ἀρετή
Aretè: la capacità di una persona, animale o cosa di svolgere bene un proprio compito, buona virtù
Non ero l'unico bambino di quella casa, anzi ero uno dei tanti.
Nyria non era sola, ad affiancarla c'erano altre cinque donne, incaricate di badare a ventisette bambini, tutti figli di aedi e rapsodi di quella casa.
Rappresentavano la discendenza diretta della stirpe degli omeridi. Futuri poeti che avrebbero continuato la tradizione negli anni a seguire.
Io, l'unico privo di sangue omeride, ero il più piccolo. Gli altri bambini andavano dai due fino ai dieci anni.
Tuttavia non rimasi il più piccolo di quella casa. Qualche mese dopo, la moglie di un aeda che di nome faceva Edone, diede alla luce un maschietto. Lo chiamarono Pirro, rosso, per via dei suoi ricci capelli rossicci.
Affidati entrambi alle cure di Nyria, io e Pirro diventammo migliori amici, inseparabili compagni di giochi e avventure che se la spassavano a cacciare lucertole e libellule.
Nei dintorni della grossa casa, si stagliava una grossa coltura di alberi di olivo, talmente tanto estesa da potercisi perdere fino a riemergere stanchi e stremati ore e ore dopo.
Io e Pirro ci divertivamo così, tutti i giorni. Dopo aver pranzato con pane, olio e un pezzo di formaggio a testa, ci dirigevamo in quel campo sconfinato e giocavamo a rincorrerci, a nasconderci e a lanciarci olive con delle fionde fatte da noi.
Nei pomeriggi d'estate, quando il frinire delle cicale aumentava così come il caldo, andavamo in spiaggia e facevamo il bagno nel mare.
Giocavamo agli dei: lui faceva Poseidone e schizzava acqua simulando tempeste, io invece facevo Apollo e fingevo di catturare il sole con le mani per poi colpirlo con palle infuocate.
Giocavo a essere colui che mi avrebbe potuto ammazzare da un momento all'altro.
I nostri giochi e gli interi pomeriggi all'aria aperta durarono fino a quando Pirro non compì quattro anni, l'età che permette a un bambino di iniziare gli studi per diventare un aeda o un rapsoda.
Pirro iniziò dunque a immergersi nel mondo del canto e della poesia, rimanendo interi pomeriggi a lezione insieme agli altri ragazzi più grandi.
Rimasi solo e dovetti iniziare a trovarmi altro da fare.
In quanto orfano privo di discendenza dagli omeridi, una sorta di piccolo impostore su gambe paffute, non mi era permesso partecipare alle lezioni. L'unico scopo di quella grande famiglia era quello di usarmi come servo, la loro benevolenza nei miei confronti, il loro accudirmi e sfamarmi, aveva un proprio tornaconto dopotutto.
Ero parecchio infastidito, non mi piaceva essere messo da parte e mi mancava molto Pirro.
Non potevo giocare a nascondino e tantomeno potevo rincorrermi da solo. Anche torturare le lucertole aveva perso di divertimento senza compagnia.
Mi sentivo diverso per la prima volta in quattro anni della mia vita. Volevo fare anch'io quello che faceva Pirro.
Dopo un mese di pomeriggi passati in solitudine a sonnecchiare sotto un olivo e a lanciare sassolini nel mare, decisi una volta per tutte di guadagnarmi anch'io il permesso di seguire le stesse lezioni di Pirro, con Pirro.
Sgattaiolai nella stanza di Edone e cercai in ognidove ciò che mi serviva: la sua lira. Controllai sul suo letto, al di sotto di quello, nei bauli e addirittura sopra il davanzale della finestra.
Mi soffermai a guardare il paesaggio, seduto sopra il largo sasso freddo. Il mare sembrava una linea azzurra sottile, il riflesso del sole risplendeva così tanto da rendermi cieco per qualche secondo.
Annusai l'aria, lasciai che la salsedine mi riempisse i polmoni.
Poi ecco che la vidi, adagiata sullo scrittoio insieme a un mucchio di pergamene scritte e riscritte di parole che componevano veri e propri capolavori.
