🌊🏚️🎃 6. Principessa 🎃🏚️🌊
THIS IS HALLOWEEN! La mia festa preferita! C'è bisogno di spiegarne il perché? Esorcizza ogni paura e si rende lode al puro terrore. Nessuno teme niente ad Halloween, nessuno giudica nessuno per l'aspetto esteriore: più si è brutti e paurosi, più si è belli e affascinanti! Quella ricorrenza stimolava la creatività, ne erano una buona testimonianza i costumi fantastici di mia sorella per cui impazzivano tutti!
Quella celebrazione nel museo esoterico era di una fastosità grottesca dove si rendeva omaggio alla diversità attraverso decorazioni magnifiche e travestimenti da urlo! Tutti ridevano, tutti urlavano, tutti piangevano - o quasi - e tutti si spaventano per poi scherzarci su! Charlie, Christie, Courtney, io, i miei... avevamo lo spirito halloweeniano che ci scorreva nelle vene!
Decorare la casa in onore del giorno del terrore era una delle nostre tradizioni di famiglia. Ci tenevo a partecipare ai preparativi, per quella volta li avrei perdonati per non avermi inclusa... dissi loro che avrebbe dovuto essere l'unica e l'ultima eccezione!
Palazzo Donn'Anna e dintorni erano diventati un macabro Luna Park, volevo provare a fare tutte le attività, dalle giostre alle gite in barca, dal teatro all'Escape room, dalla sfilata di maschere ai percorsi di Ningthmare before Christmas, Alice in Wonderland, Dracula, IT, Addams Family e altri. Passai la sera a vederli tutti!
Avevo conosciuto persone che come me amavano i ragni, amavano le zucche intagliate, i fantasmi, i pipistrelli, il sangue, il trucco spettacolare... tutto! Ma detestavo profondamente Napoli... e lì erano tutti napoletani. Però, in quell'occasione, cercai di ignorare quanto schifo mi facesse per cominciare a divertirmi. Concessi anche una tregua ai miei che non mi volevano far tornare a New York e che mi rifilavano insegnanti privati idioti.
Nella nostra famiglia ogni occasione era buona per fare festa, ma Halloween era Halloween: era un favoloso pretesto per rallegrarsi con gli amici, rompere le scatole ai bigotti – Meziani in particolar modo – e girare per le strade facendo: «Dolcetto o scherzetto!».
In quella festa mi sentii una vera principessa: avevo attraversato Bagno Elena su una gigante zucca intagliata come carrozza, trainata da un paio di cavalli neri addobbati e vestiti alla maniera degli scheletri messicani; il mio abito aveva uno strascico lunghissimo e una gonna vaporosa che ammirarono tutti. Mi fecero essere la versione dark di Cenerentola, in pratica, con la differenza che non avevo alcun coprifuoco.
Dopo la mezzanotte fui infatti l'unica della mia famiglia a rimanere a godermi la festa e a passare la notte in bianco. Venni accerchiata da ragazzi e ragazze che volevano conoscermi e che mi facevano i complimenti per quanto fossi bella quella sera.
Non sentii persona lì a Napoli non disprezzare il mio stile gotico prima di Hall-oween – vabbè che in realtà quelle che avevo conosciuto si potevano contare sulle dita della mano – ma lì invece lo esaltarono.
Fu Halloween, in pratica, a ribaltarmi tutte le carte in tavola. Per questo motivo adorai la cerimonia.
Conobbi i compagni di Christie, i colleghi di Courtney, gli amici di Charlie... che dopo lo spettacolo si divertirono a giocare a ingerire cicchetti di amaro. Qualcuno cercò di provarci per ottenere da me un invito a conversare e forse anche qualcos'altro. Una persona, in particolare, si rivolse a me molto interessata: la bravissima attrice che mio fratello aveva baciato. Era l'unica che masticasse molto bene l'inglese lì.
La ammiravo sul palcoscenico quando diceva le sue battute, era divertente e faceva delle smorfie fuori dal comune. Le feci i complimenti per come era riuscita a interpretare il suo personaggio e lei, tutta elettrizzata, mi fece:
«Mio dio! Ma tu sei la sorellina di Charlie! Accidenti, vi somigliate parecchio!»
