𝕭𝖔𝖒𝖇𝖊 𝖆 𝖔𝖗𝖔𝖑𝖔𝖌𝖊𝖗𝖎𝖆

La routine era l'unica cosa che riuscivo ad amare e odiare allo stesso tempo.
Il perpetrarsi delle stesse giornate, nella loro quotidiana semplicità, è rassicurante quando non si ha null'altro a cui aggrapparsi. Stancante in circostanze differenti.

A volte ci si sente intrappolati in un loop continuo. Dato che i pensieri sono strettamente correlati alle situazioni vissute, si rischia di ricadere nella fossilizzazione dell'animo.

Perciò tesi le labbra in un sorriso quando, scorrendo fra i messaggi di WhatsApp, ne individuai uno da parte di Erika. Era mattina. Stavo percorrendo assieme a Sebastian il solito vialetto che ci avrebbe condotti a scuola.

«Che c'è?» Mi domandò il ragazzo, incuriosito dal mio improvviso cambio d'umore. Alzai lo sguardo verso di lui, particolarmente eccitata.

«Mi ha scritto Erika» Rivelai, con una breve risata: «Dice che le hanno proposto di allestire una mostra tutta sua, nel museo d'arte contemporanea».

«E questo ti rende felice perché-» Introdusse Sebastian, impaziente. Accelerò lievemente il passo, di conseguenza.

Sbuffai.
«Perché sono contenta per lei» Risposi alla sua domanda inespressa, sbuffando. «E perché mi ha chiesto se ho voglia di andare a festeggiare al Vermouth».
Arricciai il naso. «Sei invitato persino tu» lo schernii «Deve essere travolta dall'emozione. Si è lasciata trasportare».

Scosse debolmente la testa, contrariato.
Alzò gli occhi al cielo, la bocca rossa piegata in una smorfia. Roteò gli occhi alla mia pessima battuta.
Provava nei confronti del Vermouth una strana antipatia. Nonostante esso fosse un locale molto popolare nella nostra città.

«Non capisco perché detesti tanto quel luogo» espressi i miei pensieri.
Perplessa, arricciai le labbra morbide in una buffa espressione.
«La musica viene mantenuta a un volume accettabile. Non è frequentato da nessun pazzoide ubriaco, cosa vuoi di più?». Contai ogni caratteristica sulla punta delle dita, goffamente.

Si guardò attorno selvaggiamente, apparendo non dissimile da un animale braccato. Alla ricerca disperata di una via di fuga. «Lo so» ammise esitante. Poi rilassò le spalle.
«D'accordo, andiamoci, ti farà bene divertirti per un po'» parve arrendersi, infine.

«Ci sarei andata comunque» Brontolai caparbia.«E non solo io, Seb» Lo corressi, con una debole pacca.
Come facesse a indossare una maglia di cotone all'alba non ne avevo idea.
«Sono sicura che anche tu troverai il modo di divertirti» affermai convinta.

Mi accorsi, poi, che la mia frase sarebbe potuta risultare equivoca. Sotto il suo grigio sguardo, colorato di divertimento, sentii le guance pizzicare.
Colta dall'imbarazzo sbuffai una linguaccia.

«Non in quel senso, idiota». Calciai via un sassolino sulla strada.
Lasciai scivolare delle ciocche rosse sulla schiena. Al mattino i miei ricci sembravano paglia pronta a prendere fuoco.
Fintamente indignata, alzai il naso verso il cielo, annusando l'umidità.

Assunse un'aria offesa.
«Io non ho detto niente» Mi fece notare, alzando le mani in un gesto di resa. Appariva nuovamente tranquillo.
Eppure io, nella totale consapevolezza che avevo di lui, mi accorsi che qualcosa lo turbava.

Stavo per cominciare a indagare, quando qualcuno si catapultò fra le sue braccia a una velocità disarmante. Interruppe la nostra conversazione. Piegai la bocca in una smorfia, infilando le mani tremanti nelle tasche del mio lungo cappotto nero.

Senza neppure rendercene conto, avevamo raggiunto il cortile della scuola.
Sembrava particolarmente affollato, ma probabilmente ero solo io a essere particolarmente infastidita.