Mi domandai quanto tempo passasse Edone a scrivere, seduto a quel tavolo di legno. Me lo immaginai intento a fermare su quel fogli tutte le lettere arzigogolate che avrebbero poi dato vita a un vero e proprio testo, uno di quelli che sentivo recitare dai rapsodi tutte le volte, durante i pasti.
Per me era pura magia: il modo in cui la loro voce cambiava di tonalità, la dolcezza delle note, le parole che infondevano nel mio piccolo cuore un calore tale da far ardere il mio corpo. I brividi sulle mie braccia, i miei occhi fissi sulle loro dita che sinuose si muovevano nell'aria, la stessa aria che respiravo.
Per Zeus! Com'era bello!
Presi la lira, reggendola con attenzione con entrambe le mani. Il contatto con il metallo freddo dello strumento mi fece rabbrividire di piacere e il mio corpo iniziò a scaldarsi sempre di più.
Sfiorai con un dito tutte le corde, poi con l'unghia pizzicai una di queste. Il suono vibrò nella stanza, riuscii quasi a sentire l'odore di quella nota. Un odore speziato, pungente, ma così buono da iniettare in me il desiderio di averne dell'altro. Suonai un'altra nota, la lasciai vagare nella stanza insieme all'altra. Il profumo si faceva sempre più intenso, mi inebriava l'animo.
Presi la lira sottobraccio e uscii dalla stanza. Sapevo già cosa fare.
Era giunta quasi l'ora di cena, da lì a poco si sarebbero riuniti tutti i poeti a tavola per banchettare e discutere di cose che a me, al tempo, non importavano più di tanto: in quale dimora si sarebbero recati, come procede la stesura di un certo inno o di un certo poema, con quale brano musicale accompagnare una determinata esibizione e così via.
Il mio posto era in un tavolo in fondo al grosso salone, insieme agli altri ragazzi. Io e Pirro ci divertivamo un sacco a lanciarci in faccia il cibo, e le sgridate da parte di Nyria e delle altre domestiche non erano di certo mancate.
Dopo averle prese, ricordo che seguivo con gli occhi lacrimanti Nyria fino a quando spariva in cucina, insieme alle altre donne della casa (servitù, mogli e figlie femmine della casa). Appena svoltava l'angolo che separava le cucine dal salone del banchetto ricominciavo a lanciare addosso briciole di pane a Pirro e lui a schizzarmi con l'acqua nel bicchiere.
Eravamo bambini testardi.
Ma la parte che più preferivo rimase sempre quella in cui, a fine cena, degli aedi o dei rapsodi si esibivano in canti.
Si sceglievano a rotazione. Ogni mattina gli anziani della casa sceglievano i nomi di coloro che si sarebbero esibiti dopo cena per intrattenere i propri famigliari.
Ricordo ancora l'ammirazione con cui li guardavo, perso in quel mare sconfinato, più sconfinato dell'Egeo, fatto di musica, calore e un dolce profumo di mandorle.
Solo quei momenti riuscivano davvero ad acquietarmi l'animo, mi facevano addirittura scordare la portata che più amavo: il dolce.
Ecco dunque qual era il mio piano: esibirmi davanti a tutti, mostrare che anche io potevo essere un omeride e che non ero destinato alla servitù.
Scesi nel grosso salone con la lira ben nascosta sotto la mia tunica, mi diressi verso il tavolo dei ragazzi e presi posto accanto a Pirro. Depositai con estrema cautela lo strumento sotto il tavolo, attento che nessuno degli ragazzi mi scoprisse. Non ci riuscii, un ragazzo di tre anni più grande, Cherios, mi vide e mi minacciò con un sibilo di andarlo a dire agli adulti. Gli diedi una razione del mio cibo per farlo tacere.
Poco prima dell'esibizione di fine banchetto, venni attratto da un certo scompiglio al tavolo degli adulti. Li scrutai da lontano: Edone era in piedi poco distante dal tavolo, discuteva animatamente insieme ad altri due uomini e pareva essere arrabbiato, arrabbiato e ubriaco.
