2. Tra romano, dolori alle tempie e va' al diavolo
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RACHEL, 147 GIORNI PRIMA
«Ma che lingua parlano?» sento chiedere da Elisheva, mentre guardiamo giù dal Ponte della Vita. È l'unico posto da cui noi angeli in età dell'apprendimento possiamo guardare gli umani, nonché mio posto preferito di tutta la Città Sospesa. Sul punto in cui stiamo guardando sta tramontando il Sole, mentre qui è ancora pieno giorno. È Dio a scandire i ritmi delle giornate: quando lo decide lui è giorno, quando lo decide lui è notte. Non ho mai visto un tramonto, se non dal Ponte della Vita. La Città Sospesa è situata in un punto fisso, perciò non ruota assieme alla Terra e non ha cicli regolari come il pianeta.
Corrugo la fronte, riflettendo sui suoni complessi che Elisheva mi ha costretto ad ascoltare assieme a lei.
«Amos ha detto che si chiama romano, se non sbaglio» informo la mia amica, che inclina la testa da un lato come se potesse aiutarla ad ascoltare meglio quelle parole pronunciate in quel modo così assurdo. Noi angeli sappiamo tutte le lingue del mondo, ma alcuni modi di parlare degli italiani sono così complicati da sembrare lingue a parte. Un conto sono gli accenti, come quelli che variano da Nord a Sud in Francia, o l'inglese che cambia leggermente negli stati americani, ma addirittura inventare parole nuove, che assurdità! Neanche tra loro riescono a capirsi, a volte, se non provengono dalla stessa regione.
«Però è un dialetto, vero? Cioè, parlano un italiano strano, giusto?»
Annuisco alla domanda della mia amica, affondando la mano destra nel sacchetto di patatine che reggo con la sinistra. Mi piace guardare gli umani, perché mi capita spesso di chiedermi come sarebbe stata la mia vita se fossi nata come loro. Invece qualcuno di loro, un giorno, mi toccherà proteggerlo. Lancio uno sguardo su una coppia che cammina mano nella mano: lei, bassa e con i capelli arruffati, mentre lui visibilmente più grande e con i capelli lunghi raccolti dietro la nuca. Sembrano amarsi davvero tanto, mentre ridono e saltellano per strada con la luce del tramonto che li accarezza. Mi chiedo perché a noi angeli non sia permesso vivere un amore così. Che male ci sarebbe, in fondo?
«Che carini, chissà come si sono conosciuti» si domanda Eli, con sguardo sognante, poggiando i gomiti sulla ringhiera che divide il ponte dal vuoto. Lei tende a guardare gli umani come si guardano dei gattini appena nati, come se non li giudicasse davvero esseri come noi. In effetti non lo sono, noi angeli dovremmo essere entità perfette. Eppure li sento così uguali a me, che di perfetto so di non avere assolutamente niente. In fondo, a distinguermi da loro è solo qualche potere in più.
«Secondo me lui vende scarpe» dico, poggiandomi con la schiena alla ringhiera e svuotandomi in bocca i residui di patatine all'interno della bocca. Non dovrei mangiare cibo spazzatura perché so che quando non sarò più alla Città Sospesa mi mancherà, ma per il momento ne approfitto. Se penso a quando avrò una bella ed eterea tunica bianca e guarderò gli umani dall'Eden quasi mi viene il voltastomaco. Dovrei aspettare con ansia quel giorno, ma l'unica cosa che riesco a pensare è che non voglio crescere. Mi piace la vita nella Città Sospesa, mi fa sentire una semplice adolescente umana. Ma eccomi qui, ancora a fare paragoni con degli esseri che, in un certo senso, sono quasi miei figli.
«Scarpe?» chiede Elisheva, come schifata dal mio commento, riportando lo sguardo sugli umani con un sospiro e risvegliandomi dai miei pensieri. «Come sarà bello proteggerli!»
Mi abbandono ad una risatina all'udire quelle parole, perché io di bello non ci vedo proprio niente. Triste, al massimo. O forse seccante?
«Un vero spasso» commento sarcastica, accartocciandomi nelle mani la busta vuota di patatine e facendola scomparire con un veloce gesto delle dita.