Madison congiunse le sue labbra a quelle di Sebastian.
Il un bacio risultò alquanto forzato e violento, quasi stesse pomiciando con un muro.
Lei proseguì comunque, senza alcun pudore.

Nemmeno spingendosi sulla punta delle sue ballerine riusciva a raggiungere l'altezza giusta.
Sebastian tenne la bocca stretta in una morsa glaciale.
Quasi mi dispiacque per Madison. Quasi.

Mi schiarii la voce. «Scusami».
Segnalai la mia presenza, con un tono di voce leggermente più elevato di quanto sarebbe stato necessario.

Solo allora lei si allontanò, mantenendo però il braccio del ragazzo fra gli artigli ben curati.
Unghie erano laccate di colore vermiglio. Stavano cominciando a scavare lievi solchi nella pelle di Sebastian.

Era troppo impegnata per accorgersi
di quanto rapidamente svanissero quelle mezzalune arrossate nell'avambraccio del ragazzo.
Sebastian aveva i bei lineamenti contorti in un'espressione alquanto contrita.
Mi morsi il labbro inferiore, come facevo spesso per malsana abitudine, ansiosa. Mi chiesi quanto mancasse all'implosione.

«Oh». Affermò lei.
Un sorriso zuccheroso, dipinto di rosso andò a tenderle le labbra fini.
«Ciao, Roxy» borbottò casualmente.

«Rose».
La corressi automaticamente, quasi per istinto, ormai abituata. Puntai gli occhi sull'eccessiva scollatura della sua camicetta. Mossi la bocca in una strana espressione di disgusto.

«Scusa» squttì, stringendosi nelle spalle.
«Ero davvero certa ti chiamassi Roxy...» La sentii insistere poi, a mezza voce. Posò una mano pallida, l'unica libera, sul mio braccio.
Mosse lo sguardo da me a Sebastian, come fossimo due internati.

Mi scostai con stizza, costringendola a ritirarsi. Un debole broncio le tese i lineamenti, le sue dita si strinsero attorno al braccio di Sebastian.

«Ma non è così» Enfatizzai.
L'espressivo azzurrino dei miei occhi doveva esprimere chiaramente il fastidio che provavo: la sua bocca cadde all'ingiù. Un piede picchiettò nel terreno.

Mi ritrovai piantate addosso le sue iridi nocciola, mosse a compassione.
Il mio nome sembrava apparirle come un qualcosa di catastrofico.
Si rassettò la gonna a matita color viola pastello, approfittando di quel momento di imbarazzante silenzio.

Sebastian si strappò di dosso la sua mano con poche cerimonie, tentando di essere il più delicato possibile.
«Dobbiamo entrare in classe» mi ricordò, come se a disturbarci fosse stato il ronzio di una mosca.
Si mosse verso di me rapidamente. Appariva totalmente disinteressato.
«Si sta facendo tardi» aggiunse.

«Aspetta...».
Madison ci guardò, confusa.
«Non accompagni me?» domandò poi, volgendosi, infine, verso il ragazzo.

Lui alzò uno scuro sopracciglio, perplesso.
Fissò le sue torbide sfere argentee, che quel giorno apparivano pericolosamente adombrate anche a causa della mancanza di sole, sulla formosa figura della ragazza.

Sorrisi, prevedendo quali sarebbero state le sue successive parole.
Non fui sorpresa da quanto, talvolta, potesse risultare utile la sua totale mancanza di empatia verso chiunque altro non fossi io.

«Siete nelle stesse classi. E poi...» disse, infatti, sinceramente sorpreso dell'improvvisa proposta.
La sua bocca si mosse lentamente, scandendo le parole come se le stesse pescando dalla propria mente in quel momento: «Perché dovrei?».

Lei lo osservò, con evidente sconcerto. Le labbra si schiusero in un'espressione comicamente scioccata.
«Perché sono, più o meno, la tua ragazza» riuscì a biascicare, poi.

Sebastian mi lanciò uno sguardo sconcertato e io scrollai le spalle, sbuffando in un malcelato divertimento.
«Non credo sia così» rilevò, pacato.

