🌊🏚️🎃 8. La liberazione 🎃🏚️🌊
" Parthenope non è morta, Parthenope non ha tomba, Ella vive, splendida giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi,sulla spiaggia. E' lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene... quando vediamo comparire un'ombra bianca allacciata ad un'altra ombra, è lei col suo amante,quando sentiamo nell'aria un suono di parole innamorate è la sua voce che le pronunzia, quando un rumore di baci indistinto, sommesso, ci fa trasalire, sono i baci suoi, quando un fruscio di abiti ci fa fremere è il suo peplo che striscia sull'arena, è lei che fa contorcere di passione, languire ed impallidire d'amore la città. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non muore, non ha tomba, è immortale ...è l'amore."
- Matilde Serao
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Io sono viva. Immanente. Immortale. Di me resta tutta l'anima inscindibile della polis più umile e nobile del mondo che conserva le mie reliquie. Da tempo immemorabile valico i confini sottili dell'eternità che separa ciò che esiste da ciò che non è mai esistito. Di me ne hanno parlato illustri esseri umani, il mio mito risuona come ieri tra le onde incessanti del mare che conduce al luogo che media tra possibile ed impossibile. Perché ciò che io sono, Napoli è. Napoli sarà.
Sono nata in un tempo assai remoto perché le menti umane si possano ricordare il mio volto, non sono mutata nel corso del tempo: vergine ero e vergine sono rimasta. D'una verginità che non si espugna col sangue, ma con un cuore che non batte innamorato per nessuno.
Vivevo tra i flutti presso Scilla e Cariddi insieme alle mie sorelle, sui prati fioriti risuonavano le nostre voci. Non terminava mai il nostro canto che attirava a sé gli esseri umani che non possedevano la conoscenza assoluta sancita dal vero amore. Ogni uomo, che non fosse innamorato, rendeva l'anima a noi perché perire è sinonimo d'amare e amare è sinonimo di conoscere.
I mortali hanno creduto per millenni di averci sconfitte, ma nessuno è in grado di farlo. Come potremmo, noi che sappiamo il senso che ha l'esistere, soccombere a un silenzio perenne? Come avrebbero potuto averci uccise nel mare che è per noi sirene l'unica sorgente di vita, l'unica eternità che permane nel mondo? Se egli esiste, noi non potremmo mai cessare di farlo.
Scrisse Omero di noi che dimoravamo nelle rupi erranti, sulle quali le onde del mare oscuro cozzavano con fragore. Di là neppure gli uccelli passavano e nessuna nave riusciva a valicare gli scogli sui quali giacevano i corpi putrefatti di marinai senza una vera patria al cuore.
Alla nostra isola giunse la nave ben costruita, spinta dal vento propizio che cessò all'improvviso. Fu la calma bonaccia di un dio del mare a placare le onde. Balzarono in piedi i compagni di Odisseo di ritorno a Itaca che ammirarono tutte le vele della concava nave per poi mettersi coi remi, dai legni ben levigati, a sollecitare invano la bianca schiuma delle acque ammansite.
Odisseo, avvertito di noi dalla maga Circe, brandì un grande disco di cera e con il bronzo lo fece a piccoli pezzi che premette con le mani rapidamente. Fuse la cera alla vampa del sole sulle orecchie di tutti i compagni nella nave, poi si fece legare mani e piedi alla base dell'albero maestro. Furono fissate a lui le funi, e fu l'unico le cui orecchie erano libere di sentire.
Ma Odisseo non fu in grado di udirci fino in fondo quando la sua nave passò vicino all'intonazione del nostro dolce canto etereo, poiché aveva impressa nell'anima l'immagine sbiadita della sua amata Penelope.
Cantammo:
«Avvicinati dunque glorioso Odisseo, grande vanto dei Danai. Le navi che si fermano ad ascoltare la nostra voce non hanno mai oltrepassato la soglia dopo aver udito il nostro suono di miele. Nessuno fornisce di noi un lieto messaggio. Tutto sappiamo di quello che accadde a Troia ove patirono Spartani e Troiani, tutto sappiamo di quello che accade sulla terra feconda.»
Odisseo ci vide, soffrì, ma non ci seppe ascoltare davvero.
I compagni lo strinsero con funi più forti e quando ci oltrepassò non cantammo più.
Il vero è che sì: ci disperdemmo gettandoci in acqua, prima per Orfeo e poi per Odisseo. Essi riuscirono a non sentirci perché presi d'amore per le donne che le attendevano.
Fu per Orfeo che raggiunsi le sponde ove nacque da me il Vesuvio, ed insieme a esso tutta Napoli. L'eroe cantò per noi, ricambiando la musica del nostro ammaliare, sperperando con la sua lira il limbo che risiedeva in ognuna di noi, di me e delle mie sorelle, che lo portammo ove ci condussero le acque.
Fu Orfeo a dividermi dalle mie vere sorelle, dalla mia grande famiglia, per permettermi di crearne una di cui fossi la capostipite.
Il sole sprigionò la sua luce ed egli oscurò con la sua musica il nostro coro e riuscì, con brillanti schiocchi, a varcare la soglia che portò il suo cuore a serbarsi come tesoro l'immagine della bella ninfa Euridice, che poi perse per un serpente che la precipitò nel mondo degli Inferi.
Odisseo passò dopo Giasone e l'Argo, su cui il pupillo del dio del Sole intraprese a suonare. Morimmo, per loro, il doppio: Orfeo ci aveva incantate con la sua cetra armoniosa e Odisseo aveva ascoltato il suono di miele, rubando a noi una parte di immortalità.
Orfeo ci rese derelitte, ma fu Poseidone, irato e bramoso di sconfiggere Odisseo, a chiamarci dall'oltretomba per fermare l'eroe che gli aveva accecato l'amato figlio. Il dio del mare donò a noi l'occasione di tornare a immolare gli uomini. Ma col passaggio di Odisseo si sancì il nostro andirivieni a quell'oltretomba che ci avrebbe condotte a cantare il coro sirenico del limbo. A metà tra la vita che il mare ci ha reso e la trascendenza che la morte ci ha occluso.
E così a Napoli io tornai e a Napoli io rimasi per sempre.
Credono, alcuni, che noi sirene siamo state uccise, due volte, ma niente e nessuno è in grado di farlo, perché morte è silenzio per gli uomini e noi sirene non siamo silenziose. Noi sirene siamo più vive di ogni singolo umano che non sappia ascoltare, perché percepire silenzio non significa che attorno sia privo di musica.
