fiftyone
[Love you goodbye — One Direction]
È incredibile come si possa dipendere da alcune persone. Non ho mai creduto che quello che provo, ciò che sento, possa cambiare grazie a qualcuno. Non ho mai creduto che una persona fosse in grado di condizionarti e di arrivare a cambiarti.
Non l'avevo mai creduto fino a quando non ho incontrato Harry. E fino ad ora.
Il naso rosso è ancora sul suo volto e sul suo corpo sono aggrappati tre bambini: Andrew gli sta sulle spalle e lui avvolge Odette con un braccio e un'altra bambina con l'altro.
Quel naso rosso è ancora anche sul mio volto e su quello di Liam. Siamo vicini e i bambini ci circondano, si fidano di noi e ci sorridono così sinceramente da non sembrare che si trovino nella sala di un ospedale. Sorridono per davvero, con il cuore in mano che ti tendono fino a che non lo accetti.
Abbiamo dato qualcosa ad ogni bambino, permettendogli per un giorno di essere quello che vorrebbero. C'è chi ha risposto di voler diventare una principessa, chi un supereroe, chi si è semplicemente affidato a noi.
Non sono sicura del motivo per cui tutti questi bambini siano qui e non so per quanto ancora ci staranno, ma ogni singolo momento trascorso con loro è uno dei più puri e innocenti insegnamenti che si possano ricevere.
«Voglio che Ariel mi faccia le trecce», dice una bambina, e io mi volto verso il suono della sua voce.
È vicina ad Harry; credo stia per aggrapparsi alla sua gamba mentre allo stesso tempo gli tira la manica del maglione che indossa. Sorrido quando mi rendo conto della disperazione dipinta sul suo volto quando tenta di mantenere l'equilibrio con i bambini che tiene ancora tra le braccia.
Poi alza lo sguardo verso di me. Io annuisco e lui sospira soddisfatto.
«Andiamo tutti da Ariel!», annuncia, e la bambina dai capelli biondi sorride ampiamente.
La faccio sedere davanti a me e le prendo alcune ciocche tra le dita: ha dei lunghi e bellissimi capelli biondi, e odio pensare che tra un mese o poco più potrebbe già non averli più.
Harry sembra leggere i miei pensieri quando abbozza un sorriso e dice: «Lei è Amy, tornerà a casa tra qualche giorno.»
Annuisco e gli sorrido a mia volta; lui appoggia una mano sulla mia schiena prima di allontanarsi. A quel semplice e breve contatto, nonostante la maglia che indosso, sento la mia pelle al di sotto ricoprirsi di brividi quando la sfiora e poi se ne va.
Altre bambine si siedono intorno a noi, mentre quasi tutti i bambini e Todd sono con Liam e Harry. Sento le loro voci e le loro risate; ogni tanto alzo lo sguardo su di loro.
È bellissimo vedere due delle persone più importanti della mia vita insieme in questo modo. È bello sentirsi così nonostante tutto quello che stiamo attraversando, ed è bello permettersi di riuscire ancora a farlo. Di riuscire ancora a sentire. Di essere felici, anche soltanto per un istante.
Quando finisco con Amy lei cerca di guardare le due trecce interamente, ma per quanto ci riesca, non smette di ringraziarmi. Le accarezzo il viso e lei mi abbraccia. «Ti voglio bene, Ariel.»
Qualcosa si scatena dentro di me, e sono ancora troppo vulnerabile dopo la notizia di Harry. Ma ho smesso di reprimere ciò che provo; ho smesso di chiudere tutto fuori.
«Anch'io ti voglio bene, Amy», le assicuro e lei sorride di più.
Due ore più tardi sono insieme a tutte le bambine; le sto riportando nelle loro camere o dai medici e infermieri che si occupano di loro. Mi salutano tutte con la mano quando le lascio andare e io faccio lo stesso.
Quando torno nella sala c'è soltanto Harry con Andrew.
«Liam è andato con i bambini», dice, incrociando per un istante il mio sguardo. «C'è anche tuo fratello con loro.»
Io non dico nulla, annuisco soltanto anche se non può vedermi. Continua a riordinare mentre Andrew se ne sta seduto in fondo alla sala. Vado a sedermi vicino a lui.