Pensai che avesse detto una cazzata perché io e Charlie eravamo totalmente differenti. Lui un principe e io un ranocchio, lui socievole e aperto al mondo e io asociale e a ingresso riservato, lui con gli occhi azzurri e io con gli occhi marroni, lui con dei lineamenti che sembravano disegnati da Michelangelo e io con un volto che senza trucco era peggio che ad Halloween.
«No... non credo, lui è bello.» dissi, abbassando lo sguardo.
«Anche tu sei bella, molto bella. Mi piace questo stile da vedova nera che hai!» mi sorrise e mi squadrò da capo a piedi. «Perché non esci mai? È una bestemmia che una ragazza come te sia sempre isolata!»
«Addirittura?» mi fece arrossire. «È che non mi piace niente qui, festa a parte. Napoli non fa per me.»
«Ti capisco... hai abbandonato New York per vivere in questo tugurio. Napoli fa veramente schifo in confronto.» disse sottovoce.
Da quel momento in poi mi entrò in simpatia.
Mi fece domande su cosa mi piacesse fare e cosa no. Passai un'ora a raccontarle di New York, del perché miei genitori non si fidassero di me, dei miei ex amici, della mia band, di Morticia, della mia chitarra, di Lindsay... di tutto.
«Tu suoni la chitarra?» mi disse affascinata «E sai anche cantare?!»
Le cantai This is Halloween dal film di Tim Burton e lei mi disse che avevo una voce bellissima. Non so se fosse sincera, ma mi riempii di gioia questo complimento da parte sua.
«Come fa una meraviglia come te a essere ancora vergine?»
«Ecco...» impietrii dall'imbarazzo quando fece questa domanda «Non... non sono una che piace.»
Non so da dove lo avesse intuito. Forse dal fatto che non uscivo mai, o forse lo aveva dedotto da ciò che le raccontai della mia vita. Darle una conferma indiretta di questa cosa mi mise parecchio a disagio. A New York mi vergognavo di ammetterlo, non volevo che nessuno lo sapesse. Lì, al contrario, non me ne fregava perché non avevo paura dell'opinione che gli altri potessero avere di me. Non mi importava proprio niente della gente lì, io volevo solo tornare a casa. Nella mia vera casa a Long Island!
«Ah sì? Io credo invece che sia a te che non piace nessuno.» mi prese la mano e mi fece tremare il cuore «Dobbiamo rimediare, vuoi farlo sta sera?»
«Intendi...» tralasciai il tono.
Lei annuì e mi sorrise. Improvvisamente, mi girai intorno e cominciai ad avere ansia.
«Ma non c'è nessun ragazzo che mi attrae fino a quel punto...» le rivelai.
«Ragazzo?» mi domandò con un tono dubbioso.
Mi chiesi come mai mi guardasse in quel modo malizioso, come se fossi confusa.
«Oh beh...» si avvicinò di più al mio orecchio sinistro. «Se vuoi ti posso dare qualche dritta su chi sarebbe il più adatto.»
Tremavo d'ansia all'idea di perdere la verginità lì con uno sconosciuto, la sua proposta non mi piaceva per niente! Se avessi voluto togliermi di mezzo la fantomatica "prima volta" lo avrei fatto a New York, non avrei di certo aspettato di andare a Napoli per darla a chiunque. E poi non era colpa mia... è che non trovavo mai la persona giusta che mi attraesse fino a quel punto. Se dovevo provare dolore doveva valerne la pena.
«Un'altra volta meglio... adesso voglio pensare a godermi la festa!» le dissi, cercando di camuffare il mio disagio.
Lei mi guardò maliziosamente e mi disse:
«Fai bene, Claire, fai bene. Qui tuo fratello ha serrato proprio tutto, dovresti andare per i vicoli e non conosci abbastanza Posillipo per sapere dove infilarti.» mi sorrise e si fece servire da Gennaro – che era intento a fissare Christie e Charlie discutere invece che fare il suo lavoro – un martini alla fragola. «A meno che tu non sia disposta ad andare nel tuo bellissimo yacht.»