Forse morii come sirena, in una doppia sembianza, ma resuscitai come quel luogo che oggi porta il nome di Napoli.
E da qui nessun uomo, nessun dio, potrà mai spodestarmi da me.
Può mai una città nata dall'ultimo canto d'una sirena non echeggiare di musica e incanto? Può mai una terra, su cui giace una sirena, non straripare di bellezza e di morte? Io sono Partenope, io sono Napoli e lo sarò in eterno. Fino a che la morte coglierà i fiori. Fino a che il mare esiste. Fino a che Napoli vive, esisterò e vivrò anch'io.
«Mio Mor, tu mi hai scagionata dalla villa dimora di sirene che a me madre e a me sorella rendono vivi i morti. Sono io la sirena procreatrice e vergine. Napoli è me, io sono Napoli.»
«Non... non ti capisco...»
«Dalla mezzanotte di quest'ultimo plenilunio della notte dei morti viventi, l'essenza della dimora di sirene si è propagata in ogni antro di questo luogo permeato del mio potere. Tu hai risvegliato, Mor, le anime che appartenevano al mio limbo e hai liberato me dal cantare per loro.»
«Mi dispiace... ma continuo a non capire!»
Mi strinsi al dio sceso in terra che mi mostrò la sua dedizione nel rendermi omaggi e arbitri.
«Il plenilunio congiunto alla ricorrenza del giorno che resuscita i defunti ha provocato una rottura del limbo. Nel ridare vita a me, ha risvegliato Donn'Anna e sono giunta a salvarmi dalle sue grinfie. La Vedova Nera l'ha avvelenata e dovrà essere essa ad annientarla, Anna Carafa crede che tua sorella sia la Mercedes che le rubò il corpo e il cuore dell'amante. Se Donn'Anna manifesta la sua presenza ed incomberà come regina delle anime in pena, Napoli, ossia io, soccomberà nell'oblio. Mi hai risvegliata, Mor, e te ne sono riconoscente, ma adesso rischio di addormentarmi per sempre e deteriorarmi. Se lei distrugge i napoletani, distruggerà l'essenza di Napoli e se l'essenza di Napoli viene distrutta, Napoli non avrà più alcuna memoria di me. Se Napoli muore, io muoio. Devi salvarmi.»
«Ma... come potrei... come potrei far sì che non accada?»
«Fai in modo che tua sorella doni la sua verginità all'interno del Palazzo Donn'Anna prima che sopraggiunga la mezzanotte, cosicché i fantasmi non possano sottostare mai ai comandi di quella donna la quale anima arde di odio e di vendetta.»
«Cercherò di farlo... ma dovrò essere lì a controllare che non le succeda niente, visto quella pazza che la vuole fare fuori! Come faccio a tenerla a bada?!»
«Non preoccuparti dell'incolumità di tua sorella, mio Mor, i fantasmi non possono nuocere alle vergini. Cerca con ogni mezzo che tua sorella doni tutta sé stessa tra le mura del Palazzo le cui fondamenta percuotono interminabili tombe.»
«Lo farò, ma ti prego... dimmi: chi sei realmente, qual è il tuo nome?»
Gli presi le mani tremanti che avevano desiderio di vezzeggiarmi il volto e gliele accostai ai miei lunghi capelli oscuri e ondulati come le acque che ci si prospettavano dinnanzi.
Lui si avvicinò lusingandomi con i suoi occhi, dove il mor risiedeva della sua iridescente bellezza, ed io ravvivai le sue sponde con un mio bacio.
«Io sono Partenope, la vera regina di Napoli, sovrana assoluta di tutti i suoi fantasmi.»
Come diamine facevo ad assomigliare alla nipote di Donn'Anna?! Ma poi: come potevamo essere sicuri che si riferisse a Mercedes, la spagnola che la eclissò con la sua bellezza, e non al mio secondo nome?
«Non può essere una coincidenza lo stesso nome e lo stesso aspetto, Claire, tu sei destinata a porre fine alle sue malefatte!» disse Christie.
«Tu sei la Vedova Nera!» urlò Charlie, sopraggiunto col fiatone dall'ingresso che dà sul mare.
«La Vedova Nera?!» replicai.
«Sì!» proseguì «Questo ho capito, non so altro! E sei l'unica in grado di evitare la strage che vuole scatenare Donn'Anna!» si poggiò a una finta colonna per riprendere parzialmente le forze «Non mi chiedete come lo so, vi prego, non so se l'ho realmente sentito proferire o me lo sono immaginato nella testa perché me lo ha detto una sirena!»
Io e mia sorella ci guardammo per un attimo perplesse.
«Quindi è vero o no?» gli domandò Christie.
«Non lo so! Mi ha baciato e mi sono ritrovato qua!» si disperò «Cazzo: Claire, presto, prima che Halloween finisca, devi fermare Donn'Anna entro mezzanotte!»
«Cosa?! Entro mezzanotte?!» mi andò di traverso il tè al limone che avevo bevuto qualche minuto prima «Come posso fermarla io?!»
«DEVI PERDERE LA VERGINITÀ!» sbraitò.
Il suo tono di voce era talmente alto che lo sentì urlare tutta la poca gente seduta di fronte a noi. Lo fissarono come se fosse un pazzo furioso e depravato che forse aveva rivelato l'intenzione di volere intrattenere un rapporto incestuoso con sua sorella...
«Che vi guardate?! Via, via!» fece mio fratello, gesticolando come per scacciare via le mosche.
Mancavano due ore alla mezzanotte e io dovevo, a detta di Charlie, far sì che fosse là la mia prima volta?!
«Ma non so con chi!» lamentai.
«Possibile che ieri sera tu non abbia adocchiato proprio nessuna?!» chiese Charlie.
Lo guardai basita, lui si ammutolì e aggrottò le sopracciglia truccate una con una matita nera, l'altra con delle chiazze colorate.
«Hai detto "nessuna"?!» domandai scossa.
Scrollò le spalle come per convincermi a darmi una mossa. Anche lui pensava che fossi omosessuale. Da cosa poteva mai dedurlo? Perché riuscivano a rendersene conto gli altri ma non io?
«E Brigida allora?!» propinò Christie «Se è per quello che ho detto su di lei ritiro tutto! Se ti piace vai, presto!»
«Brigida?!» ammiccò Charlie «E lo vedi che il buon vecchio Mortimer c'aveva visto lungo?!»
