fifteen
[If I lose myself - One Republic]
Le labbra di Zayn sono calde e il suo tocco è inizialmente dolce, poi rende il bacio più intenso e profondo. Continua a tenere una mano sul retro del mio collo e l'altra sui miei fianchi, attirandomi sempre più vicina al suo corpo. Io avvolgo le braccia intorno al suo corpo e mi lascio andare; mi lascio completamente trasportare da lui.
Era da quando Jake mi ha lasciata che non avevo più provato anche solo un minimo interesse per qualcuno, sicura di non poter più sentire per nessuno quello che sentivo per lui, che fosse insostituibile. Ed era da molto - moltissimo - tempo che qualcuno mi baciava in questo modo.
Percepisco il sorriso di Zayn contro le mie labbra, e in risposta anche le mie si curvano in un sorriso sincero. Non so che cosa accadrà d'ora in poi, ma non voglio pensarci. Ho solo bisogno di lasciarmi cullare da queste sensazioni, di aggrapparmi a quello che ancora riesco a sentire e che invece credevo di aver perduto.
«Sono felice che tu abbia rovinato ogni cosa» sussurra, facendo scontrare giocosamente il suo naso col mio. Posso ancora sentire il suo respiro sulle mie labbra, ancora vicine alle mie.
«Lo credo anch'io» gli rispondo e il suo sorriso si allarga, mostrando i denti e la lingua dietro di essi.
«Mi dispiace,» inizio dopo qualche minuto, «ma credo di dover andare.»
«Certo» dice ridestandosi, «Andiamo.»
Riprende la mia mano nella sua quando entrambi ci alziamo; camminiamo lentamente e senza quasi dirci una parole mentre torniamo alla sua auto, ancora nel parcheggio del locale. Accende immediatamente il riscaldamento intorno e anche il ritorno è piuttosto silenzioso, solo che non sicura di come interpretare il suo silenzio. Non che Zayn sia un tipo loquace, ma dopo il nostro bacio non so come comportarmi; cosa dire o cosa fare, ed è anche questo che, in parte, avrei voluto evitare. Ma non voglio precipitare le cose.
Siamo quasi arrivati davanti davanti al mio palazzo quando Zayn, pur continuando a guidare e a tenere lo sguardo davanti a sé poggia una mano sulla mia gamba, cogliendomi di sorpresa. Il sorriso che mi mostra, però, mi rincuora all'istante e risponde, seppur non completamente, ai dubbi che avevo e che ho. Ricambio il suo sorriso e dopo pochi istanti sosta l'auto alla fine della scalinata come suo solito, ma prima che possa anche soltanto accennare ad aprire la portiera le sue labbra sono già nuovamente premute sulle mie, in un dolce e tenero bacio.
«Buonanotte, Ariel.»
«Buonanotte» sussurro, «E grazie per la serata.»
Scendo dall'auto e salgo le scale, ma prima di entrare mi volto per salutare Zayn ancora una volta. Lo vedo dissolversi nel buio ed entro, con il sorriso ancora impresso sulle labbra.
«Salve, Ariel» mi saluta gentilmente Philip, il portinaio.
«Buonasera, Philip.»
L'ho conosciuto appena arrivati; lavora in questo edificio da più di trent'anni. è con lui che ha parlato mio padre quando eravamo ancora in America, e non so esattamente come sia riuscito a trovarlo, ma ci ha aiutati tanto. è stato lui a raccomandarci questo appartamento. Vado verso l'ascensore e aspetto che porte si chiudano davanti a me: mi appoggio con la schiena contro la parete, chiudo gli occhi e sospiro, poi le porte si aprono e percorro il solito pianerottolo, prima di inserire la chiave nella serratura ed entrare in casa. Le luci sono tutte spente e cammino lentamente a tentoni per evitare di inciampare e cadere miseramente. Raggiungo la mia camera e prima di chiudere la porta alle mie spalle lancio un'occhiata alla stanza in cui dovrebbe trovarsi mio padre. La porta è leggermente socchiusa, così riesco ad intravedere la sua figura, sdraiata sul letto. Cerco di produrre meno rumore possibile per evitare di svegliarlo.
Mi cambio velocemente e, prima di mettermi a letto, noto il piccolo biglietto sulla scrivania.
Domani dovrò essere in clinica per le nove. Se per te è troppo presto non preoccuparti. Spero che tu ti sia divertita.
Papà.
Immaginavo dovesse iniziare il turno presto, ma gli ho promesso che ci sarei stata, quindi resto della mia idea di andare con lui.