«Ehi», lo saluto.
I suoi occhi azzurri sono su di me e mi mostra un sorriso mentre ricambia il mio saluto.
Soltanto adesso mi rendo conto che lui non indossa nient'altro se non i vestiti che già aveva. Non ha niente, neanche un piccolo e semplice simbolo che ricordi qualcuno.
«Non hai trovato niente che ti piacesse?», gli domando, ma lui mi guarda accigliato.
«Cosa?»
«Tutti i bambini hanno voluto somigliare e sentirsi come qualcuno che vorrebbero essere. Tu chi vorresti essere?»
Andrew scuote la testa. «Ma io sono qualcuno.»
«Davvero? Allora, chi sei?»
«Sono Harry», sostiene, indicandolo con il suo piccolo dito. «Harry è il mio supereroe.»
🌹 H A R R Y 🌹
Sono dall'altro lato della sala, ma riesco ugualmente a sentire le parole di Ariel e quelle di Andrew; anche se forse loro non lo sanno.
«Harry è il mio supereroe», dice con la sua piccola voce, e non riesco a non sorridere mentre allo stesso tempo cerco di elaborare le sue parole.
Ha detto che sono il suo supereroe. Se solo sapesse quanto in realtà io non lo sia e piuttosto quanto sia lui ad esserlo, a soli otto anni.
Quel bambino è stato una delle mie motivazioni ad andare avanti, e continueremo a farlo insieme.
Quando finisco di riordinare mi sollevo e mi volto, prendendomi del tempo per osservare lei.
È qui. È qui oggi, dopo quattro giorni e con una consapevolezza diversa. Con una consapevolezza che prima non aveva e che adesso è diventata una certezza, una costante che le ricorderà sempre di esistere.
Non mi aspettavo di vederla, non oggi e non qui. Ma ci speravo. Dio, tutto quello che ho sperato in questi quattro giorni è stato di tenerla con me, e mi sono trattenuto dal non correrle dietro quel giorno e dal non andare da lei durante tutti gli altri. Fino ad oggi.
Ma non c'è soltanto questo. Perché adesso c'è anche che non riesco a guardarla, a sostenere il suo sguardo, perché non so che cosa sta provando in questo momento. So che cosa ha provato e cosa continuerà a provare.
Non so se mi odia, se vuole lasciarmi andare. Se decidesse di farlo, se decidesse di lasciarmi andare, anche il più piccolo pezzo sano del mio cuore verrà danneggiato.
Quasi come se mi avesse sentito, lo sguardo di Ariel si sposta e i suoi occhi mi raggiungono.
Io sono poggiato alla parete, le braccia incrociate e il mio amore per questa ragazza che mi sta curando soltanto guardandomi.
Nel suo sguardo non c'è giudizio, e non mi guarda con compassione. Non mi guarda come la maggior parte di quelli che sanno ciò che sono.
«Devo riaccompagnare Andrew», le dico poi, ma senza mai spezzare quel contatto, quel legame che esiste ancora.
Ariel annuisce e il bambino dai capelli biondi la guarda. «Vieni anche tu con noi?»
Si volta verso di lui, poi torna a guardare me. Annuisco quasi impercettibilmente, ma lei riuscirebbe a capirmi anche senza avere il bisogno di guardarmi.
Mi avvicino a loro e Andrew mi raggiunge.
«Andiamo», annuncio guardando Ariel. Fa lo stesso e mi raggiunge anche lei, camminando al mio fianco.
Percorriamo il corridoio in silenzio, e quando raggiungiamo la camera di Andrew c'è Marie, una delle infermiere che si occupano di lui e degli altri bambini del reparto ad aspettarlo. Salutiamo Andrew e lo lasciamo a lei, poi siamo io e Ariel. Siamo io e lei e io non so cosa fare.
Siamo noi che continuiamo a stare l'una di fianco all'altro, vicini ma con la paura di sfiorarci; lo sguardo basso e ancora troppe cose da dire, con una concezione del tempo che non abbiamo e che per me diventa inesistente ogni volta che sono con lei.