Chiesi di cosa stessero parlando, perché se avessero ancora detto delle brutte parole alle spalle di Brigida non me ne sarei stata con le mani in mano. Era sorta in me della gelosia per quel "c'aveva visto lungo", pensai che intendesse dire di aver portato a letto Brigida. Se fosse stato vero mi sarei sentita proprio uno straccio...
«Cosa c'è tra te e Brigida?!» chiesi a Charlie. «Hai fatto l'amore con lei?»
Lui accigliò la fronte e mi diede una risposta vaga.
«Non esattamente...»
«Che vuol dire?!» mi arrabbiai.
«Non c'è assolutamente niente da parte mia! Se sei gelosa, sorellina, allora vuol dire che ti interessa!» si avvicinò e mi scosse le spalle. «Dalla a lei!»
«No! Non voglio "darla" a lei! Come si fa poi a...»
«Senti Claire: dalla e non perdiamo tempo.» disse lui.
«Ma non so se proprio a lei...» farfugliai.
Io non so in quanti possano vantare un fratello come Charlie... sul serio. Così dolce, intelligente, delicato, elegante, fine, romantico...
«DALLA A CHI TI PARE, BASTA CHE LA DAI!»
Di nuovo, si girarono tutti a fissarlo malamente.
«Perché non lo sai?» intervenne Christie, con un tono molto più pacato di quello di Charlie. «È per te o è per lei? Ti piace Brigida almeno un po'?»
«Sì...» scrollai lievemente le spalle «mi piace molto.»
«E allora? Cosa c'è?»
Protesi le braccia verso di loro affinché capissero da soli che non volevo avere un rapporto intimo con qualcuno che conoscevo a malapena e che avrebbe visto i segni autolesivi sulla pelle. Mi spaventavo troppo della sua reazione e avevo il timore che il suo giudizio su di me potesse cambiare. Interessavo a quella ragazza stupenda per come ero e lei interessava a me, fare quel passo adesso era troppo presto.
«Tutto qui?!» stridulò Christie. «Claire: è Halloween! Prendi della garza e un po' di rossetto, faremo finta che sia make up!»
Mi persuase. Scrissi a Brigida di vederci all'Escape Room e dieci minuti dopo ci raggiunse. Quando la vidi sentii il bisogno di una defibrillazione per chiederle di fare quello che non sapevo se voler fare. La presi in disparte e in qualche modo glielo feci capire. Lei, tutta stupita, reagì così:
«Come hai cambiato idea così in fretta? Non che mi dispiaccia... ma ne sei sicura? Perché non sembri molto convinta...»
Timidamente cercai di non guardarla negli occhi, mi vidi nel riflesso del marmo del pavimento dell'atrio e notai che ero più rossa delle punte dei miei capelli.
«Sì, sono convinta... è ora di togliere questo peso che è come una maledizione.» le dissi piangendo.
Brigida si avvicinò a me con empatia.
«Perché piangi adesso?»
«Perché non voglio che pensi che io sia strana.» le confessai.
Strofinai le mani sulla gonna, i miei polsi tremavano e insistevo a non guardarla in faccia.
«Claire... io penso che tu sia strana. Molto strana.» mi accarezzò il viso con le sue dita lisce. «E mi piaci per questo.» mi tirò su il mento e mi guardò dritta negli occhi. «Lo so che sei sempre una Vedova Nera, non ti ho mica vista solo ieri, sai? Ti avevo adocchiata già da un po'.» mi sorrise dolcemente.
«Davvero?» la mia voce tramava «Quando?»
Mi accarezzò le guance, asciugandomi le lacrime. Quello che disse mi infuse un senso di felicità. Era tanto affascinante quella ragazza quanto comprensiva... pensai che fosse meravigliosa. Forse era empatica perché faceva l'attrice e il suo mestiere imponeva un approccio a 360° gradi con qualunque personaggio... forse aveva adattato questo alla sua vita reale.
«La prima volta che ti ho vista è stata un mese fa più o meno. Mi trovavo al lido di Bagno Elena e tu eri passata dritta senza accorgerti minimamente di me... sono venuta più volte al bar e ricordo anche di averti inviato una richiesta di amicizia... ma tu niente. Quanto volevo che mi parlassi!» mi baciò le labbra con desiderio, cingendomi il bacino.
Salii mano nella mano con lei e la portai nella stanza di Donn'Anna, temendo che il suo fantasma potesse arrivare da un momento all'altro. Charlie e Christie ci seguirono, facendo finta di dover andare chissà dove, ma in realtà volevano controllare insieme alla sicurezza che non sbucassero quegli uomini insanguinati vaganti tra il primo e il secondo piano. Una porta si spalancò e ci arrivò alle orecchie un forte lamento di dolore.
«Ma è Courtney?!» gridò Christie.
Corremmo per lo stretto corridoio e ci precipitammo nella stanza da dove si era originato l'urlo. Ciro teneva Courtney in braccio e chiamava aiuto, venendoci in contro. Disse che c'era stato un uomo vestito da Pulcinella nella loro stanza e che mia sorella, nel tentativo di mandarlo via, si era slogata la spalla che era in via di guarigione. Christie prese i vestiti di Courtney con l'intenzione di aiutarla a rivestirsi in macchina nel frattempo che arrivassero in ospedale. Charlie, prima di raggiungerle al pronto soccorso con l'auto di Ciro, ordinò di blindare il secondo piano con noi dentro.
«Cosa?! Ti va di scherzare?!» gli feci quando piazzò dei bodyguard davanti alla nostra stanza.
Mi stava bene fermare i fantasmi, mi stava bene essere scambiata per una vissuta più di quattrocento anni fa, mi stava bene che esistessero le sirene, mi stava bene che la prima volta fosse con una donna... ma come mi poteva stare bene farlo là dopo quello che era accaduto a Courtney?!
«Claire, dimmi che state scherzando... mi eccita questa stranezza, ma me la sto facendo sotto. Voglio dire... tua sorella è tata portata in ospedale, la security ci sente, la festa sta per finire, sei proprio sicura che vuoi farlo adesso?»
Mancava un'ora alla mezzanotte e non potevo perdere altro tempo.
«Certo! Prima è, meglio è!»
Alzai gli occhi al soffitto e pregai che quel momento finisse in fretta. Il tempo di voltarmi verso il balcone e lei era già in biancheria intima. Arrossii. Sembrava una di quelle bellissime Barbie con cui giocavo da bambina... non volevo farle fare la stessa fine, però. Il suo busto stava bene lì con le sue splendide gambe affusolate, altro che zampe di cavallo. Mi misi a contemplare la sua pelle morbida e vellutata e quando lei sciolse la coda dei suoi capelli biondi io mi sciolsi dentro.
