucina. Salutò tutti e andò a sedersi accanto ad Eris, nascondendosi al suo fianco e sentendosi forse davvero a casa.
Altair amava la sua famiglia, erano ancor più uniti soprattutto dopo la morte dei genitori, di Pollux -il maggiore- e poi di Orion. Andromeda a volte si divertiva a scommettere chi di loro sarebbe stato il prossimo a morire di morte precoce ed era convinta che sarebbe stato lui stesso perché il maggiore.
L'aveva definita la loro personale maledizione.
Se fosse morto, poi sarebbe toccato a lei. Aveva anche stilato una serie di date ipotetiche. Era il suo modo di esorcizzare la paura.

Solo il sei di ottobre si detestavano. Ognuno di loro si crogiolava nel dolore a modo proprio, ognuno gestiva quel lutto -mai superato- diversamente.

«Che poi, potresti almeno portargli rispetto giusto il giorno in cui lo ricordiamo. Poter cambiare un po' la cantilena con cui ci ammorbi da una vita.» Eris sgranocchiò un biscotto con le gocce di cioccolato. I suoi occhi scuri lo scrutavano con attenzione.

Altair roteò appena gli occhi al cielo. Decise che sarebbe stato meglio cambiare argomento. «Hai sistemato la tua camera?»

Eris si imbronciò. «Non succede nulla se la sistemo dopo, quando saremo di ritorno.»

«Cosa ti costa mettere in ordine? Ogni parte di questa casa è a soqquadro.» Accarezzò Anita, accucciolatasi al suo fianco.

«Oh ma ti prego!» Andromeda si intromise. «Non succede nulla se non sistemiamo i maglioni un ordine cromatico o i libri in ordine d'altezza. Al, sai che si chiama disturbo ossessivo compulsivo?»

A volte dimenticava quanto i suoi fratelli riuscissero a farlo regredire mentalmente, come un bambino. «Cosa hai detto?»

«Bambini, diamoci una regolata, almeno per oggi, vi supplico.» Arthur era stanco, si passava smaniosamente una mano in volto.
Ed era appena iniziata la giornata.

Altair lanciò un'occhiataccia a sua sorella, prima di tornarsene in silenzio.

Si voltarono tutti un'ultima volta verso il loro nuovissimo acquisto di famiglia: Izar, non appena sentirono i passi in avvicinamento. Erano stati tutti sconvolti nello scoprire che Pollux, il maggiore, a sedici anni avesse avuto un figlio e che l'avesse tenuto nascosto a tutta la famiglia, lasciando che se ne prendessero cura la allora fidanzata e i suoi genitori. Adesso Altair si spiegava come mai non fosse quasi mai presente a casa.
Circa un anno prima, Izar aveva deciso di presentarsi a tutti loro, come un Grey, lasciando che si ricongiungesse con ciò che restava della sua famiglia. Aveva mostrato loro le foto di Pollux e sua madre quando erano giovani, con lui in braccio.
Aveva solo tre anni quando suo padre, e il loro fratello, era stato trovato morto fuori ad un locale, dopo essere stato accoltellato da uno sconosciuto.

«Buongiorno ragazzi...» Izar si grattò dietro la nuca. Tecnicamente era il loro nipote, in pratica aveva solo vent'anni ed era più grande di alcuni suoi zii. D'altronde tra Pollux e Leon correvano solo diciannove anni di differenza. «Un po' di tensione, eh?» Si rivolse ad Arthur, che si limitò a scrollare le spalle, distrutto.

«Dai ragazzi, preparatevi e andiamo al cimitero. Io e Robert vi accompagneremo.»