«No... per niente.» risposi.
Aveva gli occhi chiari, un collo bislungo ed era vestita in maniera molto provocante, non so da cosa fosse mascherata esattamente, ma aveva le corna di Maleficent e un cappello da strega tra i suoi bei capelli biondi passati di piastra. Se lo poteva permettere quel vestito molto corto visto quanto fosse perfettamente sana la sua pelle... sembrava una modella. Mi chiesi se a Charlie piacesse, lei sbirciava ogni tanto la sua figura dietro il mio diadema, come per attirare la sua attenzione. Il suo sorriso era contagioso e mi trasmetteva molte emozioni positive, cosa che non mi capitava da troppo tempo. Non stesi lì ad affliggermi con dubbi su cosa provasse Brigida o meno, mi volli togliere lo sfizio:
«Cosa c'è tra te e mio fratello?» domandai sorridendole. «Voglio dire... c'era qualcosa di vero dietro quel bacio scenico o... lo avevi già baciato prima?»
Mi guardò con un sorriso malizioso e si avvicinò con lo sgabello. Accavallò le sue gambe toniche e affusolate.
«Charlie è molto sexy... ma tu lo sei di più.» discostò lo sguardo da lui e gettò l'occhio sulla mia scollatura. «Misteriosa e affascinante. Una vera principessa di Halloween, bella e sfuggente come Cenerentola. Ne ho contati almeno dodici che hanno cercato di rimorchiarti nell'ultima ora, chissà tutto il resto.»
Davvero erano stati così tanti? Non afferrando cosa mi dicessero non ho capito nulla delle loro intenzioni.
«Mi sento onorata a parlare con te. Ne vuoi un po'?» mi pose davanti alle labbra il suo bicchiere di martini.
«Io... io non bevo.» dissi «I miei non vogliono.»
Mi pentii subito di averglielo detto. Ai suoi occhi sarò sembrata una bambina.
«Vuoi provare a vedere se ti piace?»
Non le risposi. Mi tremò il cuore a vedere il suo sguardo confidenziale nei miei confronti.
«Chi tace acconsente.» mi avvicinò il bicchiere alle labbra e ne sorseggiai un po'.
Era forte per me, ma vedendo le sue iridi azzurre mi presi di coraggio e ingoiai. Mi bruciò tutta la gola, però il sapore che quel liquido mi lasciò in bocca mi piacque parecchio. Me ne versò ancora, senza lasciarmi prendere il suo bicchiere. Ne ordinò un altro e me lo imboccò.
Strizzai gli occhi per quanto fosse intenso il bruciore dell'alcol e mi girai verso il bancone. Vidi quel rompipalle di Gennaro intento a osservarmi con un fare curioso e stranito.
Quanto mi stava antipatico quel barman! Faceva dei lunghi sermoni su cosa fosse giusto o sbagliato neanche fosse stato lui mio fratello. Non faceva altro che intromettersi nelle conversazioni altrui e dare consigli che nessuno gli richiedeva. Mi fissò severamente quando Brigida prese un altro bicchiere e me lo porse.
«Che cazzo ti guardi?!» gli feci.
«Niente, assolutamente niente... non prendere un altro bicchiere, è troppo forte per te.» gorgogliò.
Non avevo intenzione di dargli retta, presi di mano il martini di Brigida e me lo calai tutto in un sorso. Qualche goccia mi grondò dalla bocca, lei prese un fazzoletto e mi tamponò il mento.
«Grazie.» le feci. Diedi un'ultima occhiataccia a Gennaro, per poi concentrarmi su di lei. «Hai fatto un giro per il museo?»
«Non ce l'ho fatta purtroppo. Ho perso molto tempo con le prove generali, spero di rimediare domani.»
«E se... e se ti facessi fare un tour in esclusiva? Ne ho il permesso. Se ci tieni ti faccio vedere qualcosa.»
«Seria?!» spalancò il suo smagliante sorriso e mi guardò affatturata. «Ma grazie! Volentieri Claire.»