«Ma-» Bofonchiò lei, cercando di scovare uno spiraglio di speranza tra le solide mura del ragazzo.
Un'impresa che si sarebbe rivelata impossibile da portare a compimento. «Io ti amo» concluse nel peggiore dei modi.

Questo sembrò irritare Sebastian. Si irrigidì. «Per questo...» cominciò, stanco, «Appena ti ho detto che dovevamo troncare i rapporti, hai avuto un interessante incontro con Connor, nello stanzino dei bidelli?» Le domandò, cercando di troncare la conversazione.

Fui costretta a stringere le labbra in una linea compatta, cercando di non ridere dell'espressione da pesce fuor d'acqua di Madison.
«Come diav-» Balbettò sbiancando, poi parve riprendersi.
Ridacchiò scioccamente e, con un gesto vago, come a scacciare una zanzara fastidiosa proseguì: «Ma che dici?».

«Non puoi negarlo» ribatté Sebastian. Forse, vedendolo così sicuro, Madison pensò che qualcuno avesse fatto la spia, perché cedette.

Puntandomi contro un dito tremante, rabbiosa, scoppiò definitivamente.
«Come se tu non te la facessi tutti i giorni con questa sgualdrina dai capelli fulvi» inveì. Poi schioccò la bocca, il lucidalabbra umido emise degli scoppiettii.
«Tesoro» mi chiamò zuccherosa, sventolandomi un artiglio davanti alla faccia «La ricrescita si vede».

Mi difesi, ferita, urlandole dietro mentre la osservavo oscillare i suoi fianchi larghi, allontanandosi al ritmo della sua andatura da papera. «I miei capelli sono naturali!».
Tenni d'occhio, nel frattempo, Sebastian che pareva essere caduto dalle nuvole.

Mi guardò perplesso. Poi scrollò le spalle, tuttavia molto più vigile.
«Andiamo, Ro?» domandò, tirando via dei riccioli dalla fronte, le labbra carnose contratte.
Annuii felicemente, seguendolo all'interno dell'edificio dalle pareti color crema.

Mai avrei potuto dire che Sebastian avesse fatto, durante le nostre vite, qualcosa per farmi sentire la seconda scelta.
Quando era lui a dover decidere, io ero sempre vincitrice, le altre piccole parentesi. Eppure ciò non mi bastava.

Volevo essere la parte passeggera della sua vita e anche, ovviamente, la parte duratura. Sempre presente.
Volevo essere il suo tutto, come lui era il mio.

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𝕰 𝖆𝖉𝖊𝖘𝖘𝖔 𝖟𝖔𝖑𝖔 𝖒𝖊!

𝖡𝗎𝖾𝗇𝗈𝗌 𝖽𝗂𝖺𝗌!!
𝖵𝗈𝗂 𝖼𝗈𝗆𝖾 𝗌𝗍𝖺𝗍𝖾? 𝖨𝗈 𝗌𝗈𝗇𝗈 𝗂𝗉𝖾𝗋 𝖾𝖼𝖼𝗂𝗍𝖺𝗍𝖺, 𝗆𝖺𝗇𝖼𝖺 𝗉𝗈𝖼𝗁𝗂𝗌𝗌𝗂𝗆𝗈, 𝗉𝗋𝖾𝗌𝗍𝗈 𝗍𝗈𝗋𝗇𝖾𝗋𝗈̀ 𝖺 𝗏𝗂𝗏𝖾𝗋... 𝖾𝗁𝗆, 𝖺𝖽 𝖺𝗀𝗀𝗂𝗈𝗋𝗇𝖺𝗋𝖾, 𝗅'𝗎𝗅𝗍𝗂𝗆𝗈 𝖼𝖺𝗉𝗂𝗍𝗈𝗅𝗈, 𝗆𝗂 𝖼𝗈𝗇𝖿𝗈𝗋𝗍𝗈 𝖽𝖺 𝗌𝗈𝗅𝖺.
𝖢𝗁𝖾 𝗇𝖾 𝗉𝖾𝗇𝗌𝖺𝗍𝖾?

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