Drizzai le orecchie:
«Non sto ammattendo! La mia lira è scomparsa!» disse Edone agitando le mani in aria
«Edone, l'avrai semplicemente cambiata di posto, qui nessuno ruba nulla, lo sai bene» continuò un uomo.
E l'altro:
«No! Ti sto dicendo che l'avevo lasciata sul mio scrittoio ed è sparita! Per Zeus! Posso giurarlo! So dove metto le mie cose e so di per certo che è stata rubata»
«Meino ha ragione, Edone, nessuno qui ruba nulla. Sei stanco e ubriaco, hai bisogno di riposo»
«Riposo un accidenti!» sbottò Edone «Sono stato scelto per l'esibizione, devo trovare la mia maledetta lira!».
Sentii lo stomaco stringersi nel mio corpo, una sensazione di puro terrore prese possesso di me. Iniziai a pentirmi di quello che avevo combinato, se Edone fosse venuto a conoscenza del mio "furto" senz'altro non avrebbe esitato a puntarmi un dito contro pretendendo che venissi sbattuto fuori.
Non tutti in quella casa mi trattavano bene, alcuni storcevano il naso nel vedermi e altri ritenevano non opportuno che fossi il compagno di giochi di un bambino di sangue omeride. Per loro ero come un rifiuto raccolto da una spiaggia, il figlio di una prostituta che non aveva potuto tenermi. Al minimo errore non avrebbero esitato a premere per cacciarmi.
Nella mia mente iniziai a pensare a chi, in quella casa, avrebbe preso le mie difese in caso del disastro: Nyria? Certamente. Pirro? Forse si sarebbe messo a piangere supplicando il padre di perdonarmi e lasciarmi restare, ma Edone avrebbe mai ascoltato i piagnistei di un bambino? Ne dubitavo.
Sospirai. Ormai quel che avevo fatto avevo fatto, non sarei più potuto tornare indietro.
Gli altri uomini riuscirono a placare l'ira di Edone, lo convinsero di essere troppo ubriaco per potersi esibire e ordinarono a una serva di scortarlo nelle sue stanze.
Con Edone fuori dai piedi riacquistai un poco di coraggio.
Ascoltai completamente perso i canti proposti da un gruppo di quattro rapsodi e il nuovo poema scritto da un aeda e modificato seduta stante.
Gli aedi avevano il magico potere di tessere parole al momento, inventando versi, storie e incorniciandole in metriche particolari ed elaborate. Tutto al momento, in pochi secondi.
Gli stessi tessuti di parole venivano poi trascritti e stava poi ai rapsodi rifinirli e recitarli, a memoria, pezzo dopo pezzo, stessa metrica, ma tono diverso.
Finita l'ultima esibizione l'aeda tornò a sedersi per ricevere il suo meritato dolce.
Fu quello il mio momento. Mi alzai di sedia, le gambe che tremavano, presi la lira di Edone e lo sgabello su cui ero seduto e andai al centro della stanza.
Il cuore mi batteva a mille, anche se gli altri uomini non mi avevano ancora notato.
Fu Meino, lo stesso che aveva accusato Edone di essere ubriaco, ad accorgersi di qualcosa. Lo vidi sporgersi dal tavolo mentre prendevo posto sullo sgabello.
I ragazzi del mio tavolo ridevano, probabilmente consapevoli e contenti della mia imminente cacciata.
Feci risuonare la prima nota nell'aria. Tagliò in due il vuoto, ammutolì tutti. Presero a guardarmi scioccati. Nessuno, però, ebbe il coraggio di alzarsi e strapparmi di mano lo strumento come avevo temuto. Rimasero incollati ai loro sgabelli, parevano quasi in attesa della catastrofe.
Strinsi i denti. Quello era il momento, il mio momento, dovevo cogliere quell'attimo prima che potesse scivolarmi via dalle mani.
Nessuno mi aveva dato importanza, ma da quel momento le cose sarebbero cambiate.
Avere tutti gli occhi puntati solo ed esclusivamente su me incendiò il mio animo. Mi sentii risplendere di una luce divina.