Andromeda ed Eris furono le prime ad allontanarsi dal tavolo, lasciandoli tutti soli a far colazione. Altair cercava in qualche modo lo sguardo di Leon, ma suo fratello era troppo offeso e arrabbiato per parlargli ancora. Leon riusciva a tenere ogni cosa dentro, pur essendo gentile e buono con tutti.
Avrebbe voluto essere come lui, guardare il mondo come avrebbe potuto essere e non com'era davvero.
Arthur lo guardava serio, sembrava infastidito. Nei giorni precedenti a quell'anniversario non riuscivano ad andare mai d'accordo. Continuava a ripetergli che non conosceva abbastanza Orion come l'aveva conosciuto lui in guerra. Altair cercava di prendere le distanze da quella discussione, non perché odiasse i confronti, ma perché sapeva bene di perdere il controllo delle proprie parole quando arrabbiato. Non voleva rischiare di toccare tasti dolenti per Arthur, ricordandogli che avrebbe dovuto capirlo per aver perso parte della sua famiglia.

Tornò in camera, iniziando a cambiarsi velocemente. Prima sarebbero andati al cimitero, prima avrebbero concluso quella farsa. Non riusciva a smettere di essere arrabbiato con Orion. Provava a consolarsi, dicendo che non era suo fratello, che non condividevano lo stesso sangue perché Orion venne adottato da bambino, ma non riusciva a mentire a lungo a se stesso. Era stato tutto per lui. Non poteva credere che fosse così tanto violento, che potesse spingersi a tal punto oltre certi confini. Forse l'aveva idolatrato troppo e, adesso che quel quadro era concluso, non riusciva più a vederlo come prima. Per questo non voleva che Leon cadesse nel suo stesso stato d'angoscia e delusione, non voleva vederlo soffrire com'era successo a lui.
Eris non parlava quasi mai di Orion, invece. Non si confidava nemmeno con lui, ma sapeva che fosse ancora triste, sebbene avesse ormai superato il lutto. A volte, però, la vedeva mentre sfogliava gli album di famiglia, accarezzando la figura del fratello.

Andromeda era scontrosa quanto lui. Non incattivita allo stesso modo, però. Fingeva disinteresse, ma per quanto detestasse certe scelte di Orion, ogni anno era la prima a correre a prendere dei fiori per la sua lapide ed era l'ultima ad andarsene, assieme a Robert e Arthur.

Sentì bussare alla porta e si voltò a guardare la figura di Izar, che lo osservava con attenzione. Suo nipote era snello, alto anche più di lui. Lo vedeva più come un cugino o un fratello, però. Erano quasi coetanei d'altronde. «Che succede?»

Izar scrollò le spalle. «Volevo solo vedere come stessi... gli altri sono pronti ormai.»

«Sto bene, non preoccuparti.» Sbuffò scocciato. Avrebbe anche voluto poter piangere pur di poter sentire di nuovo qualcosa per suo fratello. Guardò l'altro. Sembrava nervoso. Dondolava con agitazione sui talloni, come quando sentiva l'esigenza di dirgli qualcosa. «'Zar, che hai?»

«Hai presente la mia amica Zalia, vero?»

Altair annuì. Amica, era uno strano modo di definire la ragazza chiacchierona e assillante attorno alla quale ronzava come una mosca, sempre con occhi languidi e sguardo da cagnolino innamorato. «Già, e lei cosa c'entra in tutto ciò?» Indossò la giacca.

«Lei... lei crede che-»

Il rumore assordante del clacson interruppe qualsiasi cosa. Altair si portò le mani all'orecchio, mentre Izar sussultò spaventato. «Ci muoviamo o no?!» Robert urlava come un pazzo, fuori in giardino, e probabilmente la sua famosissima pazienza stava iniziando ad esaurirsi già da un po'.
Altair diede una pacca sulla spalla di Izar e gli fece cenno di seguirlo. «Me ne parlerai dopo, okay?»

L'altro annuì, mordendosi l'interno guancia.

L'aria di Boston era fredda, pungente. Ormai vivevano lontano dalla grande città, rinchiusi e rintanati nella vecchia villa di famiglia. Il loro piccolo paesino non era poi distante dal centro, bastava prendere un treno per raggiungere la grande metropoli e spesso e volentieri i suoi fratelli uscivano lì a divertirsi, tornando ad orari davvero improponibili. Altair era giovane per vivere già come un vecchio padre di famiglia, ma tutte le responsabilità erano cadute su di lui all'improvviso. Aveva imparato a cavarsela da solo e forse era cresciuto anche troppo presto.
Nonostante ciò, Arthur lo trattava come fosse un bambino e non gli permetteva di guidare fino al cimitero.
Ognuno di loro aveva legato in modo diverso coi due uomini. Altair e Andromeda si erano sempre sentiti più vicini alla calma e gentilezza di Arthur. Eris e Leon, invece, stravedevano per Robert, mettendo a dura prova la sua pazienza.