Quando eravamo in America passava più tempo in ospedale che a casa; credevo ormai che i suoi pazienti lo conoscessero più della sua stessa famiglia. Tante volte gli ho fatto pesare il non esserci abbastanza, specialmente dopo la morte di mamma. Il tempo indietro non te lo restituisce nessuno, specialmente quello perso, e forse lui con lei poteva custodirlo meglio, preservarlo prima che fosse troppo tardi. So che ama il suo lavoro, l'ho visto e l'ho percepito, eppure certe volte non sono riuscita a perdonarlo. Posso soltanto immaginare come possa essersi sentito quando la vita di mia madre gli è scivolata via tra le dita senza dargli il tempo neanche di tentare di poterla afferrare.
La mancanza dell'America la sente e l'ho percepito. Quando telefona a Todd è come se il cuore gli si riempisse di nuovo, come se i pezzi fossero quasi tutti di nuovo al posto giusto. Anche a me manca tanto, ma comprendo che non potevamo prendere di sradicarlo così, improvvisamente, da tutte le sue radici e cambiare le sue abitudini.
Mi distendo sul mio letto, spengo l'abat-jour e prendo il cellulare per impostare la sveglia per domani mattina. È così che mi accorgo di un messaggio di Zayn che risale a qualche minuto fa.
Spero di rivederti presto, e che tu non ti sia pentita di aver voluto rovinare la serata. Buonanotte, piccola Ariel.
Z.
Il messaggio di Zayn mi riporta a pensare all'intera serata trascorsa e a quanto, in realtà, io sia stata bene assieme a lui. Il tocco delle sue labbra sembrava placare ogni mio timore, ed era di questo ciò di cui avevo bisogno; di qualcuno che fosse pronto ad afferrarmi se fossi caduta. E stasera ho avuto la conferma che lui c'è.
Gli rispondo velocemente tranquillizzandolo ancora una volta, e che anch'io spero di rivederlo presto. Spero anche che sia davvero la cosa giusta per entrambi.
🌹🌹🌹
È il fascio di luce che oltrepassa la finestra a svegliarmi. Prendo il cellulare dal comodino per controllare l'orario, e constato che ho più tempo di quanto credessi per prepararmi prima di andare in clinica con mio padre.
Mi alzo e lo raggiungo in cucina: è già pronto, e ha una tazza tra le mani.
«Buongiorno, Ariel,» mi accoglie dicendomi con un sorriso.
«Ciao, papà» rispondo e mi passo una mano tra i capelli. «Allora vengo con te, vado a cambiarmi.»
«Non vuoi fare colazione?» mi domanda mentre mi volto per tornare nella mia stanza.
«Potrei prendere qualcosa lì, no?» replico, per non rischiare di farlo tardare.
Annuisce. «Certo. Allora ti aspetto.»
Prendo un paio di jeans e un maglioncino semplice, e dopo essermi vestita metto un libro e gli appunti di biologia in borsa, nel caso avessi del tempo per tirarmi avanti con lo studio. Esco dalla stanza legando i capelli in una morbida treccia che lascio ricadere sulle mie spalle.
«Sono pronta» avviso mio padre, che è in sala a sistemare le ultime cose che gli servono.
«Bene» mi sorride. «Allora andiamo.»
Non è la prima volta che lo accompagno; specialmente quando la mamma stava male, passavo praticamente intere giornate nella clinica in cui lei era ricoverata.
«Com'è andata ieri sera?» mi domanda mio padre mantenendo lo sguardo sulla strada davanti a sé e rompendo il silenzio.
«Tutto a posto» mi limito scegliendo di non andare oltre, di non scendere in dettagli che non gli ho mai rivelato.
«Ho capito, non mi dirai altro» sorride quando le parole lasciando la sua bocca, ma so che sta facendo di tutto per ricostruire il nostro rapporto da zero. Si volta verso di me e cambia espressione. «Solo, stai attenta. Meriti di essere felice.»
So bene a cosa si riferisca, e non c'è bisogno che io replichi ancora. Mi hanno sempre sostenuta con Jake; hanno approvato la mia relazione con lui sin dall'inizio e si fidavano. Anche io mi fidavo di lui.
🌹🌹🌹
Il Nottingham Hospital è immenso, ma ogni singolo corridoio non fa altro che riportarmi indietro nel tempo, e forse è ancora troppo presto.
Mio padre mi presenta ad alcuni suoi colleghi che incrociamo; percorriamo un ampio corridoio del primo piano e lo accompagno nella sala del personale, dove sistema le sue cose e indossa il suo camice bianco. Sulla sinistra, all'altezza del petto, c'è una piccola incisione in blu con il suo nome.