«Secondo voi l'ironia è peccato?»
È la voce di Amos a coglierci alla sprovvista, che si appoggia alla ringhiera dalla parte del vuoto mentre le sue ali bianche gli permettono di starsene a mezz'aria. Elisheva sussulta sorpresa, allontanandosi spaventata dalla ringhiera, mentre io mi volto verso il nostro amico-nato-dalla-parte-sbagliata.
«Se l'ironia fosse stata un peccato le mie ali sarebbero nere da tanto tempo, Amos» affermo, facendo ridacchiare i miei due amici. Il rosso finalmente scavalca il parapetto, facendo scomparire le sue ali. Lui le usa spesso, perché si diverte, mentre io cerco di usarle il meno possibile. Forse, in fondo, non ho mai davvero accettato che la Luce abbia scelto me per ricoprire questo compito così scomodo da angelo. Essere un umano sarebbe di sicuro più semplice, per una come me. Vittima del flusso degli eventi, senza potere decisionale.
«Comunque ho sentito dire in giro che Leah è tornata. Giusto in tempo per lo stage finale!» ci informa Amos, stringendoci a sé mettendoci le braccia sulle spalle.
«E quindi?» chiede la nostra amica dai capelli viola, con una faccia al limite del disgustato. Leah è ancora un tasto dolente, per lei.
«Quindi, Elisheva, cerca di essere accogliente e di non fare la suora conservatrice» la rimprovera Amos, dandole un colpetto in testa con la stessa mano con cui la stringe. La ragazza alla sua destra sembra altamente contrariata, tanto che mette il broncio e si gira dall'altra parte.
«Yoel era anche amico vostro.»
Le parole di Eli appena sussurrate suonano cariche di astio, forse anche disprezzo nei confronti miei e di Amos, che ci guardiamo quasi dispiaciuti. Yoel e Leah erano nostri amici.
«Non pensavamo che sarebbe finita così» si lascia sfuggire il ragazzo prima che io possa aprire bocca, poggiando amorevolmente una mano dietro la schiena della nostra amica.
«Se violi le regole finisce sempre così» risponde a tono Elisheva, continuando a guardare dall'altro lato. Il solo guardarci in faccia la ripugna, quando entrano nel discorso i nomi di Yoel e Leah.
Già, se violi le regole diventi un angelo caduto. Ma le regole di chi? Le regole di un Dio che non si è mai mostrato a noi angeli? Le regole di un Dio che riserva le sue parole solo ed unicamente ai Serafini? Un Dio che non ci ha pensato due volte a punire il suo angelo più bello solo perché si era innamorato?
Scuoto la testa, scacciando via quei pensieri. Si può peccare anche solo con la mente, no? Prendo un grande respiro, per poi dare un colpetto sulla spalla di Amos alla mia destra per richiamare la sua attenzione.
«Io torno in camera, ci vediamo a cena» informo i miei unici due amici, diretta verso il dormitorio. Tutto quello che vorrei ora è solo buttarmi sul letto e dormire. Io ed Eli abbiamo passato tutta la giornata a studiare, che è fondamentalmente l'unica cosa che possiamo fare noi angeli: niente feste, niente alcol, niente fumo, niente passatempi! In pratica, tradotto: un mortorio. Se avessi un obbiettivo non mi peserebbe così tanto, ma siccome non mi importa essere né angelo custode né Principato lo studio mi pesa eccome.
All'improvviso avverto una fitta lancinante alle tempie, che mi costringe a chiudere gli occhi. Tasto con la mano il muro alla mia destra, fino ad appoggiarmici definitivamente. Il dolore non sembra diminuire, anzi, continua a crescere sempre di più. Mi poggio con la schiena al muro, fino a scendere a terra. Stringo i denti e i pugni, cercando un briciolo di forza per aprire gli occhi.
«Rachel! Devo uscire con Leah, mi copri?»
Guardo dritto negli occhi azzurri il mio migliore amico, facendogli cenno di abbassare la voce. La sala mensa è stracolma di persone e gli angeli hanno un udito parecchio sviluppato.