Le ragazze e Leon erano andate in auto con Robert, mentre solo lui e Izar erano rimasti con Arthur.
L'uomo era nervoso, ticchettava agitato le dita sul volante dell'auto. Ogni tanto sospirava stanco o si passava nevroticamente una mano tra i capelli biondi e mossi. Iniziava a dargli sui nervi, ma lo tenne per sé. Nessuno di loro aveva idea del profondo rapporto che lo legasse ad Orion, non si sarebbe permesso di dirgli nulla, ognuno gestiva il dolore a modo proprio.
A volte credeva che l'essere umano e i sentimenti fossero un paradosso. Come potevano un affetto così forte e un amore tanto grande procurare una tale sofferenza?

«Siamo arrivati, muoviamoci. C'era traffico e gli altri già sono qui.»
Arthur parlava meccanicamente quando era nervoso e ci teneva davvero a fare una ricapitolazione della loro giornata o di qualsiasi cosa stesse facendo. «Prendo dei fiori. Voi avviatevi e vi raggiungo. Gli altri sono lì, con Robert, okay?»

Izar ridacchiò e in silenzio si incamminarono all'interno del cimitero. Altair alzò il naso all'insù, fissando il cielo grigio e le nuvole che lo coprivano, nascondendo ancora di più quei piccoli e flebili raggi del sole. Aveva freddo, ma non sapeva dire se era davvero per il tempo o per quella situazione. Si sentiva a disagio e anche ipocrita ad andare a trovare una lapide silenziosa, che portava il nome di suo fratello. Non avevano un corpo da piangere, nulla. Avevano soltanto utilizzato una stupida pietra per aggrapparsi alla sensazione di averlo ancora con loro.
Leon teneva lo sguardo basso, mentre Eris stava poggiando i fiori vicino alla lapide, dopo aver lasciato per qualche secondo la mano del gemello, che fino a poco prima teneva ben stretta.

«Ehilà, fratellone.» la sua voce tentennò appena. Leon distolse lo sguardo, cercando di trattenere i singhiozzi. Andromeda gli posò una mano sulla spalla. «Qui manchi a tutti...» gli lanciò uno sguardo eloquente. «Davvero tanto, anche a chi non lo ammetterà mai.»
Altair storse il naso, non sentiva la sua mancanza. Lo avrebbe preso davvero a pugni se avesse potuto averlo davanti. «Noi stiamo bene... Insomma ce la caviamo e come sempre la famiglia viene per prima.» Accarezzò quella lapide con un gesto triste e malinconico. Altair sentì lo stomaco fare una capriola dal dolore.

Arthur li aveva da poco raggiunti e se ne stava in silenzio assieme a Robert, che teneva le mani giunte in avanti. Il vento sferzava un po' tra i suoi capelli castani, spostandogli in avanti un ciuffo. Gli occhi neri erano un po' annebbiati dalla tristezza, ma continuava a non darlo a vedere, si dava forza.
Si abbassò a prendere due bottiglie di birra, come sempre. Aveva scelto una non filtrata, la preferita di Orion, e le stappò entrambe, passandone una ad Arthur, in nome delle loro bevute e uscite insieme. Non parlavano, semplicemente fecero scontrare il verro e restarono a guardare la lapide, anche mentre Andromeda e gli altri si allontanavano per riprendere fiato.
Era il loro particolare saluto.
Altair restò dietro ad entrambi, lasciando loro spazio e accese una sigaretta, lasciando che il fumo gli inondasse i polmoni.
Se ne stava un po' in disparte, abbastanza lontano da lasciarli tranquilli, ma altrettanto vicino da poter sentire le loro conversazioni, anche se non se ne resero conto.

