iii. dà retta a me, ascolto te

NINJAGO CITY
23:30 PORTO

Rin si sentiva in colpa.

Aveva promesso alla sua famiglia che non sarebbe più tornata tardi, che avrebbe provato a stare più tempo con loro . . . eppure erano le undici e mezza di sera e tutto ciò che si stagliava di fronte a lei era l'immenso porto della città.

Non sapeva dove andare, e il biglietto che aveva in mano diceva soltano di recarsi a mezzanotte davanti al molo 66, disarmati e da soli. Tutto fatto, tranne l'essere disarmati: i suoi fedeli Sai erano abilmente nascosti tra le pieghe dei pantaloni.

Circa un quarto d'ora dopo iniziarono ad arrivare altre persone, tutte in maniera diversa e tutte alquanto peculiari: un ragazzo di circa vent'anni comparve trasportato da una nuvola di fumo; un uomo barbuto e sulla cinquantina spuntò dall'acqua, facendo quasi venire un infarto a Rin, sorretto dalle alghe; una ragazza dai capelli blu saltò giù da una motocicletta laccata di viola; un'altra ancora, dai corti capelli verdi, arrivò camminando come se nulla fosse, ma Rin fu certa di aver visto l'asfalto sfrigolare ad ogni suo passo, come se il suo corpo fosse fatto d'acido.

Individui particolari, come minimo.

Non aprì bocca, e stessa cosa fecero gli altri, rimanendo ognuno per conto proprio. Almeno non sono costretta a parlare si disse.

«Sono d'accordo. L'uso della parola è incredibilmente sopravvalutato».

Si girò verso la voce, le sopracciglia aggrottate. A parlare era stato un uomo di mezza età, le basette bianche ai lati della testa, e alcune rughe sulla fronte, che non facevano altro che renderlo più minaccioso. Come al solito, Rin fece un passo indietro. Come aveva fatto a

«Sapere cosa pensavi?» rise pacato, mentre una scintilla divertita passava nei buchi neri che erano i suoi occhi.

La ragazza lo guardò in silenzio inchinarsi, un braccio teso al suo fianco e l'altro sul petto. «Neero, Maestro della Mente» si presentò, e un brivido di paura corse sulla schiena di Rin. Non poteva permettersi che qualcuno di estraneo frugasse nella sua testa.

«E come mai, se posso chiedere?».

Con quella che sperava fosse un'occhiataccia (non era molto brava ad arrabbiarsi), pensò: secondo te? Non sono affari tuoi.

Pensare era molto più facile di parlare.

Con l'ennesima piccola risata, l'uomo scosse il capo, ma non aggiunse altro, allontandosi da lei con le mani unite dietro di sè.

E quando Rin decise fosse abbastanza lontano, si concentrò, cercando di infiltrarsi in quelle che erano le sue emozioni. Scherno, noia, curiosità . . . ma fu certa che, al di sotto di esse, aleggiasse una forte tristezza.

Passandosi le dita in una ciocca di capelli, distolse lo sguardo. Era da molto tempo che non usava in modo così diretto il suo potere, ma non aveva resistito. Forse per paura, forse per interesse. Non ne era sicura.

Pian piano, a quei soggetti ne seguirono altri altrettanto iconici: una specie di uomo invisibile, che era spuntato dal nulla, ed era nient'altro che dei vestiti volanti, nessun corpo visibile al di sotto; un'individuo dalla pelle dorata e un turbante sulla testa, che era planato sul molo come trasportato da una forza invisibile; un simil-vampiro, pallido come un cadavere, che Rin giurò di aver visto spuntare da un'ombra; un tizio con dei grossi occhialoni neri e un bastone da non vedenti in una mano; un velocista che lasciava una scia bianca al suo passaggio; una specie di orso grizzly di metallo, così grande e grosso che lei e gli altri parevano degli stuzzicadenti al confronto; e infine una semplice ragazza, i lunghi capelli rossi che sfuggivano dal cappuccio della felpa arancione che indossava.