Appoggiò il piede sinistro sull'angolo del materasso e si sfilò le calze a rete, seguite dagli slip ultrasottili che già sembravano non esserci. Divaricò le gambe e sentii una vampa su ogni parte erogena ad ammirarla spogliarsi e contorcersi in tutta la sua sensualità. Non c'era una parte di lei che non fosse perfetta, avevo sempre più paura che il mio corpo non le potesse mai piacere come a me piaceva il suo.
Mentre camminava verso di me, che stavo ancora attaccata alla porta, il suo seno sodo faceva dei piccoli sobbalzi come se stesse nuotando dentro l'acqua e fosse pronta a farmi affogare lì la bocca. Sotto le coppe aveva dei disegni di filo spinato che mi misi a strofinare con le mani per cacciare via. Era così morbida che mi venne voglia di addentarla e assaggiare il suo sapore: fragola come le sue labbra.
Lei mi baciò il collo, mi accarezzò i polsi senza badare alle bende finte e mi aiutò a spogliarmi. Tirò giù la cerniera del vestito e poi mi sganciò in fretta il reggiseno. Le mie gambe tentennavano e l'epicentro del mio cuore fece largo a un terremoto in tutto il mio corpo. Lei mi guardava mordendosi le labbra e lambì con mani e bocca tutto il mio petto.
«Non hai alcun motivo di aver paura di me, io ti trovo bellissima.» disse mentre mi palpava i seni turgidi.
Si strinse a me e io la baciai sulla bocca, se per eccitazione o frenesia non lo capivo. Mi tolse la gonna e mi accompagnò sul letto. Mi accarezzò sotto i collant e, mentre mi svestiva, mi disse di mettermi più comoda che potessi. Si distese sopra di me e, tra un gemito e l'altro, ci avvinghiammo l'una all'altra come due parti perfette di una mela identica.
Quando adoperò le sue dita lisce per solleticarmi i geniali mi intirizzii di paura, ma lei riuscì a incoraggiarmi con il suo erotismo e lasciai che mi togliesse in quel modo la verginità. Ero troppo agitata per concentrarmi su quello che provavo, mi promisi di non urlare e di sopportare il dolore. Mi sentii pungere e subito dopo massaggiare, non avvertii tanta sofferenza, anzi tutt'altro.
«Ecco fatto, imene tolto.» mi fece.
Vidi delle chiazze di sangue su quel lenzuolo bianco, anche abbastanza estese. Il segno c'era, ma non avevo avvertito chissà quale dolore.
«Tutto qui?! Ne sei sicura? Non ho sentito quasi niente...»
«Il dolore è molto soggettivo, io ne persi di meno e mi fece male per pochi minuti, ad esempio... ma poi te lo avevo detto che avrei cercato di non farti male! So dove toccare...» si leccò le dita «adesso divertiamoci come si deve!»
Mi spinse dalle tette per ridistendermi e mi baciò con più passione.
«Aspetta un momento!» bisbigliai agitata ad alta voce.
Zompai dal letto e mi diressi verso il balcone per vedere se riuscissi a sentire le sirene. Non mi accorsi neanche di essere uscita completamente nuda! Brigida mi chiamò da dentro la stanza, mettendosi a ridere, sicuramente mi prese per pazza in quel momento. Non percepii alcuna voce all'infuori della sua, e per questo gioii, perché ciò significava che il pericolo era scampato e l'esercito di fantasmi era stato annientato! Quando rientrai mi saltò addosso e riprese a baciarmi e toccarmi. Smisi di tremare, presi ad accarezzarle il sedere tonico, a usare le dita come indicava e iniziai a provare piacere in quello che stavamo facendo.
Risi continuamente perché mi ero resa conto di quanto ogni mia domanda fosse inutile e ogni paura stupida.
Il giorno seguente mi svegliai accanto a lei, felice più di quanto avessi mai potuto credere.
Non ci fu niente da fare: il mio omero era frammentato e mi dovettero ricoverare d'urgenza.
Quando Ciro raccontò quello che era successo molti medici si misero a ridere alla descrizione di Pulcinella. Io non so come cazzo facessero a considerare quella maschera divertente. Non c'era niente di esilarante in quell'episodio. Per poco quel tizio non ci uccideva! Ciro insisteva a negarlo di fronte agli altri, ma lo sapeva anche lui sotto sotto che quello era un fantasma.
Nessuno sapeva quanto potesse durare la mia convalescenza, c'era chi mi diceva qualche settimana, chi invece andava sui mesi e chi addirittura parlava di effetti che si potevano ripresentare negli anni. L'unica cosa certa era che ormai il tennis lo dovevo dimenticare.
«Se non sta attenta l'arto potrebbe non riprendersi perché c'è il rischio che subentri la cancrena. A quel punto glielo dovremo amputare.» disse apprensivamente un medico, di fronte a me e ai miei genitori nella sala dell'ospedale.
Sia quella terribile notizia che mi avrebbe vista senza un braccio, sia il trauma di rivedere di nuovo quel fantasma quando ero da sola con Ciro, mi impedirono di continuare la mia relazione con lui. Non volevo che si sorbisse più una ragazza problematica come me e non riuscii a pensare di fare l'amore con lui senza ricordare la camicia insanguinata di Pulcinella e la sua mano rinsecchita che brandiva un'arma contro di noi.
Il mio cuore si spezzò in due quando lo lasciai. Era nella stanza dell'ospedale con indosso una maglia di Charlie, che gli lasciava scoperta la pancetta per quanto stretta gli stava. Pianse davanti a me, supplicandomi di non troncare il nostro rapporto.
«Ninì, qualsiasi cosa succederà noi l'affronteremo insieme.» gemé.
«No. Non potremmo mai affrontarla insieme. Non voglio essere un peso per te, tu sei un ragazzo splendido, giovane, che non ha nulla da perdere. Hai dei sogni da perseguire, hai degli obiettivi chiari da mantenere... io non ho più niente.»
«Io ho tutto da perdere con te Ninì, perché tra i miei sogni ci sei tu e tra i miei obiettivi c'è renderti felice. Non è vero che non hai più niente: hai la tua famiglia, hai la tua vita, hai me...» si strinse al capezzale «Ti amo, cazzo! Non sarà né uno stronzo vestito da Pulcinella e né un braccio in meno a impedirmi di continuare ad amarti!»
