Lentiggini

Dazai aprì lentamente gli occhi. Mise a fuoco sbattendo più volte le palpebre il muro bianco davanti a sé. La luce del sole che arrivava dalla finestra lo costrinse a schermarsi il viso con l'ombra della mano. Sbadigliò pigramente, per poi girarsi sul fianco sinistro. Sentiva freddo ai piedi e li sfregò fra loro per scaldarli. Si tirò la coperta sulle spalle e si rimise a sonnecchiare.

Avvertì un soffio caldo solleticargli le guance. Arricciò il naso infastidito e schiuse di nuovo gli occhi per capire da dove arrivasse.

In quel momento si ricordò.

Chuuya dormiva accanto a lui, accoccolato sul fianco destro e con le mani unite sotto la guancia, come farebbe un bimbo. I capelli disordinati gli incorniciavano il viso puntellato di lentiggini e la cassa toracica si alzava e abbassava al ritmo regolare del suo respiro.

Dazai sorrise teneramente, muovendo le gambe per accertarsi di essere effettivamente nudo, poi sospirò contento.

Le spalle ampie di Chuuya, il solo tratto del suo fisico che gli conferiva la capacità di incutere un po' di timore alla vista, così piegate su loro stesse lo rendevano invece indifeso. La pelle candida del petto e della schiena portava segni visibili della notte focosa appena trascorsa; dalla sua posizione Dazai riusciva a distinguerne qualcuno, compiaciuto di esserne l'artefice.
Il lenzuolo copriva il ragazzo appena sopra i fianchi, cadendo in pieghe dolci sull'addome. Le gambe tese erano completamente coperte e fra i piedi e la fine del letto c'era quella che al moro pareva un'infinità di spazio vuoto. Allungò una gamba verso di lui, senza toccarlo, vedendo che fra il proprio piede e la sponda del letto c'erano invece solamente pochi centimetri; la differenza di altezza fra loro lo fece sciogliere per l'ennesima volta.

Chuuya sbuffò nel sonno: l'aria che emise gli sollevò delicatamente le labbra, gonfiandole il necessario per mettere in risalto la loro bella forma e il colore roseo.
Dazai passò la lingua sulle proprie, ripensando a quanto fosse bello baciarlo. Avrebbe potuto chinarsi in avanti e sfiorare la sua bocca, ma si astenne dal farlo, certo che lo avrebbe svegliato.

Era stato Chuuya, la sera prima, a spingerlo con prepotenza in camera da letto. Dal canto suo, avrebbe anche potuto cercare di contenersi; era stato l'altro che, con brama, quasi come se ne avesse avuto bisogno, aveva infilato le mani sotto i suoi vestiti stringendolo a sé.

Come se da quei tocchi dipendesse la sua intera esistenza.

Il moro si era accorto di tutto quel desiderio, di quella necessità disperata; le dita del ragazzo avevano sbottonato con impazienza la sua camicia, la sua voce lo aveva implorato di prendersi cura di lui.

E Dazai non se l'era fatto ripetere due volte.

Aveva gettato via il suo capello (che definiva sempre ridicolo anche se, in realtà, pensava che gli donasse un fascino irresistibile) e il suo cappotto, lo aveva preso in braccio e lo aveva posato sul letto, sdraiandosi poi su di lui e ricoprendolo di baci.

Ridacchiò fra sé e sé ripensandoci. Sollevò di poco il busto, poggiando la guancia sulla mano e facendo leva sul gomito, in modo da poterlo ammirare meglio.

"Prenditi cura di me"

Quelle parole risuonarono nelle sue orecchie, mentre sfiorava con le nocche di indice e medio il viso apparentemente angelico del ragazzo dai capelli rossi.

Non glielo aveva mai chiesto così esplicitamente, pur avendoglielo sempre fatto capire. Però era anche vero che non erano mai rimasti separati così a lungo.

Forse quell'assenza di contatto fra i due non aveva fatto male solo a Dazai.

Poggiò il pollice sul suo mento, accarezzandolo lievemente.

Gli era mancato terribilmente.

Gli era mancata la sua voce, il suo profumo, il suo modo di fare. Gli era mancato litigarci per poi finire a fare pace facendo l'amore. Gli era mancato sfregare il naso contro il suo mentre si abbracciavano. Gli erano mancati molto banalmente i suoi baci e tutte le attenzioni che dava e riceveva.