Improvvisamente si ferma. Io faccio lo stesso e mi volto verso di lei. Dischiude le labbra e esita nel mio sguardo prima di parlare.
«Non ho più visto Liam e Todd, e neanche mio padre.»
«Nemmeno io», le rispondo. «Vuoi tornare da loro?»
In questo momento, egoisticamente, spero dica di no. Spero che non voglia farlo, perché voglio che lei resti ancora con me. Ma più di ogni altra cosa, spero che anche lei lo voglia.
Quindi la guardo, e lei abbassa lo sguardo. «Non lo so.»
«Se venissi con me?» le propongo senza neanche pensarci, pronto a schiantarmi quando ormai le parole sono già scivolate via ed è troppo tardi per recuperarle.
Il suo sguardo allora si alza; i suoi occhi si riflettono nei miei. Ci guardiamo per un tempo che non riesco ad inserire in un intervallo, ma sento i battiti del mio cuore scandire ogni singolo istante.
È quando annuisce che sono sicuro che il tempo si fermi.
🌹 A R I E L 🌹
Contro ogni aspettativa mia e di Harry annuisco alla sua proposta.
Continuiamo a percorrere questo corridoio insieme ma senza mai sfiorarci e senza che nessuno dica nient'altro.
Ho immaginato come sarebbe stato rivederlo e cosa ci saremmo detti, perché ci sono ancora troppe parole da dire. Troppe parole e poco coraggio, perché entrambi sappiamo che quelle sono le parole che potrebbero cambiare definitivamente ogni cosa.
Dobbiamo soltanto aspettare che uno di noi lo diventi a tal punto da rischiare; non so neanche esattamente cosa, ma adesso siamo entrambi a casa sua e io entro per prima mentre lui mi segue e chiude la porta alle sue spalle.
La casa è buia, ma dopo qualche istante Harry accende luci principali e getta le chiavi sul tavolo.
«Vuoi qualcosa?» Mi chiede, visibilmente in imbarazzo e mentre si strofina il collo con la mano.
Scuoto la testa. «No, grazie.»
Prima che lui possa dire altro, mi rendo conto che forse la più coraggiosa sono io. «Quando lo hai scoperto?»
La mia voce è piccola e bassa, e risulta sull'orlo della disperazione. Dentro mi sento esattamente allo stesso modo. No, forse no. Forse stavolta è diverso.
Harry è di spalle, esita prima di rispondermi. «Avevo otto anni.»
È l'età che adesso ha Andrew.
Lo sento sospirare. «È stata la madre di Tara a scoprirlo. Quello stesso anno ho avuto la mia prima operazione, e per un po' sono stato bene. Avevo soltanto bisogno di controllarmi regolarmente, anche se in questi casi puoi soltanto sperare.»
Il suono del nome di Tara mi ricorda di lei, delle sue parole e di ciò che ha con Harry. Ma probabilmente questo non è il momento per pensare a lei e lui insieme.
Le sue parole sono lente e si ferma più volte. È come se non riuscisse a parlarmene, come se ci fosse qualcosa che lo tiene bloccato, incatenato dentro le sue stesse braccia.
Poi si volta e mi guarda. «Ho bisogno che tu mi dica di continuare.»
La sua è quasi una supplica; gli occhi verdi sono intensi e il mio cuore è pronto a frantumarsi ancora una volta.
«Tu vuoi farlo?» Replico. Harry chiude gli occhi e abbassa lo sguardo.
«Ariel, ho soltanto bisogno che tu me lo dica», dice, poi sospira. «Ho bisogno che tu mi dica che vuoi davvero saperlo, che vuoi davvero tutte le risposte che io sono pronto a darti, quelle che faranno male e anche quelle che non conosco ancora.»
Adesso le sue parole sono più dure, più decise. Non mi guarda mentre lasciano le sue labbra, e io non so cosa fare. Non riesco a leggerlo, a capire il modo in cui si sta sentendo in questo momento.
«Di' qualcosa», mi chiede riportando i suoi occhi su di me e ripetendo le stesse parole di quel giorno.
«Continua», affermo in un sussurro, pronta a farmi distruggere il cuore ancora una volta.
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