seventeen
[Wherever you go — Ron Pope]
🌹H A R R Y 🌹
«Lo faccio perchè io ero come loro» le confesso mentre lascio che i nostri sguardi si incrocino.
Dischiude le labbra; credo che ciò che le ho appena detto sia l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettata di sentire. Sapevo che mi avrebbe fatto quelle domande, e sapevo che questa era la giusta — e unica — risposta a tutte.
Non le dirò di più del mio passato, almeno non oggi; non le racconterò ora di chi che ero. Avrei preferito non dirle neanche questo, ma questa ragazza riesce a persuadermi senza neppure la volontà di farlo.
«Cosa intendi che eri come loro?» Il suo tono è basso e sembra quasi celare un velo di tristezza, probabilmente per le mille domande e ipotesi che si stanno formando nella sua mente immaginando cosa possano significare le mie parole.
«Lo scoprirai, Ariel Green. Ma non accadrà oggi» le dico, sperando che colga l'ironia e il sarcasmo nella mia voce.
«Stai davvero facendo questo, Harry?» Dal modo in cui replica, però, capisco che lo ha fatto. Un lieve sorriso curva le sue labbra, in risposta al mio.
«Non so di cosa tu stia parlando, Ariel» fingo di non capire a cosa si stia riferendo, accentuando il suo sorriso. È bellissima, non vi è alcun dubbio.
«Mi lascerai ad aspettare esattamente come io ho fatto con te, quando ti ho raccontato del perchè fossi qui» rimembra, e la malinconia che sembra sempre accompagnarla quando cita avvenimenti o accenni del suo passato questa volta non è presente.
«Tu ce ne hai messo di tempo» riprendo, facendola ridere. Una risata vera, dolce e piena, che riempie l'intero locale.
«Sai, sei l'unico che lo sa» mi rivela, distogliendo lo sguardo dal mio e portandolo verso il basso.
«Non lo hai detto a nessun altro?» le domando, non credendo che io sia davvero l'unico con cui ne abbia parlato. Non avrebbe senso. «Neanche a Zayn?»
Scuote la testa. «No, neanche a lui.»
«Perché?» Non posso fare a meno di chiederle. Sono l'unica persona a cui ha raccontato del suo passato, che continua a rivivere giorno per giorno. Da come credevo stessero le cose le cose, ho anche immaginato che questa fosse una delle prime cose che avesse detto a Zayn. Eppure, ancora una volta continua a sorprendermi.
«In realtà, non lo so neanche io» ammette. Rilascia un sospiro prima di continuare. «Sapevo che prima o poi avrei dovuto parlarne con qualcuno, ma la verità è che non mi sono mai sentita pronta per farlo. Era come se affrontare la realtà a voce alta mi facesse realizzare ancora di più il fatto che lei non è più con me e che non lo sarà mai, così come la vita che avevo prima.»
Si ferma, ed è come se cercasse aiuto nel mio sguardo. Lo trova.
«Ma quella sera, alla festa di Tara, ne ho sentito uno sconfinato bisogno. E mi è accaduto quando tu mi hai trovata. Era come se fossimo legati da qualcosa, e in quel momento, le parole sono scivolate fuori dalla mia bocca senza che neanche me ne rendessi conto, perchè in qualche modo sapevo di potermi fidare di te.»
Continua a mantenere il contatto visivo con me, mentre ciò che ha appena detto mi lascia senza parole. Sono l'unico a conoscenza di ciò che ha passato, del reale motivo per cui è qui, e io non lo sapevo neanche. So che non si riferisce soltanto a sua madre, che c'è acora qualcos'altro che non permette ai suoi occhi e a se stessa di vivere, e non di limitarsi a sopravvivere e ad andare avanti. Non so se sia intenzionata a dirmi altro, se deciderà di parlarmi anche di quello che c'è all'interno e non solo della cornice. Non posso saperlo adesso, ma ho intenzione di scoprirlo perché voglio saperlo.
Ricordo quella sera come se fosse soltanto ieri, e riesco quasi a sentire il calore del suo corpo avvolto dalle mie braccia. E ha ragione: c'è molto più di qualcosa a legarci e che non possiamo combattere. È inevitabile.
«Te ne sei pentita?» Allungo una mano sul tavolo raggiungendo la sua. Inizialmente esita sotto il mio tocco, poi si rilassa e mostra un sorriso.
«No,» risponde, e so che è sincera. Lo vedo dal modo in cui i suoi occhi cercano i miei.
🌹
«Dovresti portarla più spesso» dice Beth colpendomi giocosamente il braccio.