Socchiuse gli occhi intanto che tracciava con la punta del dito il contorno delle sue sopracciglia. Erano rosse come i capelli, e lui le trovava adorabili.
Gli toccò la fronte e le tempie, scostando con accortezza i riccioli ribelli che gli finivano addirittura negli occhi. I capelli erano l'unica zona del suo corpo illuminata dal sole che si infiltrava nella stanza; Dazai smuoveva le onde rossicce
delicatamente, osservando i meravigliosi riflessi che la luce rivelava.

Con una dolce carezza fece scorrere la mano fino alla spalla. In quel momento, Chuuya strizzò gli occhi e si mosse. Dazai ritirò la mano, ma l'altro non accennava a destarsi e così riprese a coccolarlo.

Notò che aveva un rossore addirittura sul braccio; sorrise, ricordandosi perfettamente di essere arrivato a mordicchiarlo fino a lì. Seguì con gli occhi la scia di lividi che si facevano più frequenti sulla scapola e sul collo. Il pensiero che ci avrebbero messo del tempo a guarire lo rese soddisfatto.

Abbassò gli occhi su sé stesso, verificando di essere coperto di succhiotti esattamente come l'altro. Poi portò la mano dietro alla schiena, riuscendo a toccare quei graffi che Chuuya gli aveva lasciato. Aveva sempre avuto il vizio di aggrapparsi a lui in quella maniera, lasciandogli di conseguenza dei solchi con le unghie.

Uno, due, tre, quattro.

Dazai contò le linee in rilievo sulla propria pelle.

Cinque, sei, sette.

Scosse la testa, pensando che quella volta lo avesse conciato peggio del solito.

Non che a lui la cosa dispiacesse. Anzi.

Si rimise comodo e poggiò un dito fra due delle sue costole, facendolo scivolare fino allo sterno, appena sotto al cuore.

Se c'era una cosa che Dazai amava di Chuuya, una caratteristica fisica che lo catturava come una calamita fa con gli aghi, quella era la lieve peluria rossiccia che si intravedeva sulla sua pancia. Iniziava a crescere appena sotto i capezzoli, così rada che si notava appena. Scendeva quasi invisibile fino all'ombelico, per poi farsi più folta nel basso ventre.
Dazai accompagnava il percorso degli occhi con il polpastrello. Sfiorava quei peli chiari, chiedendosi come diavolo potessero rendere Chuuya così tremendamente attraente.

Infilò la mano sotto la coperta, poggiandola sulla sua anca. Gli avrebbe volentieri toccato il sedere, se ci fosse arrivato.
Ripensò a come lo aveva stretto la sera prima, a come gli aveva tenuto saldamente i fianchi mentre si muoveva dentro di lui. Gli risuonarono i suoi gemiti nella testa, accompagnati da parole così dolci che nessuno avrebbe mai pensato fossero state dette proprio da Chuuya. Sentì di nuovo le sue unghie che lo graffiavano sulla schiena; quella sensazione lo fece rabbrividire.

Lo accarezzò fino a metà coscia, poi ritrasse il braccio. Posò di nuovo la testa sul cuscino e rimase ad ammirarlo, sfiorandogli la guancia con il dorso della mano di tanto in tanto.

Il sole si fece mano a mano più luminoso, arrivando a illuminare per intero il viso di Chuuya.

La prima cosa che percepì svegliandosi fu appunto quella luce fastidiosa. Gli faceva bruciare gli occhi pur tenendoli chiusi, e appena li aprì glieli fece anche lacrimare.
Mentre sbatteva le palpebre tentando di scacciare quella sensazione pungente, avvertì un tocco delicato sulla guancia. Era dolce e caldo, e in un primo momento la sua reazione spontanea fu quella di farsi più vicino e di sfregare il viso sulla mano che lo stava accarezzando.

<<Buongiorno, angioletto>>

Chuuya udì quella voce morbida solleticargli le orecchie. Sospirò e sorrise.

<<'Giorno, zuccherino>> mugolò, ancora mezzo addormentato.

Allungò il braccio in avanti, tastando con le dita il corpo dell'altro alla ricerca delle sue labbra. Risalì dal petto fino al collo e alla mascella; trovò la sua bocca, la sfiorò con il pollice e sorrise. Sentì Dazai ridacchiare, poi lo afferrò per il mento e si sporse verso di lui, stampandogli un bacio sulle labbra. Fece per tirarsi indietro, ma la mano del moro sulla sua nuca lo spinse a mantenere quel contatto. Chuuya inspirò rumorosamente avvertendo la propria bocca bagnarsi di saliva e gli si fece ancora più vicino.

Si staccò, producendo uno schiocco sonoro. Dazai gli accarezzava i capelli, facendogli venire i brividi. Spostò alcuni ciuffi scuri dalla sua fronte, per poi baciarla dolcemente.

