1: Begin.


Avevo sei anni e le giornate erano uno spasso. Mi svegliavo e nelle maree di cartoni animati, mi vestivo e facevo colazione con la calma tipica dei bambini: mia madre mi portava a scuola, mi dava un bacio sulla fronte e mi lasciava in classe, dopo aver salutato la maestra e alcuni genitori. Coloravo fuori dai contorni e giocavo con i miei compagni, che erano tutti miei amici, poi andavamo in cortile e facevamo merenda, scambiandoci qualche figurina di ciò che andava di moda in quel periodo. Successivamente, ritornavamo in classe e imparavamo le prime addizioni: il pomeriggio lo trascorrevamo a correre e scherzare, con i sorrisi incollati sulle nostre faccine rotonde. Dopo, verso le quattro, schizzavo tra le braccia di mia madre e trascorrevamo un pomeriggio al parco, rilassandoci sotto le ombrose chiome dei platani che troneggiavano sulle nostre teste, e ascoltavo tutto quello che mi diceva mia madre, senza sentirlo veramente. Parlava e parlava, infilando qualche complimento, come"sei la bambina più curiosa del mondo", facendomi restare attenta e accarezzandomi i capelli; poi mi portava dai nonni, dove guardavo la televisione, giocavo con Fluffy, il gatto bianco che era tutto tranne che delicato e cenavo, mentre mia madre era a lavoro.

Questo fu il periodo più bello della mia vita.

Ma non sapevo che, sotto quel velo di spensieratezza e felicità, quello era il periodo più brutto per il resto della mia famiglia. Mia madre era ormai divorziata con mio padre da sette eterni anni, trovava la forza quando non ce l'aveva e tirava avanti la sua vita, quella dei suoi genitori e la mia, lavorando come cameriera e vendendo tutto quello che non era indispensabile. Vivevamo in una topaia, costantemente sporca e incrostata dalle tragedie, perennemente in disordine e con un odore di malinconia; dormiva sempre con me, cercando di dormire veramente e non riuscendoci mai. Prendeva mille pasticche colorate, si metteva chili di correttore su quel viso scavato dalle lacrime, fumava pacchetti su pacchetti di sigarette, mangiava solo quando io ero presente. Si stava auto distruggendo, e io nemmeno me ne accorgevo: perché dall'esterno cercava di sembrare normale. Aveva un bel vestito verde smeraldo, che le calzava a pennello, e ogni volta che veniva a prendermi lo aveva sempre indosso. Si truccava spesso, mettendoci delle ore, si acconciava i capelli, si metteva i pochi gioielli che aveva, un paio di scarpe corrose dal tempo ma con un po' di tacco, e usciva. Non importa se doveva solo buttare la spazzatura, lei voleva che il mondo esterno la ricordasse impeccabile, con quel sorriso cordiale e falso che le stava tanto bene sul viso.

Mia nonna era distrutta dalle malattie, dalla vecchiaia e dal dolore: vedeva tutto il suo bel castello di carta collare sopra le sue spalle fragili, con un marito in fin di vita e una figlia vicina a cadere nel baratro. Era sempre troppo gentile, troppo normale, troppo composta per la sua vita: mi trattava così bene perché ero l'unica rimasta, l'unica in grado di scampare a questa tragedia che molti chiamavano famiglia. Aveva sacrificato tutta la sua carriera da avvocato per sposarsi e avere una bella bambina, vivere in una casa decente e usare tutti i soldi per l'educazione della figlia e il necessario per sopravvivere. Adesso, vedeva la sua bella vecchiaia venirle tolta dalle mani, sgusciarle via come un serpente tra le mani rugose e rovinate, mentre mi vedeva crescere e vedeva le altre due persone più importanti della sua vita appassire come due belle margherite bianche, strappate dalla crudeltà dell'esistenza.


Poi, finì pure questo.



Scusate per eventuali errori grammaticali e/o ortografici, spero che vi piaccia questo primo capitolo. :)

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