«Puoi lasciare le tue cose qui» annuisco e porto con me soltanto il cellulare.
«Vado a timbrare il cartellino e a chiedere alcune cose, tu aspettami pure qui» dice, così mi siedo su una delle piccole poltrone ad aspettarlo.
Nell'attesa scrivo un messaggio a Zayn. Lo informo del fatto che io sia qui e che non so a che ora tornerò a casa. Mi aveva chiesto di vederci anche oggi, ma non gli ho ancora risposto. Da una parte vorrei rivederlo - specialmente dopo ieri sera - ma dall'altra non voglio affrettare nulla. No voglio dovermi sentire intrappolata in qualcosa che non sono sicura di volere ancora.
Non preoccuparti. Tienimi aggiornato. x
Certo! A più tardi. x
«Ariel» è la voce di mio padre, e quando alzo lo sguardo ha una cartella clinica tra le mani.
«Saliamo al piano superiore.»
Mi alzo e lo seguo, riponendo il cellulare nella tasca posteriore dei miei jeans. Lui riprende: «Ho degli esami veloci da fare, vuoi venire con me o preferisci aspettarmi?»
Non mi viene in mente nulla che potrei fare per occupare il mio tempo con altro, mentre lo aspetterei. «Vengo con te.»
🌹🌹🌹
Sono con mio padre in questa stanza da quasi un'ora e più di una volta ho tentato la fuga con una scusa, ma ho fallito.
Continua ad analizzare campioni e provette, abbozzando qualcosa su dei fogli e controllando la cartella clinica che si è portato dietro. Non abbiamo quasi parlato da quando siamo qui dentro, e io non prendo l'iniziativa perché non voglio interromperlo.
Sussulto quando un urlo riecheggia nella stanza. Mi volto verso mio padre: sta sorridendo. Lo sguardo accigliata non capendo il motivo per cui sorrida; segue un altro grido insieme a una sottile e leggera risata.
«Deve essere arrivato» sostiene mio padre. Io continuo a non capire.
«Chi?»
«Il volontario» dice. Si solleva e va verso la porta. «Vieni.»
«Ah,» replico. «Arrivo subito.»
La curiosità mi sta divorando; mi ha parlato tanto di lui, e so conosco abbastanza mio padre da sapere che non l'avrebbe fatto se non ci tenesse davvero.
Usciamo entrambi sul corridoio del reparto; mi volto a destra e a sinistra per cercarlo, per capire chi abbia gridato.
«Eccolo.»
Seguo lo sguardo di mio padre e sorrido quando confermo i miei sospetti riguardo alla risata che avevo intuito provenisse da un bambino che continua a lanciare gridolini mentre si tiene all'asta di una sorta di monopattino elettrico. Un ragazzo è dietro di lui, ma è di spalle e per questo non riesco ancora ad identificarlo bene.
Indossa un cappello sulla testa, tuttavia provo a capire meglio di chi si tratti. Lascio vagare il mio sguardo sul suo corpo, e nel momento in cui osservo gli stivali che indossa quasi resto bloccata nei miei passi.
Non può essere, mi ripeto. È soltanto una coincidenza. Deve esserlo.
Ma è quando si volta del tutto che ho bisogno di ricredermi, perchè è esattamente chi credevo che fosse. È lui.
Sembra avere la mia stessa reazione quando i suoi occhi incontrano i miei: l'ampio sorriso sul suo volto quasi scompare; blocca il veicolo e così il veicolo e il bambino con sé, nel bel mezzo del corridoio.
«Ariel, questo è Harry» me lo presenta, ignaro di come stiano le cose in realtà. La sua voce a me pare quasi un sussurro, perchè in questo momento riesco soltanto a pensare al ragazzo di fronte a me che era l'ultima persona che potessi aspettarmi di trovare oggi, qui.
«I bambini lo adorano» continua mio padre. Si sposta dalla soglia della porta ed esce completamente nel corridoio per raggiungerlo.
«Harry, questa è mia figlia Ariel» il sorriso sul volto di mio padre è evidente, e non ho la forza necessaria per spezzarlo. Quasi come se mi leggesse nella mente, Harry tende la sua mano verso di me, fingendo così di vedermi davvero per la prima volta.
«Ciao, Ariel. Tuo padre mi ha parlato molto di te. Io sono Harry» accenna un sorriso io e lascio che la mia mano raggiunga la sua. La stringo e il solo contatto con essa provoca dei brividi lungo la mia schiena.
«Piacere di conoscerti, Harry.»
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