In quel momento, come un flash, gli tornarono in mente gli attimi della sera prima che lo avevano portato in quella casa, in quella stanza, in quel letto. Sbarrò gli occhi e si ritrasse.
Si ricordò di aver incontrato Dazai per caso (anche se tanto un caso non era, dato che il moro lo aveva seguito nel suo locale preferito) e di essersi lasciato convincere a salire da lui.

"Sei troppo ubriaco per guidare" gli aveva detto Dazai. Forse aveva ragione, aveva davvero bevuto troppo. Anche per quel motivo si era lasciato persuadere a fermarsi da lui. O forse, invece, era solo leggermente brillo, e la ragione per cui aveva accettato era che l'invito dell'uomo era troppo allettante per essere rifiutato. Forse perché, lucidamente, sentiva il bisogno di stargli vicino, la necessità di passare del tempo con lui. Forse non era stato il vino ad annebbiargli la mente, ma il suo cuore.

Sciolse di scatto l'abbraccio e si liberò dalle coperte, balzando in piedi. Raccolse da terra la sua camicia e la biancheria intima, poi corse in bagno e si chiuse la porta alle spalle.

Sospirò e strizzò gli occhi in un'espressione sofferente, battendosi una mano sulla fronte.

Era stato un idiota. Idiota e debole. Per l'ennesima volta non aveva saputo dirgli di no.

Si passò una mano fra i capelli, sbuffando.

Non era possibile che, puntualmente, una parola di Dazai fosse sufficiente per far crollare tutti i suoi propositi di resistergli e di conservare la propria dignità, oltre che di fargli capire che non era certo il suo giocattolino.
Dazai lo aveva abbandonato. Lo aveva lasciato solo. Avrebbe dovuto odiarlo. Avrebbe dovuto avere il desiderio di vendicarsi, di fargliela pagare.

Sfregò i denti fra loro, nervoso.

Al contrario, l'unico suo desiderio era quello di avere il suo profumo sui vestiti e le sue labbra sul corpo. Era addormentarsi con la testa sul suo petto, con il battito del suo cuore e il suo respiro nelle orecchie e un dolce "ti amo" sussurrato mentre gli accarezzava la schiena.

Poggiò gli abiti sul mobile bianco del bagno, accanto ai numerosi rotoli di bende di Dazai. Notò un nuovo tipo di shampoo, un barattolo che non aveva mai visto prima lì; lo prese e tolse il tappo, avvicinandolo al viso. Lo annusò socchiudendo gli occhi. L'odore era dolce e insolito, lo stesso che avevano i capelli di Dazai.
Allontanò la confezione per leggere l'etichetta.
Vaniglia.
Chuuya sorrise, inspirando di nuovo quel profumo. Trovava che fosse particolarmente adatto al moro.

Lo rimise a posto, sospirando.

Si avvicinò al lavandino dopo aver fatto pipì per lavarsi le mani. Si gettò dell'acqua gelida anche sul viso, cercando di svegliarsi. Mentre si asciugava, gli cadde l'occhio sul proprio riflesso allo specchio.

Deglutì, poggiando un dito sulla propria pelle. Era ricoperto di succhiotti. Fece scorrere il polpastrelli sui quei segni, giocando a tracciare linee che li unissero. Pigiava leggermente sui lividi, e quel lieve dolore lo riempiva di brividi.

Vide che, attorno a uno dei capezzoli, aveva la chiara impronta di un morso. Ruotò il busto, notando la stessa cosa anche sul braccio. Strinse il labbro fra i denti, ricordando come Dazai aveva affondato i denti nella sua carne. Gli venne in mente di aver fatto lo stesso, e sperò di avergli lasciato qualche traccia simile.

Poi, però, scosse la testa. Il rimorso tornò prepotente a fargli visita.

Come lo aveva pregato la sera prima, sfregando il naso sul suo petto e alzandosi in punta di piedi per riempirgli il collo di baci.

Si prese il viso fra le mani, in preda all'imbarazzo. Aveva le guance bollenti. Si appoggiò con la schiena contro alla porta, lasciandosi poi scivolare sul pavimento.

Dazai aveva cercato di allontanarlo delicatamente, e lui, in risposta, aveva mugolato contrariato. Gli si era avvicinato di nuovo e gli aveva sussurrato all'orecchio: "Mordimi, zuccherino". A quel punto, Dazai aveva ammiccato in quella maniera che ogni volta gli faceva perdere la testa. Lo aveva portato sul letto e spogliato, e poi assecondato le sue richieste.

