46: The beginning of the end.
Finalmente al riparo dalla burrasca, mi siedo su una sedia di plastica e metto gli auricolari a tutto volume, mentre "In a Faraway Place" mi fa già fantasticare sulla mia prossima meta: prima, Washington, dove mio padre farà la cerimonia di matrimonio, poi forse passerò nel Quebec, o potrei puntare alla Russia, con il suo inverno rigido e i fiocchi di neve simili a persone, o, se non sono in vena, Chicago. Aspetto secondi, minuti, ore, giorni, mentre il tempo passa lentamente e il check in si avvicina con la lentezza di un pullman: in ritardo e inconsapevole di ciò. Poi, come una visione, appena guardo l'orizzonte vedo una figura magra, alta e vestita di nero.
Anfibi che scuotono il terreno rivendicando ogni passo fatto, jeans neri aderenti e strappati dalle cicatrici del passato, maglietta nera larga per custodire al meglio le proprie emozioni, giacchetto di pelle duro come l'acciaio per proteggersi dalle critiche e dal mondo, capelli con il solito gel per far sembrare che ci sia qualcosa di ordinato nella propria vita. E, come l'allucinazione di un oasi nel deserto, Gerald attraversava a passi feroci, da predatore, l'aeroporto, puntandomi come sua preda, come se adesso fossi io la falena e i miei occhi sulle ali non fossero credibili. I suoi occhi neri si incatenano ai miei e mi fanno sentire impotente, incapace, e mentre lo guardo avvicinarsi tutte le emozioni diventano grigie, insignificanti, perché averlo a pochi passi da me è sufficiente per giustificare la sua assenza. Disperata, mi alzo cercando di raggiungere la tanto agognata acqua, e appena mi rendo conto che non è un'allucinazione, che ci posso fare il bagno dentro, stringo Gerald in un piccola abbraccio. La sua pelle umida è la mia oasi, e le sue mani mi tengono a galla mentre cerco di affondare nella sua maglietta: si stacca da me e i suoi occhi tradiscono le sue parole, chiamandomi. -Mi dispiace. Volevo solo vedere se ti ricordavi ancora di me- non trovo le parole giuste, perché so che questo momento non ne ha bisogno. Lui è alto e imponente, e mi sento altrettanto se mi avvicino: mi sento pronta a tutto e coraggiosa come non lo sono mai stata. -Però ti ho portato un regalo, e spero che almeno questo ti faccia pensare a me, ogni tanto. Non sempre, necessariamente- mi consegna un piccolo pacchetto chiuso in una carta verde smeraldo, e io lo osservo confusa:-Aprilo quando avrai il bisogno di me. Ti amo- le ultime due parole vengono pronunciate sopra l'annuncio del mio volo, ma io le sento chiare e precise. Prima che possa rispondere, però, si porta l'indice alle labbra, mi bacia la fronte e torna da dove è venuto, lasciandomi sola ma con un pezzo del suo coraggio in mano, ma senza quel pezzo di cuore ribelle che mi fa respirare peggio di prima; con questo coraggio però mi incammino verso i controlli, dicendo a me stessa che andrà tutto bene, finché Gerald sarà dalla mia parte, in un modo o nell'altro.
-Tess, allora ci vediamo- dico alla ragazza conosciuta in aereo: è bionda, magrissima, piena di tatuaggi e con un carattere fin troppo socievole ma determinato. Durante il viaggio, abbiamo parlato di piercing e di ragazzi, e mentre le raccontavo di Tyler si è innamorata della sua immagine, descrivendolo come il ragazzo perfetto per lei; invece, per quanto riguarda il matrimonio di mio padre, mi ha dato un paio di dritte utilissime, che utilizzerò subito. Infatti, appena recuperata la mia valigia con la mia vita dentro, scappo fuori dall'aeroporto e chiamo la persona che spero mi accompagnerà e mi aiuterà a trovare un modo per ridurre lo stress del futuro matrimonio di mio padre, che sento incombere su di me come la morte, preciso e puntuale. Infatti, appena prendo un taxi chiamo mio padre e gli informo che sono arrivata, e che porterò un amico: lui, per tutta risposta, mi ringrazia e mi dice che non vede l'ora di vedermi. Come no, brutto vecchio.
-Beh, questa camera è piccola ma vuota, quindi hai comunque spazio per muoverti e perfino un bagno privato. I muri sono insonorizzati, ma dopo le undici e trenta vorremmo che ci fosse meno casino possibile. Detto ciò, quanto vuoi pagare?- mi chiede il proprietario dell'appartamento, un uomo di circa trent'anni che fa il professore e arrotonda dando in affitto due delle sue camere. -Faccio un mese, ma me ne vado tra due settimane- annuisce e mi sorride, consegnandomi le chiavi e uscendo di casa. Subito sola, sola con me stessa. Mi accascio sul letto, che è composto da un materasso per terra, e metto un po' di musica; mentre "Power" risuona sulle quattro pareti e io disegno, mi arriva un messaggio da Rich:"Manchi a tutti. Ah, Mad ci ha provato con Logan ma è stata rifiutata" ridacchio al pensiero di Madison che fa la gatta morta con il bravo Logan, e penso che, infondo, loro saranno gli unici amici che ho ma sono anche i migliori. Rispondo velocemente e sospiro, rendendomi conto che stasera non busserò alla porta di Gerald, che non potrò contare sulla poesia di Tyler, che non potrò più ridere con Richard, che non potrò parlare di capelli con Madison, che non potrò litigare con Shaq e che non potrò più fare affidamento sul carattere solido e stabile di Logan. Adesso sono di nuovo me stessa, sono solamente io. Io e quella scema della mia mente.
"Attenta a come parli, puttana".
Appunto.
Buona lettura, anche se a questo punto lo avrete già letto. Al prossimo capitolo.
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