Non aveva idea di chi fossero, e non aveva intenzione di scoprirlo, perciò si tenne a debita distanza da tutti, sedendosi con le gambe a penzoloni sulla passerella di legno.

L'acqua marina schizzava leggere gocce sul suo viso, e il buio intorno a lei le fece chiudere gli occhi, lasciandosi cullare dalla calma di quella notte.

Inspira. L'odore di salsedine le inondò le narici. Espira. Ecco che si sentiva molto più rilassata.

Ignora il resto, ignora le voci, ignora i sentimenti degli altri. Pensa solo ai tuoi. Ma come si può quando il tuo stesso essere ti obbliga ad aiutare l'altro?

Non è importante ora pensò, fregandosene della possibile presenza di Neero.

Fu quando avvertì una forte ondata di confusione che si irrigidì, tornando subito vigile.

Si guardò intorno, ma era sola, sempre lì, seduta sulle assi del pontile. L'unica differenza era l'enorme battello viola che aveva appena ormeggiato e . . . quattro nuovi ragazzi.

Oh, no.

Rin tirò subito su il cappuccio della felpa, fregandosene dell'occhiata che una delle ragazze le lanciò. Ecco da chi veniva quella confusione.

Il Ninja Verde era appena comparso tra la folla e, insieme a lui, Kai e gli altri due ragazzi che, qualche giorno prima, aveva visto al ristorante di noodles.

Cercando di non pensare, e mimetizzandosi tra gli altri individui, Rin pregò con tutta se stessa che non la riconoscessero. O sarebbe stata fregata.

Per fortuna, se così la poteva definire, in quel momento un asse venne calata tra la nave e la passerella, e sul ponte della barca fece il suo ingresso lo stesso uomo inquietante che le aveva consegnato il biglietto.

Rin infilò le mani in tasca, gli occhioni color cioccolato puntati sui suoi piedi.

Si mise in fila come tutti gli altri, rifiutandosi di alzare lo sguardo.

«Signorina, sono desolato, ma temo di dover prendere i magnifici Sai che ha portato con sé».

Con un sospiro, la ragazza sfilò le armi dai vestiti e, guardandolo con la coda dell'occhio, le porse all'uomo. Se l'era aspettato. Dopo tutto quel mistero e quei preparativi era impossibile non si accorgessero di una cosa del genere.

«La ringrazio» disse, gettando in acqua le lame come se nulla fosse, le labbra piegate in un sorriso alquanto controverso. «E le auguro di godersi il viaggio».

Senza aggiungere altro, la ragazza superò con una corsetta l'asse, andando, come al solito, a nascondersi il più lontano dagli altri viaggiatori.

Non fece caso alle occhiate curiose di quattro ninja alle sue spalle, men che meno a quella di Lord Garmadon in persona, poco dopo, confusa e quasi preoccupata.

I due Garmadon, responsabili di ogni sua disgrazia, entrambi a pochi metri da lei.

Sicuramente, se l'avesse notato prima non sarebbe mai salita su quella nave.

°. [𖦹] ༄

L'aria notturna spirava fra i suoi capelli: lembi d'oscurità intricati e crespi, lenti ed eleganti come un tempo era la ragazza senza nome.

Rin ammirava in silenzio la luce della luna risplendere sulla leggera e densa superficie del mare. Poteva percepire ogni minima onda che urtava lo scafo e come le goccioline d'acqua si sollevassero davanti a lei ad ogni scontro, gioielli che parevano più preziosi di un diamante. Sguardo di cioccolato ipnotizzato dalla magnificenza dello spettacolo di fronte a sé, dalla potenza dell'oceano.

Potenza . . . Potere . . .

Gli occhi della ragazza si spostarono fugaci su alcuni dei suoi compagni di viaggio.
Neero, prima, si era presentato come il Maestro della Mente. Esattamente come il figlio di Garmadon era il Maestro del Potere, Kai del Fuoco, e i loro amici del Fulmine e della Terra. E come lei era quello dell'Empatia.