«Vorrei che fosse qui solo per darci una mano.» Arthur allontanò la bottiglia di birra dalle labbra. «Un consiglio, perché da quando non c'è i ragazzi sembrano spaesati.»

Robert scrollò le spalle. «Non avrebbe soluzioni nemmeno lui, lo sai. La pazienza non era una sua virtù.»

«Tu riesci ancora a credere che sia andato via? Perché io lo vedo in ogni angolo della casa, smanioso com'era. Lo vedo ogni sera, quando guardo il nostro tatuaggio.» Si indicò la spalla.

Robert scosse il capo, ridacchiando appena. «Sento ancora le sue perle di saggezza quando mi sveglio...»

«Una pallottola è meglio di una stronza post sbornia?» Arthur cercò di trattenere un sorrisetto malinconico. «Mi manca.»

«Avete fatto tutto insieme, mancherebbe anche a me allo stesso modo.»

«Era il mio migliore amico.»

Robert scrollò le spalle. «Interessante scelta di parole per definire il vostro rapporto, ma mi limiterò ad annuire.»

Altair aggrottò la fronte, la sigaretta a pendergli tra le labbra, quando Izar gli toccò la spalla. «Sul serio, devo dirtelo, non riesco più a tenermelo dentro, devi saperlo.»
Si ricordò della loro conversazione poco prima e si ridestò. Sembrava preoccupato e qualunque problema avesse, doveva aiutarlo a risolverlo.

«Che succede?»

«Zali...lei e sua sorella non trovano i genitori da tempo, sono scomparsi. E per di più ci sono delle persone che le seguono continuamente e le spiano.»

Scrollò le spalle, confuso. «Oh, okay mi dispiace. Dev'essere difficile... dovrebbero andare alla polizia. Cosa possiamo farci noi, scusami?»

«Tu sapevi che tuo fratello, insieme anche a quei due», indicò Arthur e Robert, «potrebbe avere ancora qualche segreto mai detto?.»
Altair sgranò gli occhi confuso. Scosse il capo meccanicamente. Le parole gli morirono in gola. «Ottimo, neanche tu sai di cosa sto parlando. Ci nascondono qualcosa, Al. E forse i genitori delle ragazze hanno avuto contatti con tutti loro.»

«i-Io-»

«E ancor peggio, è che credono che i loro genitori, abbiano avuto contatti con Orion, che la loro scomparsa sia legata a lui.»

«Va bene, okay, non ha senso. Mio fratello è morto, ma riconosco che potrebbe aver fatto qualche danno anche da sotto terra..» Altair provava a ragionare serenamente, anche se il corpo era smosso da tremolii e il cuore sembrava essere arrivato alla gola.

Izar scosse il capo. «Sì, ci starebbe se i contatti fossero avvenuti dieci anni fa... ma potrebbero aver parlato insieme solo un anno fa, Al.» Lanciò un'occhiata veloce ad Arthur e Robert, che stavano sistemando le birre. «E da allora ci sono messaggi telefonici che li legano. L'ultimo risale al giorno in cui i loro genitori sono scomparsi... e credono che Orion possa essere vivo o che qualcuno stia usando il suo nome per nascondersi dietro un uomo morto e fare i propri affari.»

Altair restò a fissare la lapide di suo fratello in lontananza. Aveva cercato di nascondere il dolore per la sua morte. Continuava a provare rancore verso di lui e le she stupide scelte, ma non avrebbe mai tollerato e accettato che qualcuno sfruttasse il suo nome per distruggerlo ancora di più.
Era come se ne avesse solo lui il diritto.







Angolino
Mantenere la rivelazione del finale è stato difficile, anche se, conoscendomi, non vi dovreste esaltare, mi piace illudere i personaggi di solito.

Comunque sia non sono mai convinta di nulla di ciò xhe scrivo, ma non riuscivo a sistemare o aggiungere altro.
Ringraziate JediKnight01 per questo capitolo anticipato.
Il prossimo potrebbe essere sempre di sabato, credo. Dipende da come andranno questi giorni.
Appena avrò un'idea dell'organizzazione, magari riuscirò a piazzare due date di pubblicazione.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima ❤️

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