Cercai di guardarlo nei suoi occhi verdi inzuppati di lacrime, pregandogli di non rendermi difficile il lasciarlo più di quanto già non lo fosse.
«E io amo te Ciro, sempre, ma meglio lasciarci ora che quando ti sarai stufato di stare insieme a me.»
«Ninì, perché dovrei stufarmi di stare con te? Sei ciò che di più bello mi sia capitato nella vita!»
«Una vita che è ancora molto lunga. Troverai un'altra prima o poi e avrà molti meno problemi di salute di me.»
«No! Io non ci penso neanche! Io voglio stare con te e solo con te!»
Provò ad accarezzarmi la guancia sinistra, ma io glielo impedì con il braccio buono.
«Torna alla vita che avevi prima di me... io cercherò di fare altrettanto.»
«Il punto è che la mia vita prima di te era vuota, se mi lasci sarà svuotata. Sarà peggio di prima.»
Guardai sul soffitto bianco con insistenza per fare in modo che le lacrime non sgorgassero.
«Ti prego di andartene via perché noi non stiamo più insieme. Sei libero di stare con qualcun'altra.»
Si divincolò dalla presa del mio braccio e insistette ancora a rimanere, ma io chiamai Charlie che, a malincuore, lo mandò via dalla stanza.
Piansi fino allo sfinimento dopo che sbatté la porta. Se le lacrime che ci scendono dagli occhi fossero potabili io avrei di sicuro posto fine alla sete nel mondo quella notte. Tra l'omero frammentato e il cuore infranto fu il secondo a farmi più male.
Quando tornai al Palazzo con Christie, due giorni dopo, trovai Ciro ad accogliermi in limousine con un sacchetto di cornetti al cioccolato e alla crema, augurandosi che mi rimettessi presto. Lo ringraziai fredda ed entrai in auto, Christie prese il sacchetto al posto mio e gli rivolse un sorriso di conforto. Mi fece un certo effetto vederlo là, come se niente fosse... ma d'altronde era il suo lavoro. Non dissi mai ai miei di licenziarlo, non volevo rovinargli ancora la vita. Continuò a lavorare per noi, sebbene mi venisse da piangere ogni qualvolta che lo guardassi.
Se mi ero pentita? Non lo so... io lo amavo, ma non potevo farlo stare con me dopo tutto quello che era successo. La mattina dopo che lo avevo lasciato, a dire la verità, mi era già mancato da morire e pensavo di farlo ritornare, ma quando scoprii l'esistenza di quel dannato articolo – che non voglio neanche nominare – mi resi conto che ciò che avevo fatto non era reversibile.
Una mattina, a metà novembre, Charlie disbrigava alcune pratiche per avere concessi decorazioni in noleggio per Natale e io lo stavo aiutando con la collocazione di ogni addobbo. Avevo molto tempo libero... non come Claire, che dopo essersi fidanzata si era presa tanti di quegli impegni con Brigida che le uniche volte che la vedevo erano per le lezioni private che faceva la mattina con un insegnante cinese molto severo.
Mi trovavo alla reception a strafogarmi di cioccolatini assortiti, quando a un certo punto risposi al telefono.
«Museo Palazzo Donn'Anna, come possiamo esserle utile?» dissi di default.
«Noi siamo qui, aspettiamo solo un tuo ordine.» pronunciò una voce maschile con un sottofondo musicale sull'allegro che trovai inquietante.
«Pronto? Chi parla?» domandai sconcertata.
«Simm'e Napule paisà!» cantò tetro.
«Mi scusi?! Non la sento bene, può ripetere per favore e in italiano almeno? Grazie.»
«Siamo paesani di Napoli e serviamo la regina di Pulcinella.» scandì meglio per poi ridacchiare.
Mi si raggelarono tutte le vene. Ero stufa delle prese in giro in quel modo! Come era mai possibile che la gente non riuscisse a lasciarmi in pace?!
«Ma non rompetemi le palle!» gridai.
«Ai vostri ordini, Donna Ninì.»
Riattaccai con una rabbia talmente intensa che ruppi la cornetta del telefono.
«Courtney, chi era?!» chiese Charlie, togliendosi gli auricolari con cui stava parlando al cellulare.
«Degli stronzi che si divertono a fare scherzi telefonici. Non solo mi prendono in giro per Pulcinella, adesso mi chiamano come mi chiamava Ciro!» singhiozzai «Napoli è piena di gente maligna!»
Charlie, incazzato nero, mi abbracciò e mi disse che sarebbe andato a controllare i registri telefonici per risalire al numero che aveva chiamato e che gliene avrebbe volentieri cantate di tutti i colori.
«Se non te la senti di stare qui tranquilla, continuo io.» mi disse.
Andai a riposare nello yacht per riflettere su quanto poco avesse senso la mia vita lì, non mi piaceva più stare a Posillipo senza Ciro. Spiavo la sua attività sui social per sapere cosa stesse facendo senza di me, ma il suo ultimo post era ancora una nostra foto di Halloween insieme dove ci baciavamo. L'immagine aveva migliaia di like e infiniti commenti, quasi tutti nominavano Pulcinella, chi per beffeggiarci, chi invece per compatirci.
Quando, quello stesso giorno, dovetti andare dal fisioterapista per la prima volta, chiesi a Ciro di rimuovere quel post così che nessuno potesse pensare che stesse ancora insieme a me.
Lui aprì lo sportellone per farmi uscire dalla limousine.
«Non mi chiedi neanche come sto?» domandò stizzito, con un tono rancoroso che non avevo mai sentito prima. Mi tese la mano per aiutarmi a scendere «Non me ne può fregar di meno delle prese per il culo! È l'unica foto che ho pubblicato insieme a te, lasciami almeno i ricordi.»
Ignorai il suo gesto ed evitai di continuare a parlargli. Soffrivamo entrambi la nostra rottura, pensai che forse, prima o poi, ci saremmo arresi tutti e due: io mi sarei stufata di stare in quel modo e lo avrei cercato, lui invece che si sarebbe stufato di aspettarmi e avrebbe cominciato a pensare a un'altra.
Cercammo di rimanere amici certo, ma quando c'è amore non si può essere mai del tutto amici.
Si può dire che Hall-oween fu una festa memorabile in tutti i sensi. Ancora non ci credevo che avevamo evitato una strage grazie a Claire.
Beh: in realtà non ci avevo capito proprio un cazzo!