Si chiese il motivo di così tanti Maestri degli Elementi in un unico posto. Di sicuro, chiunque li avesse chiamati aveva uno scopo ben preciso, ma quale?

Per quanto le riguardava era venuta solo perché non aveva altro da fare il sabato sera, ma sapeva che era solo una stupida scusa. Nel esatto momento in cui aveva ricevuto il biglietto, non aveva resistito dal frugare nelle emozioni di quell'uomo, ma tutto ciò che ci aveva trovato era un'ambizione senza precedenti e qualcosa che non poteva ben precisare, come un rancore così radicato nella sua anima che ormai sembrava parte di lui.

Rin era sempre stata curiosa. Specialmente se si trattava di scoprire la vera storia, il motivo del comportamento o delle scelte di qualcuno. Anche se non era sicura fosse per via del suo potere o meno.

Stava di fatto che quel tizio l'aveva intrigata a tal punto da accettare il suo invito. Di qualunque cosa si trattasse.

Appoggiò il capo sul muro dietro di lei, chiundendo le palpebre, determinata a riposare per un po': dopotutto erano nel bel mezzo dell'oceano e la terra non si vedeva ancora.

«Ptsss».

Fu certa di aver udito qualcosa, ma lo ignorò.

«Pts, ehi tu!».

Non è a te — si disse — Non farti coinvolgere.

«Ehi, ehi! Ragazza inquietante!».

Rin strinse gli occhi, ma sta volta si concentrò sulla voce. Era acuta e morbida, come quella di un ragazzo sul punto di una crisi isterica. Di chiunque fosse, stava sussurrando, quasi temesse di svegliarla.

«Ehm, stai dormendo, per caso?».

«Shssh» si intromise un'altra voce, sta volta più profonda. Un nuovo ragazzo, che però non si era preoccupato di abbassare il tono. «Jay! Non vedi che la stai disturbando!».

«Shssshhhh! Non urlare!».

«Ah! Sei tu che stai—».

Le conosceva entrambe.

Rin spalancò le palpebre e i due ragazzi sobbalzarono all'unisono, colti alla sprovvista. Tirandosi di più il cappuccio sul viso, fece per andarsene via.

«Ehi, scusami!» esclamò Jay — se aveva capito bene — alzando le mani. «Non— Non volevo svegliarti, lo giuro! Ma, ehm—».

«Oh, sta zitto» lo rimproverò l'altro, che le rivolse un sorriso forzato. «Perdona il mio amico, è un po' troppo curioso ed è stato a girare su questa barchetta come una scimmia da circo per tutta la notte».

Jay gli scoccò un'occhiataccia.

«Non importa» mormorò Rin, le mani così in profondità nelle tasche dei pantaloni che per poco non le strappò. Alzò appena lo sguardo, notando subito come i due fossero incredibilmente diversi l'uno dall'altro. Ma era sicura li avesse visti diverse volte al telegiornale, magari con una maschera e un bel po' di polvere in faccia.

Jay era il più basso, quasi quanto lei, con dei magnetici occhi nocciola e il viso costellato da una miriade di lentiggini. Lucenti capelli rossicci erano acconciati in modo impeccabile sulla testa, come se passasse ore e ore a spruzzarsi litri di lacca per farli rimanere lisci e perfetti. Esattamente come ricordava, aveva il corpo coperto da un gi blu elettrico. Anche se, in realtà, ogni cosa in lui sembrava elettrica, come se la sua sola presenza potesse illuminare una stanza.

«Sì, beh . . . ci dispiace, non volevamo disturbarti. Sembravi molto . . . rilassata» ridacchiò nervoso l'altro. L'attenzione di Rin cadde sulla piccola crepa che si era formata sulle assi di legno, ai piedi del ragazzo. «Coooomunque, io sono Cole, mentre l'idiota in blu è Jay».

«Ehi!».