Iniziai a cantare, a tessere quel lungo mantello di parole che avevo visto fare da altri.
Mi inventai tutto in quel preciso istante. Non copiai niente degli altri aedi: né lo stile, né la melodia, né le abituali formule fisse che li aiutavano a completare un verso con la metrica giusta senza incepparsi.
Narrai di sabbia, onde e salsedine. Del profumo dell'olio, delle risate della gioia, del vento che scompiglia i capelli.
Quando finii mi accorsi di star piangendo.
Lasciai scivolare a terra la lira e mi asciugai gli occhi con l'avambraccio.
Appena la vista tornò nitida, vidi gli altri: alcuni stavano lacrimando, altri erano scivolati in ginocchio, altri ancora mi stavano additando con la bocca spalancata.
Mi domandai il perché, poco dopo lo capii: non era solo una sensazione, stavo risplendendo sul serio. Una luce divina aveva inondato il mio corpo come un eroe prescelto dal volere divino.
Mi madre era venuta a trovarmi, aveva mantenuto la sua promessa.
Edone era riemerso dalle sua stanze, attirato dalla musica, sembrava essere più sobrio. Anche lui, dal fondo del salone, aveva assistito alla scena e ora non faceva che fissarmi con gli occhi spalancati.
«La musa Calliope l'ha generato!» urlò qualcuno dal fondo della grossa tavolata.
Era Spiros, il più vecchio di tutti gli omeridi, aveva novantadue anni, si era unito agli inizi dei tempi a sessantasei anni.
Qualcuno iniziò a vociferare, Nyria mi prese per le spalle e mi trascinò via, Edone si riprese la sua lira, senza togliermi gli occhi di dosso. Lanciai un ultimo sguardo a Pirro, lui mi guardava a sua volta con la stessa identica espressione del padre. Solo in quel momento mi resi conto di quanto gli assomigliasse.
Nyria mi lasciò nella mia stanza. Cercai di protestare ma lei mi boccò.
«Gli adulti devono parlare, Kleos»
«Io voglio sentire» dissi «sono cose che mi riguardano».
Avevo solo quattro anni e già parlavo come una persona matura.
Nyria scosse la testa e sparì lasciandomi in quella stanza.
Avevo paura, paura di essere sbattuto fuori, paura di essere deriso. Mi rannicchiai sul mio letto, l'unico a essere più distante da quello degli altri ragazzi.
Pregai mia madre fra le lacrime fino allo sfinimento.
Crollai nel sonno. Per fortuna non incontrai nessuno di morto nei miei sogni. Quello sarebbe stato un cattivo presagio
***
Venni svegliato da una leggera scossa. Non avevo idea di quante ore fossero passate, ma non dovevano essere molte, gli altri ragazzi non erano ancora nei loro letti.
Era Edone, insieme a lui c'era anche Meino e altri.
«Tu» disse «per quanto ancora credevi di tenerlo nascosto?».
Non risposi niente. Non sapevo che dire. Io stesso avevo avuto dubbi sulla mia identità, come poteva insinuare che stessi nascondendo un grosso segreto?
«Hai una ἀρετή, aretè, nei sei consapevole?».
Utilizzò proprio il termine areté, virtù, ciò che un uomo è in grado di fare con naturalezza, come la lira che altro non può fare se non suonare dolci note perché nella sua natura.
Annuii, continuai a non proferire parola, anche se dentro di me ne vagavano molte.
«Da oggi porterai nel cuore l'orgoglio di essere un omeride, Kleos, Omero sarà lieto di sapere che la Musa Ispiratrice ha deciso di donarci suo figlio» gli brillavano gli occhi, ma mai quanto brillò il mio cuore sentendo nominare il nome di Omero.
Ero un omeride e avrei conosciuto Omero da tale.
Mia madre sapeva ciò che stava facendo e da quel momento iniziai a provare affetto per lei.
🌸Angolino della scrittrice iperattiva e con la bava alla bocca🌸
Oggi non ho granché da dire. Ma quindi perché e per cui fare codesto angolino? Per il meme, ovvio.
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