«Potrebbe non esserle piaciuta la tua cucina» rispondo, e la sua espressione si trasforma in un cipiglio. Sposta lo sguardo su Ariel: non ha smesso di sorridere.
«Sul serio, cara? Nessuno mi aveva mai riferito una cosa del genere.» Beth sembra averla seriamente presa sul personale.
Ariel scuote la testa divertita, falsificando la mia confessione.
«C'è sempre una prima volta, Beth. E lei potrebbe essere soltanto infinitamente gentile per dirti ciò che pensa davvero.» L'occhiata che mi rivolge Beth risulterebbe quasi minacciosa, se non fosse per il sorrisetto che le piega poco dopo le labbra.
«La prossima volta, magari vieni da sola, o anche con qualcun altro, ma non portare lui» si rivolge ad Ariel mentre lo dice, come se io non potessi sentirla.
«Beth, lui è qui» la interrompo.
«Lo so, caro» sostiene, e la risata di Ariel riempie l'intera sala.
Beth insiste per non farci pagare nulla, con la promessa che ritorneremo presto. Credo che Ariel abbia fatto colpo su di lei; sembra avere qualcosa che attira ogni persona che incontra sulla sua strada, e lei non ne è neanche consapevole.
«Vuoi tornare in ospedale?» Le domando mentre raggiungiamo la mia auto.
«Tu devi ritornarci?»
«No, per oggi ho finito. Vuoi che ti accompagni a casa?»
Scuote la testa. «Non preoccuparti.»
«Non è un problema, devo comunque passarci per tornare a casa mia, ricordi?» In realtà dovrei passare da Tara, ma il sorriso che increspa le sue labbra vale la pena di non dirglielo.
Mentre siamo in macchina colmo il silenzio che è calato tra noi accendendo la radio. Quando mi fermo su una stazione mi accorgo della sua reazione.
«Ti piace?» Le chiedo; lei annuisce in accordo.
«Molto.»
«Chi è che canta?» Non credo di aver mai sentito questa canzone, nè mi pare di riconoscere la voce del cantante.
«Ron Pope. Non lo conosci?»
Scuoto piano la testa. «No, mi dispiace.»
«Che genere di musica ascolti?» È lei a farmi una domanda stavolta.
«Mi piacciono i Coldplay e gli Sleeping With Sirens, ma non ho un genere particolare. Ascolto ciò che mi piace.»
Mi volto verso di lei e mi accorgo che sta sorridendo. «Cosa c'è?»
«Nulla, è solo che quello che hai detto è giusto. Oggi sembra che le persone vengano etichettate anche per la musica che ascoltano.»
Mi limito ad annuire, colpito dalla realtà delle sue parole. Presta attenzione a qualsiasi cosa, e ho la leggera impressione che stia provando a recuperarsi da quando è arrivata. La luce che le risiede negli occhi sta riaffiorando, ed è come se ogni volta che li incrociassi cercasse di risalire in superficie sempre di più.
Non riesco ancora a credere che la ragazza di cui il dottor Green mi ha sempre parlato potesse essere lei. Non nego che la prima volta che l'ho incontrato i miei pensieri siano subito tornati a lei, ma con il tempo mi ero reso conto che non era possibile. Ma quando questa mattina ho scoperto che in realtà era di lei che si trattava, ho capito una buona volta che se il destino, Dio, o qualsiasi cosa sia ci sta portando ad incontrarci, facendo incrociare le nostre strade ogni volta, un motivo c'è. Deve esserci, non può essere solo semplice coincidenza.
Sosto l'auto davanti la scalinata dell'edificio e lei slaccia la sua cintura di sicurezza. Si volta nella mia direzione, ma è chiaramente in imbarazzo. Lo percepisco dal modo in cui esita. Non capisco perché lo sia.
«Grazie, Harry» dice alla fine. «Per il passaggio e per il pranzo.»
«Figurati» le rispondo. Lei velocemente distoglie lo sguardo dal mio dopo che io ho lasciato che i miei occhi incatenassero i suoi intrappolandola in un intenso sguardo.
Apre la portiera e scende dall'auto; io la seguo con lo sguardo fin quando arriva sopra le scale e armeggia chiavi. Non si volta come speravo, ma lascio che l'impeto prenda il sopravvento nel momento in cui quella porta si sta chiudendo dietro di lei, scendendo dall'auto preoccupandomi soltanto di sfilarne le chiavi e riuscendo ad entrare giusto prima che si chiuda definitivamente.
Non so neanche cosa stia facendo, ma la raggiungo bloccando le porte dell'ascensore ed entrandoci con lei.
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