Strizzò gli occhi, cercando di pensare ad altro al posto di concentrarsi su quanto si vergognasse di quella debolezza.

Sospirò e si rimise in piedi. Afferrò la camicia e la indossò.

Era una debolezza quella, ovviamente. Avere un così disperato bisogno di un'altra persona, della sua voce e delle sue parole, della sua presenza e del suo profumo e soffrire costantemente la sua mancanza quando separati non poteva che essere una debolezza.

Allungò una mano verso uno dei cassetti sotto al lavandino. Lo aprì e prese una spazzola di legno, poi si mise a districare i nodi che aveva nei capelli.

Cedere all'amore era la sua più grande debolezza.

Si allacciò il choker, sistemò il colletto bianco, rimise tutto in ordine e poi uscì dal bagno. Rientrò nella stanza di Dazai. Camminava a testa alta, ma teneva lo sguardo basso. Prese i vestiti rimasti in giro e se li mise addosso.

Con la coda dell'occhio vide il suo amato sdraiato su un fianco, con la guancia contro la mano e il gomito puntato nel cuscino, osservarlo con un sorrisetto dolce dipinto sulle labbra.

<<Levati quel ghigno dalla faccia, coglione>> gli disse Chuuya.

<<Un bacetto me lo dai prima di andare?>> gli chiese Dazai.

<<Potremmo anche fare colazione insieme, angioletto>>

<<Col cazzo>> rispose il rosso intanto che si allacciava le scarpe.

<<Il solito, vecchio Chuuya>>

Dazai si lasciò cadere supino sul materasso. L'altro prese il proprio cappello e se lo premette sul capo, impaziente di uscire da quella maledetta casa.

<<Mi porti della candeggina quando esci?>>

<<Non dire stronzate, zuccherino>>

Chuuya si tappò la bocca velocemente, arrossendo per essersi lasciato scappare quel soprannome.

<<Mmh, la prenderò poi da solo>>

Dazai si coprì fino al collo e chiuse gli occhi. Chuuya lo vide sorridere compiaciuto e si morse il labbro, contrariato per avergli dato quella soddisfazione.

<<Tranquillo, ieri sera hai fatto di peggio>> se ne uscì il moro, come se gli avesse letto nel pensiero.

Chuuya non ribatté. Camminò velocemente per il corridoio e arrivò davanti alla porta di casa. Strinse i pugni, frustrato. Pensava di andarsene e basta, invece avrebbe dovuto rivolgergli di nuovo la parola.

<<Osamu!>> urlò.

<<Le chiavi non sono al solito posto, dove cazzo le hai messe?!>>

<<Cosa?>> arrivò soffuso dalla camera.

<<Le chiavi! Non le trovo!>>

<<Non ti sento!>>

Chuuya inspirò rumorosamente, innervosito dal comportamento dell'altro. Girò sui tacchi e tornò in camera da letto.

<<Osamu, mi servono le chiavi per uscire>>

Dazai sorrise. Allungò una mano verso il comodino e prese il mazzo dal cassetto.

<<Eccole>>

Gliele lanciò e Chuuya le prese al volo, sbuffando.

<<Potresti almeno dirmi grazie>>

<<Taci>>

Aggrottò le sopracciglia e schiuse la bocca in un'espressione che era un misto fra lo stupito e l'arrabbiato; si diresse di nuovo ad ampie falcate verso la porta, girò velocemente le chiavi nella serratura, le rimise a posto e poi uscì di casa.

Camminando lungo la strada, sorrise.

In fondo, a lui non importava un bel niente di essere debole per amore. A lui importava solo dei baci di Dazai.

Dazai, sentendo la porta chiudersi, si mise seduto sul letto. Si stropicciò gli occhi, poi gli cadde lo sguardo su un indumento grigio abbandonato sulla sedia che teneva in camera. Con la fronte corrugata, si alzò e lo prese. Lo spiegò, poi lo portò al viso e lo annusò.

Un enorme sorriso si accese involontariamente.

Era il maglioncino di Chuuya.

Mi ha fregato di nuovo, dannazione. A questo proprio non avevo pensato.

Lo strinse al petto come avrebbe voluto fare e rifare con il proprio ragazzo.

Mentre Chuuya entrava nella sede principale della Port Mafia sistemandosi la tela del cappello, Dazai fissava il soffitto ignorando le chiamate dell'Agenzia.

Erano entrambi soddisfatti. Uno aveva trovato un modo innocuo di mostrare i propri sentimenti, l'altro aveva la garanzia che si sarebbero rivisti.

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