Non so se ero io o se tutta quella vicenda. Maledizioni, verginità, sirene, fantasmi apparsi e scomparsi dal nulla... mi chiedevo se fossimo stati solo noi ad averli visti in quelle condizioni, perché non so cosa sarebbe potuto accadere in caso qualcuno avesse capito che tutti quegli uomini pieni di sangue e cicatrici non erano attori o ologrammi.
Ma Donn'Anna poi? Che fine aveva fatto? Era sparita nel nulla dopo la sua premiazione a regina di Halloween, possibile che bastava così poco per sbarazzarsi di lei? Ebbi la costante paura che potesse sbucare da un momento all'altro a costringermi a... MAMMA MIA!
Ne uscimmo tutti cambiati da quell'esperienza, ma onestamente non mi sarei mai potuto immaginare che andasse meglio di così: almeno morti non ce ne erano stati. E non era una cosa da niente, lo considerai un traguardo! Quello era stato il miracolo di Halloween.
Sentivo che non poteva essere davvero così semplice annientare Donn'Anna. Forse ci eravamo tolti di mezzo il suo corpo – o qualunque cosa fosse – ma ero sicuro che fosse ancora presente. Ogni tanto sentivo le pareti gemere, convinto che non fossero i miei a fare quei rumori, ma non sapevo però se potesse essere tutta un'impressione, perché le sirene non cantarono più dopo Halloween. E non sapevo se di questo potessi essere felice o triste.
Passavo infatti le notti ad aspettare di udire il canto di Partenope. Volevo rivedere quella regina che mi aveva stregato il cuore, volevo immergermi di nuovo in acqua e avere la sensazione di poterla sentire con le mie mani. Più volte, nel cuore della notte, la chiamavo... ma non mi rispondeva.
Le sirene sono creature avvolte dal mistero: affascinanti, ma pericolose. Buone, forse, ma spietate perché fanno perdere il senso di percezione della nostra esistenza. Ci fanno perdere noi stessi.
E io ero perso. Non potevo guardare più una ragazza senza pensare a lei. Senza sognare di stringerla e baciarla almeno un'altra volta. La invocai con queste parole, desiderando di scorgere nella penombra ricavata dall'acqua le sue scaglie perlacee:
«Sarebbe dolce come il miele la morte se potessi rimanere al tuo fianco e tramontare in eterno. Più sublime sarebbe la vita se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto e più felice sarebbe l'attesa se potessi scovare tra le perle del mare i tuoi occhi. Partenope, se la quiete assordante divenisse musica e se le onde ti portassero da me, ti eleggerei regina del mio cuore e ti concederei di governare la mia anima. Ti prego, Partenope, giungi di nuovo, libera dalle tue catene così che possa il tuo eco volare dove chi si è perduto lo possa sentire.»
Ripetei fino allo sfinimento ogni sussurro, ogni parola d'amore per lei fino a che una notte di fine novembre, sotto al plenilunio che traforava il cielo di luce, mi tuffai in mare e mi immersi con l'intenzione di sprofondare. La mia voglia di rivederla era incontenibile quanto il mare dentro a un calice e, se non riuscivo a rincontrarla lì, speravo di farlo dall'altra parte, dove lei era la regina indiscussa della morte.
Poco prima che la mia anima perisse nel fondo del mare, sentii la carezza delle sue labbra sulle mie a darmi il respiro.
«Prendimi con te.» le dissi.
«Mio Mor, ti chiamerò quando sarà il tempo di tornare da te. Le nostre anime non possono ricongiungersi adesso.»
Quello che mi disse avrebbe finito per consumarmi la poca mente sana che mi rimaneva se solo non mi avesse imposto di lasciare quell'abisso.
«Perché mi chiami Mor?»
«Perché sei tu il mare che mi ha ricondotta qui.»
Mi baciò e poi non so esattamente che cosa avessimo fatto, se l'amore o se altro, ma mi sentii scorrere dentro un flusso vitale che superava tutti i piaceri carnali ogni qualvolta mi stringessi a lei. La sentivo forte. La sentivo vera. La sentivo mia.
«Promettimi che dimenticherai il suono della mia voce. Di me ti dovrà restare il ricordo impresso nel cuore, così che il tormento non ti possa recare.»
Non so come, ma tenni fede alla sua promessa e, il giorno seguente, cominciai a dimenticarmi la sua voce e insieme a essa parte del suo volto, ma mai i suoi occhi e le parole che mi disse: Partenope era viva, Partenope era libera. Ero innamorato e sentivo che, prima o poi, sarei rimasto insieme a lei per sempre. Dovevo solo saper aspettare, intanto, che vivessi la mia vita e forse l'avrei rincontrata in Paradiso. Sempre che non fosse già lei il Paradiso.
I miei genitori erano entrati in carreggiata nei loro affari, Claire la sapevamo felice, Charlie aveva capito cosa volesse fare nella vita, Courtney invece... niente di tutto ciò. Non era felice e non riusciva a immaginare di esserlo più.
«Ciò che è uscito fuori della festa di Halloween è stato davvero straordinario...» mi disse Gennaro il giorno che ero tornata dall'ospedale «mi dispiace del dietro le quinte... tu stai bene?» mi servì un tè al limone e si sedette al tavolo accanto a me.
«No, non sto bene.» mi sfogai «È come se avessi paura che questo sia solo l'inizio e che tutto potrebbe accadere di nuovo... quello che è successo la mezzanotte di Halloween al piano di sopra, il canto che sentivo, quella donna che voleva ammaz-» mi fermai in tempo «Il maniaco che era nella stanza di mia sorella... soprattutto. Avrei voluto che nessuno ne soffrisse.»
Mi scrutò estraniato e sorseggiò una bottiglia di spritz. Non era proprio opportuno spiattellare a lui quello che stava realmente succedendo alla cerimonia, specialmente considerato che per il pubblico era stata un successone.
«Lo capisco... quello che hanno fatto a Courtney e Ciro è stato proprio un pessimo scherzo, chiunque lo abbia fatto merita di marcire in gattabuia.»
Noi a Courtney credevamo, se lei aveva detto che Pulcinella era un fantasma allora era un fantasma. Ma tutti, come Gennaro, pensavano fosse stato uno scherzo di pessimo gusto, un tentativo di boicottaggio in un certo senso.
«Ti va di parlarmi di come tutto questo ti faccia sentire?» chiese con un sorriso che mi risollevò l'umore.