«Che vuoi che faccia? Chiedi ad Amos, è il tuo compagno di stanza» lo liquido, prendendo una cucchiaiata di minestra. Credo proprio che andrò a prendermi delle patatine più tardi, se non voglio morire di fame.
«Dai, Rachel! Rachel!» la voce di Yoel continua a chiamarmi, riducendosi sempre di più ad un sussurro, mentre la scena di fa nera davanti ai miei occhi.
«Rachel!» il suono della voce di Yoel diventa velocemente quello di una donna che non conosco, il che mi induce ad aprire di scatto gli occhi che tengo serrati con forza per il troppo dolore. Mi ritrovo davanti qualcuno che a primo impatto non mi sembra di riconoscere e che di sicuro non ha pronunciato il mio nome, perché si tratta di un ragazzo.
«Angioletto, ti senti bene?»
Questa è la sua voce che mi giunge all'orecchio e non mi sembra neanche completamente nuova, ora che ci penso. Cerco di calmarmi per rendere più chiara la figura che mi sta tenendo per le spalle. Riconosco gli occhi rossi che fissano preoccupati i miei più angelici occhi azzurri e i capelli neri arruffati, tenuti raccolti in una mezza coda dietro la nuca. Quando scorgo quella cicatrice sull'occhio mi viene istintivo scrollarmi di dosso le mani di un demone, spingendomi sempre di più con la schiena contro il muro, quasi impaurita. Il ragazzo appare addirittura dispiaciuto, mentre si allontana da me che sembro una bambina alle prese con un ladro.
«Scusa...» riesco a dire, quando lo vedo rivolgermi uno sguardo carico di senso di colpa, accorgendomi che il dolore alle tempie è passato. Il demone mi porge una mano, per aiutarmi a rimettermi in piedi. Accetto volentieri anche per scusarmi di averlo trattato come un maniaco quando cercava solo di aiutarmi, beccandomi le occhiatacce degli angeli che stanno passando che mi costringono ad alzare gli occhi al cielo. Intanto lui si è fermato per vedere perché ero accasciata a terra mentre mi contorcevo dal dolore, mentre quegli ipocriti dei miei simili hanno continuato a camminare. Se è questo che significa essere un angelo, non sono davvero così sicura di volerlo essere per sempre.
«Va tutto bene?» mi chiede il demone, che mi sembra ricordare di chiamarsi Flaw, mentre io mi massaggio le tempie ancora indolenzite con le mani e tengo gli occhi puntati a terra.
«Sì, più o meno. Non so che mi sia preso, mi dispiace.»
Flaw risponde alle mie parole, che ancora faccio fatica a pronunciare per il dolore lancinante di prima, mettendomi semplicemente un braccio sulle spalle con riluttanza. Arrossisco impercettibilmente, per poi assestargli un colpo sul petto che lo fa indietreggiare.
«Senti, non so come vi consoliate voi angeli, almeno apprezza lo sforzo!»
Lo guardo per un attimo incredula, lasciando tingere le mie guance di un rosso vivo, iniziando a ridere alle parole del demone. Lui sorride un po' incredulo vedendomi così piena di vita, dopo che gli sono quasi svenuta davanti.
«Come mai giri da solo? Niente amichetti demoniaci?» riesco a chiedergli, ricordandomi perfettamente dei suoi due amici della biblioteca. Lui alza le spalle con noncuranza, infilando le mani nelle tasche del giubbotto in pelle che indossa.
«Stanno studiando...» lo dice quasi vergognandosi di quanto è appena uscito dalla sua bocca, vergogna che viene probabilmente accentuata dalla mia risata trattenuta a stento che mi fa guadagnare un'occhiataccia. Non riesco a trattenermi fino alla fine, piegandomi davanti a lui per le risate.
«Scusa, è che proprio non riesco ad immaginare un demone con gli occhiali da vista piegato sui libri a studiare!» L'ultima parola non fa che accentuare ancora le mie risate, mentre Flaw continua a guardarmi con sdegno. Vorrei fermarmi perché sembra arrabbiato, ma la scena di lui che legge Uno, nessuno e centomil(ali) mi fa davvero contorcere dalle risate.