Rin annuì, assorbendo in silenzio il sentimento di rivalità che percepiva tra i due.

A differenza di Jay, Cole era più alto e massiccio, il gi nero che non lasciava molto all'immaginazione, fasciando perfettamente i muscoli ben definiti. Però, il suo sguardo era così simile a quello di un orsetto di peluche che Rin non si sentì neanche un po' intimorita. I suoi occhi scuri ricordavano la corteccia delle querce, mentre dei corti ricci circondavano liberi il viso spigoloso e duro.

«Ninja» si ritrovò a dire ad alta voce, senza pensare. Arrossì. Stupida, stupida boccaccia.

Mentre lo sguardo di Jay sembrò illuminarsi, Cole sbuffò, ma era ovvio che anche lui avesse apprezzato l'essere riconosciuto.

«Ci conosci?» esclamò entusiasta il Maestro del Fulmine. Rin fu sicura di aver visto passare nei suoi occhi una vera scintilla, ma annuì comunque.

«Ovvio che ci conosce, Jay. Siamo ventiquattr'ore su ventiquattro su ogni canale televisivo esistente» alzò gli occhi al cielo Cole, senza impedire ad un sorrisetto compiaciuto di fare capolino dalle labbra.

Rin si morse un labbro: «Siete più carini dietro lo schermo» bisbigliò tra sé e sé.

Tuttavia, quando sollevò lo sguardo, ritrovando entrambi i ninja a fissarla, occhi spalancati e quasi feriti, si rese conto di averlo effettivamente detto ad alta voce.

«Oh». Si sentì infiammare ancora di più per l'imbarazzo.

Non aspettò un minuto di più, girando i tacchi e abbassando il capo, guance rosse e pupille ristrette coperte dal pesante cappuccio della felpa.

Solo che si scontrò dritta dritta contro il petto di qualcuno. Thump.

Bastò un secondo.

Viso piatto sul tessuto morbido e caldo dell'altro, la ragazza prese un respiro profondo, di riflesso, e le narici vennero inondate da un profumo che era come niente avesse mai provato prima: fresco e gentile, caldo e confortevole come il vento di primavera; era forte, intenso, come il nucleo del pianeta, ma al tempo stesso dolce e familiare, un abbraccio di tutto ciò che la faceva sentire bene.

Rin cercò di non cambiare espressione quando, a mala voglia, fece un passo indietro e incontrò gli occhi verde brillante del figlio di Garmadon.

Scappò subito via da lui e dai suoi amici, senza guardarsi indietro, rifugiandosi sul lato opposto del ponte, da sola.

Respira — pensò come sempre.
Tuttavia, quando ci provò, l'odore del Ninja Verde le fece girare la testa e stringere i denti.

Che cosa patetica.
Era un ragazzo qualunque, che aveva visto di persona un paio di volte, e lei era lì ad andare fuori di testa per un profumo. Un profumo incredibile, che sapeva della vita stessa.

Era impossibile . . . ci doveva essere di più. Ne era sicura. Non era qualcosa di casuale, si rifiutava di pensarlo. Perché, sennò, voleva dire che lei era così debole.
E non poteva permetterselo.

Quando, mezz'ora dopo, si addormentò sotto le scale della cabina, era ancora inebriata da quella fragranza senza precedenti.

°. [𖦹] ༄

Fu svegliata da un raggio di sole.
Le accarezzava dolcemente le palpebre, infilandosi tra una piega e l'altra per costringerla a tornare vigile.
Lei mugugnò, sprofondando di più nel tessuto della felpa.

«Ehi, ragazzina».

Rin schiuse un occhio.

A parlare era stato uno degli sconosciuti, quello con gli occhiali da sole e il bastone per non vedenti. Le sorrideva mesto.

«Dicono che siamo quasi arrivati, dovresti alzarti».

Stava per ribattere che non le andava, come faceva sempre con sua madre prima di andare a scuola, finché non si ricordò di dove fosse.
Improvvisamente, l'ondeggiare della nave sembrava più evidente, così come l'odore salmastro dell'acqua marina.