Certo che mi andava di parlargliene, ma che potevo dire? Che mia sorella Claire aveva dovuto perdere la verginità con una ragazza irritante per evitare che Donn'Anna schierasse contro di noi un esercito di fantasmi? Che c'era stato il rischio che questi prendessero d'assalto tutto il Palazzo? Che le sirene esistono e che Charlie si era innamorato di una di loro? Che Courtney e Ciro avevano rotto non solo per la sua spalla, ma anche perché erano perseguitati dal fantasma di Pulcinella? Come potevo dirgli che mi sentivo male senza evitare che mi prendesse per pazza?!
«Adesso non mi va molto di parlare.» gli dissi, prima di tracannarmi il tè.
«Stai mentendo, ma va bene.» bevve anche lui «In ogni caso, se hai bisogno, io sono qui, al quinto appartamento del secondo piano... basta che giri a destra dalle scale private.»
Lo guardai stranita e con una certa curiosità: in che senso "al quinto appartamento"?!
«Hai sentito bene: i tuoi mi hanno dato una camera per facilitarmi la mobilità a lavoro. Ho preso la giornata libera ieri per sistemarmi un po'.»
«Ma è fantastico!» esultai «Hai bisogno di un tocco femminile per metterci le tue cose?»
Se c'era una cosa che amavo fare, dopo disegnare e creare vestiti, era arredare!
«In realtà ho fatto già, mi ha dato una mano Ciro...» sogghignò «Non avevo molte cose, giusto tre scatoloni, una valigia di vestiti e qualche libro, dovrei solo sbarazzarmi delle cianfrusaglie che ci sono qui e sistemare la libreria, non preoccuparti.» giocherellò con l'orecchino «Per quanto adori la tua compagnia non mi permetterei mai di chiederti di aiutarmi a ripulire.»
«Scherzi? Lo faccio con piacere!» posai il tè sul sottobicchiere e poggiai i gomiti sul tavolo. «Salgo con te, appena sei pronto.»
Lui sospirò contento e finì la bottiglia.
«Devo dire grazie a tuo fratello di questo.» indicò Charlie nell'atrio, intento a sorridere a un paio alle telecamere e a farsi intervistare dai giornalisti di Neapolis «È un po' pazzo eh, ma ha il cuore più grande di un oceano.»
«Già. E non solo quello.» mi avvicinai al suo orecchio per trastullarmi «Hey Mambo, Mambo italiano: go go go...» gli canticchiai. Ormai quella canzone era diventata l'inno di Charlie.
«Non te lo vorrei dire così apertamente: ma la tua voce e il tuo accento americano su questo brano sono molto... calzanti?» ci scherzò su come se si volesse sentire corteggiato.
Mi misi a ridere. Glielo avevo cantato apposta in una maniera sensuale.
«Una curiosità: come l'ha presa mio padre?» gli diedi una gomitata leggera per invitarlo a rispondere.
«Mi ha detto: "Detrarrò l'affitto dalla tua busta paga e non portarti a scopare nessuno qua dentro o ti mando a dormire tra gli scogli!". Simpatico, vero?» si grattò la nuca.
«What a fuck?!» sgranai gli occhi «Davvero ha detto così?»
«Sì, perché crede che abbiamo una relazione "clandestina"...» virgolettò «quanto è iperprotettivo...»
Arrossii dall'imbarazzo. Come poteva credere mio padre che tra me e Gennaro ci fosse sul serio qualcosa del genere?! Non mi sarebbe venuto di andare a letto con qualcuno per cui non provavo niente! Avevo tentato, diverse volte, ma mi facevano pena i rapporti occasionali e disimpegnati.
«Gli ribadirò che non è affatto così. Come gli salta in mente che mi possa piacere uno come te, dico io!» mi indignai, senza rendermi conto lì per lì che potessi offenderlo.
«In che senso?» mi chiese risentito.
Trasalii dallo sgabello e restai in piedi. L'avevo sfiorato per sbaglio col ginocchio. La sua espressione era come in trance – né arrabbiata o triste o divertita – in attesa di reagire.
«Sei... siamo completamente diversi. L'età, il carattere, il lavoro...» abbassai lo sguardo, senza voler proseguire oltre.
Forse lo avevo un po' snobbato, ma non intendevo farlo apposta.
«Ah. Capito...» sbatté ripetutamente le palpebre, ammutolito. «Comunque sì: ribadisciglielo pure.»
Seguì un silenzio imbarazzante. Lui si alzò dallo sgabello e si tolse il grembiule. Notai che il suo volto, di solito sorridente, si era un po' incupito. Mi sentii in colpa in quel momento.
«Non ti avrò mica offeso?» arricciai le labbra.
«No! Ma figurati...» esalò turbato. Si schiarì la voce «Sono più che d'accordo con te!»
Tirò fuori dal bancone un'enorme scatola di cioccolatini assortiti rotonda e un meraviglioso mazzo di fiori di ibisco, crisantemi e orchidee, avvolto da una carta decorata di farfalle di cartapesta.
«Questi sono artigianali. Sono per Courtney, per augurarle una pronta guarigione.» posò la scatola sul marmo e prese i fiori «E questi...» impallidì «questi... sono per te per...» mi guardò negli occhi interdetto «per lei... sì: per tutte e due. Non sapevo cosa potesse apprezzare di più Courtney e così ho pensato cosa apprezzeresti tu... cioè...» fece una smorfia impacciata «se... se ti piacciono puoi prenderli tu, so che ti si addicono di più, sennò dalli pure a Courtney... oppure no!» sbuffò «Fai come vuoi ma... ecco... io ho pensato che avrebbero fatto più piacere a te e... e quindi niente. Li ho presi: stop. Fanne ciò che vuoi.»
Mi commossi. Era la prima volta che un ragazzo mi regalava dei fiori. Beh, il suo discorso era un po' confuso, ma apprezzai il suo pensiero. Mi venne il dubbio che fossero solo per me perché forse non era un caso il modo in cui era organizzato il mazzo. Tra me e mia sorella ero io quella ad amare i fiori, ibisco e crisantemi in particolar modo, sapevo già che me li sarei tenuti tutti!
Andai dietro il bancone per ringraziarlo con un abbraccio amichevole.
«Grazie, non dovevi!» gli diedi un bacio sulla guancia e lui sorrise. La peluria corta e morbida mi solleticò il naso, mi sfregai velocemente le narici contro la sua spalla per interrompere il formicolio.