«Come pensi che superiamo gli esami finali, per opera dello Spirito Santo?» dice ironico il demone, facendomi smettere di ridere subito per assestargli un altro colpo al petto. Ora va bene che non sono il miglior angelo che la Luce abbia partorito, ma a difendere il mio credo non ho di certo remore.
«Non dire queste cose!» lo riprendo infatti, facendogli ruotare gli occhi di almeno centottanta gradi. Temo quasi che possano rimanergli incastrati a metà.
«Perché, altrimenti Dio mi sente e manda i Sette a punirmi?»
Stavolta sono io a far compiere una bella piroette ai miei occhi, per poi tornare ad incastrarli nei suoi rossi, colore così insolito per noi angeli e così tipico per i demoni. Per loro è un vanto quel colore, come per noi è un vanto avere gli occhi azzurri. È ironico che sia proprio la tinta dei miei occhi, dell'angelo peggiore nato nella gerarchia più inferiore.
«Il tuo Signore lo sa bene, quindi eviterei di scherzarci su» rincaro la dose, sperando di zittirlo, ma Flaw sbuffa una risata.
«Almeno Lucifer si mostra a noi demoni. Voi angioletti l'avete mai visto il vostro Dio?» mi chiede, avvicinandosi a me con un ghigno ad incorniciargli le labbra.
Stringo i pugni, evitando di arrabbiarmi perché non ne vale la pena e commetterei un principio di peccato per colpa sua. Ecco quello che vuole: farmi peccare.
«Dio si mostra continuamente ai Serafini!»
«Oh, i Serafini! Quella schiera di burattini comandata da Michael, intendi?»
Serro la mascella, reprimendo la voglia di assestargli un pugno in faccia. La mia ammirazione per i Serafini è l'unica cosa che mi tiene ancorata saldamente a questo mondo degli angeli. La speranza di diventare una di loro non mi abbandonerà mai completamente, nonostante tutti mi dicano che è impossibile e che dovrei smettere di pensarci. È l'unica cosa che mi tiene in vita.
«Senti, maledetta anima abbandonata da Dio...» le mie parole furiose sono bloccate prontamente dal suo palmo che si posiziona sulla mia bocca e mi fa perdere qualche battito. Non capisco perché, ma ogni volta che mi tocca sento qualcosa di profondamente sbagliato farsi strada nel mio stomaco. Lo guardo con gli occhi spalancati, confusa e intimidita, ma il suo sorrisetto beffardo stranamente mi calma.
«Se mi prendi a brutte parole commetti peccato e il tuo Dio ti sente. Per quanto io possa essere cattivo, hai un viso troppo angelico per passare dalla mia parte» dice, prima di toglie la mano dalla mia bocca, costringendomi a mordermi il labbro per nascondere il sorriso che si sta formando spontaneamente sulla mia faccia. Perché diavolo mi viene spontaneo sorridere alle parole sussurrate di questo imbecille? Flaw guarda l'orologio che tiene al polso, per poi farsi spuntare le ali nere sul dorso.
«Nonostante tu sia l'unico angelo divertente che conosco si è fatto tardi e devo andare, ma se vuoi ci rivediamo.» Le sue parole non so se mi irritano o mi fanno ridere. Probabilmente entrambe le cose.
«Io non voglio proprio niente!» mi lamento, portando le braccia al petto e facendolo ridere per la mia espressione adirata.
«Dopo gli esami finali non potremo avere nessun tipo di rapporto. Sicura di voler rimpiangere quel giorno in cui Flaw, demone di seconda classe di fuoco e futuro demone infernale, ti ha chiesto di uscire?» Arrossisco più di prima, così sono costretta a cercare di coprirmi le guance con le mani. Chiesto di uscire? Crede forse di essere in uno di quei film strappalacrime che guardano gli umani quando vengono lasciati?
«Ma va' al diavolo, Flaw!» gli urlo dietro. Lui ride, sventolando la mano in segno di saluto e spiccando il volo.
«Ci sto andando, Rachel!»
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