Sospirò sollevata, notando con piacere che il profumo del Ninja Verde era sparito dalla circolazione.

Come una bambina, annuì per poi ricordarsi che lui non poteva vederla. Ma quest'ultimo le fece un cenno col capo, girandosi e tornandosene sul ponte principale.
Rin aggrottò le sopracciglia.

«Arrivo» mormorò fra sé e sé, come se volesse confermare ad alta voce ciò che lo sconosciuto sembrava aver già capito.

«Quello è Colin Pevsner, il Maestro del Suono».
Gli occhi di Rin scattarono verso l'ennesimo sconosciuto, che la osservava seduto su un asse, mangiando tranquillo un onigiri.

Non l'aveva notato sul molo, ma sembrava il più anziano tra tutti, con lunghi capelli grigi e il volto solcato da rughe profonde, che però non lo rendevano meno intimidatorio degli altri.

Alla sua affermazione non seppe che altro fare se annuire, annuiva sempre, abbastanza indifferente alla nuova informazione.

«Le sue abilità gli permettono di percepire la più minima vibrazione nell'aria. Scommetto che sta sentendo ogni più nostra minima parola».

Come per provare quest'informazione, il Maestro del Suono alzò una mano in segno di saluto, lontano sul ponte.

Battendo le palpebre, Rin si mise in piedi, le scarpe da ginnastica che squittivano sul pavimento.

«E tu?» mormorò la ragazza, la solita curiosità che la tradiva. «Tu chi sei?».

Contrariamente a ciò che si sarebbe aspettata, l'uomo la accolse con un sorriso caldo e dolce come il miele, ma che, e Rin poteva percepirlo sulla sua pelle, nascondeva un profondo senso di colpa.

«Non è importante adesso» sospirò lo sconosciuto. «Ma se ti fa piacere sentirlo, non sono uno dei partecipanti al torneo».

Forse si aspettava che Rin reagisse con una sorta di sollievo, ma, invece, il suo interesse si concentrò sull'ultima parola: «Torneo?».

Proprio mentre l'altro apriva la bocca per chiarire, si sentì un leggero tonfo. «Signori e signore» chiamò calmo l'uomo inquietante. «Siamo arrivati a destinazione».
E diavolo se lo erano.

La barca era appena stata ormeggiata sulle coste di un'enorme isola. Ogni tipo di colore si mescolava nella vegetazione, fiori, frutti, alberi di tutti i tipi, da cui ogni tanto sbucava un pezzo di cielo. Un unico sentiero di ciottoli color crema che portava fin su a una collina, dove in lontananza, si intravedeva una maestosa costruzione, quasi una fortezza.

Rin ne rimase incantata, ma in qualche modo l'intera location le mise solo più ansia. Strinse le tasche della felpa con più vigore.

«Quell'uomo è Klaus» affermò lo sconosciuto, lo sguardo fisso su di lui, mortalmente serio. «Se c'è un consiglio che posso darti è di non fidarti di lui. O di nessuno dei suoi uomini. Qualunque cosa stiano tramando è nulla di buono».

E mentre Rin osservava il resto dei "partecipanti" scendere dalla nave, tutto ciò che le rimbombava nella testa erano le parole di quell'uomo.

—— angolo autrice!

devo dire la verità: pensavo che questo capitolo sarebbe stato più lungo. ma 3000 parole penso non siano così poche.

comunque spero vi sia piaciuto! si aprono le scommesse sul, secondo voi, perché Rin è rimasta così tanto affascinata dal profumo di Lloyd. non pensavate che avessi messo quella cosa solo per fangirlare un po'? (ok, anche per quello, lo ammetto). imparerete che nulla, e dico nulla, è casuale in questa fanfiction.

ditemi che ne pensate!

e votate, commentate e condividete!
( sì, inizierò a scrivere questa cosa, perché fa ✨aesthetic✨)


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