Lasciò la sua postazione a Ioana e andammo su per le scale, schivando le telecamere. Incrociammo Barbara che mi prese di mano i regali e li portò nel salone. In quel piano non ci salivo dalla sera della festa e mi fece molta paura rivederlo di nuovo, senza zucche, ragnatele e altre decorazioni lugubri. Senza sangue, senza fantasmi...
L'appartamento di Gennaro era un monolocale sufficientemente ampio, non restaurato. Il letto matrimoniale era la prima cosa che si vedeva appena aperta la porta, poi una scrivania sovrastata di libri, un divanetto al muro sopra cui c'erano tre scatoloni, un tavolo con un paio di sedie, una cucina messa bene e poi la porta del bagno. I mobili alla parete erano moderni e di poco valore, mi disse che nessuno di quelli era suo. Non era male come stanza, molto in disordine sì, ma ero convinta che si potesse trovare bene una volta sistemato.
Si preparò a spostare la catasta di libri e andai a dargli una mano.
«Quelli sulla libreria» mi indicò gli scaffali «sono del Palazzo... dovrei toglierli e fare spazio ai miei, probabilmente. Altrimenti non saprei proprio dove metterli... dovrò chiedere a tuo padre.»
«Un po' di spazio lo puoi ricavare per ora, basta spingere in dentro i libri che non vuoi vedere...» mi misi davanti al mobile e gli indicai come fare «e poi posizionare quelli che vuoi vedere qui davanti.»
Lui mi diede ragione e iniziò a fare come gli avevo detto negli altri ripiani. Agguantai tre tomi e li inserì nello scaffale. Lessi i titoli La psicoanalisi, L'interpretazione dei sogni, Psicologie delle masse e analisi dell'Io.
«Ti piace molto Freud vedo» commentai incuriosita.
Gennaro si voltò impreparato.
«Cosa?» trasalì «Ecco... "piacere" è un parolone... certe cose sì, altre per niente! Troppe sessualizzazioni improprie, teorie anacronistiche che non stanno in piedi, interpretazioni alla cazzo di ca... ehm... così dicono!»
Adocchiò il resto dei libri che avrei dovuto ordinare insieme a lui. Tirò in dentro le labbra e si frappose tra me e la scrivania.
«Perché non vai fuori in balcone?» coprì i titoli che potessi sbirciare con fare discreto «È molto suggestivo il panorama. Guardalo, sono certo che ti piacerà.» fece un sorriso storto.
Annuii. Mentre mi accingevo lessi: Psicoterapia in mille e uno casi diversi, Emotività gestionale, Psicanalisi moderna, Psicologia nera e altri che mi sorpresero. Alcuni sembravano veri e propri manuali. Non immaginavo che fosse appassionato di queste cose e mi chiesi perché non volesse che curiosassi, non c'era nulla di cui vergognarsi.
Sul panorama però aveva ragione, la visuale dal balcone in ferro era mozzafiato, da disegnare all'istante. Si vedevano tutti i palazzi di Posillipo oltre i vetri, mille fanali che sfavillavano colorati nella sua portafinestra. Uscii per ammirare quel paesaggio notturno di Napoli.
Tra i rumori delle auto, le risate fastose dei visitatori in fila e le onde del mare, sentii un brusio alle orecchie che mi parve una melodia sussurrante. Mi sporsi dalla ringhiera per carcare di ascoltare meglio. Chiusi gli occhi per concentrarmi, ma persi l'equilibrio a causa di uno stordimento improvviso.
Gennaro mi afferrò dal ventre e mi trasse in salvo.
«Christie! Christie! Che ti è preso?!» mi diede dei colpetti sulla faccia.
Strabuzzai gli occhi e misi a piangere sulla sua spalla: avevo paura di aver sentito le sirene! Lui mi strinse, mi tolse i capelli che avevo davanti agli occhi e mi baciò la fronte per rassicurarmi.
«Tranquilla, tranquilla, ci sono io.» mi attanagliò il polso «Sarà stato un calo di pressione.» prese delle caramelle alla liquirizia, che teneva in uno scatolino dentro la tasca del gilet, e me ne fece ingerire due. «Respira profondamente.»
Lo guardai negli occhi scuri e mi sentii leggermente meglio. Avanzai la mano per accarezzare il suo volto in modo da capacitarmi che fossi davvero lì e non altrove. Gennaro, in tutta risposta, chiuse gli occhi e abbassò il naso in prossimità del mio palmo per avvertirne il profumo. Poi mi fissò languido e mi baciò la fronte con molta premura.
«Stai meglio?» mi chiese in un sussurro.
Eravamo così vicini che quasi sembrò che ci stessimo per baciare sulle labbra. Io socchiusi le palpebre, mi concentrai sul rumore delle onde del mare e non sentii niente che potesse somigliare al canto delle sirene, piuttosto erano latrati di gabbiani.
«Sì, sto meglio.» gli sorrisi. «Grazie.»
Lo abbracciai sfinita e sentii il profumo di pino silvestre che emanavano i suoi vestiti.
«COSA TI AVEVO RACCOMANDATO, CRISTO?!» urlò mio padre, piombato dentro la stanza di Gennaro con in mano delle scartoffie.
Ci stringemmo ancora di più per lo spavento.
«Papà?!» cercai di rispondere «Non è come sembra!»
«Ti dispiacerebbe togliergli le mani di dosso?!» gridò «Mi serve lo psicologo!» si lamentò.
«No, ti serve lo psichiatra!» commentai frastornata. «Tra me e lui non c'è niente! Come te lo devo dire?»
«Non me lo dire, che fai prima.» notò il modo in cui eravamo stretti «Via da qui!»
«Sì si-signor Hall...» Gennaro si sciolse da me, impaurito.
«Non tu, Rizzi!» camminò verso noi e mi tese la mano «Non farmi perdere la pazienza, vai a fare la civetta con chi non pago, grazie! Non ho voglia di avere tra i piedi un altro dipendente piantato in asso da una di voi!»
Uscii dalla stanza, in parte arrabbiata e in parte contenta di non aver realmente sentito le sirene. O almeno così credevo.
Non fu facile riprendersi da quell'esperienza, ma il nostro soggiorno a Napoli era ancora molto lungo, tutto poteva accadere. Chi ce lo poteva dire che un domani non si potesse riaggiustare ciò che si era rotto?
Quello che più miimportava era stare insieme alla mia famiglia, non importava dove, nonimportava quando, bastava che fossimo insieme e ce l'avremmo fatta a superaretutto e uscirne vincitori.
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