Quando pronunciò il mio nome in quella maniera entusiasta, con quel bel sorriso che le scalfiva il volto sinuoso e liscio, mi fece accendere un piccolo barlume di gioia che avevo ritrovato. Non sapevo perché, ma apprezzai la sua compagnia nonostante il disagio iniziale.
Ce ne andammo dopo che mio fratello e Gennaro uscirono dalla sala. La presi per mano e la condussi per i sotterranei. La sicurezza ci lasciò passare e ci addentrammo nella stanza degli orrori.
Attorno, le luci erano indivise e rosse e c'era un rumore inquietante, non molto fastidioso. Facemmo un giro con le torce per vedere i finti scheletri dentro le teche insanguinate, riempite di ragnatele giganti, dove i nostri capelli rimasero impigliati. Ci mettemmo a ridacchiare e a snodare le ciocche l'una dell'altra come delle bambine che giocano con le bambole. Le mani si toccarono più volte reciprocamente e ogni tanto sentivo il suo respiro agitato che modulava l'intensità quando mi stringeva le braccia, come se si sentisse sicura con me.
Mi staccai per un po' da lei, non volevo che impugnasse i miei polsi per via dei tagli autolesivi. Il vestito me li copriva, ma al tatto le cicatrici erano più che evidenti. Pensava che fossi interessante e mi poteva prendere per psicopatica scoprendo le mie ferite.
Mentre camminavamo, udivamo rumori disturbanti e musiche di sottofondo perturbanti. A un certo punto, però, udimmo un urlo.
«Come fai a non aver paura?» chiese tremolante. «Io me la sto facendo sotto!»
La presi per mano e corsi nella stanza più vicina, dove sembrava che si fosse originato l'urlo.
«Che schifo!» gridò lei.
«Che bello!» gridai io.
Avevamo visto degli ologrammi con i volti fracassati, le orecchie mozzate, le bocche traboccanti di sangue e di denti marci che cadevano sul pavimento. Erano tutti uomini, sia vestiti che mezzi nudi, che si stavano cavando gli occhi, che si strappavano i capelli e si decapitavano a vicenda camminando poi senza capo sul collo.
«Simm'e Napule paisá!» dissero più volte.
Sembrava che cantassero e ballassero a ritmo di tarantella. I loro movimenti, mentre strisciavano e zoppicavano, andavano a intermittenza: comparivano e scomparivano così velocemente che sembravano i fotogrammi consumati di una vecchia pellicola cinematografica.
Le chiazze scarlatte sopra il tappeto sembravano realistiche, mi sbalordii della tecnologia con cui si poteva rendere quell'effetto. Pensai che i miei avessero fatto proprio le cose con i fiocchi!
Un ragazzo estremamente giovane – che poteva avere la mia età – venne falciato da un fante salito in groppa a un cavallo dal manto morello. La spada gli venne conficcata in gola nella stesa maniera di un fachiro musulmano e venne tagliato in due dall'interno. Lo scudiero dell'assassino si accasciò sopra il "cadavere" del ragazzo per poi caricare contro il muro, passandogli attraverso. Brigida si terrorizzò nel vedere che la vittima del cavaliere era ancora viva e ansimante.
«Aiutatemi!» ci disse.
La ragazza si strinse a me e cercò di invitarmi ad andare via perché non riusciva a reggere tutta quella violenza.
«Non preoccuparti, tanto è tutto finto!» le sussurrai all'orecchio.
Si avvicinò riluttante alle macchie di sangue che rifulgevano sul pavimento e impregnò il suo polpastrello di quel liquido opalescente.
«Claire...» mi fece, spaventata e tartagliante. «Questo non è un ologramma!»
Mi accostai a lei, mi inginocchiai e toccai il liquido che usciva dalla testa falciata in due del ragazzo. Le mie dita si bagnarono e le mie unghie si sporcarono di membra di cervello che erano saltate fuori dal cranio della vittima.
Le gocce di quello che sembrava essere vero sangue mi scivolarono dalle nocche scarne e un uomo, dietro di noi, ci fissò, impugnando un coltello nella mano destra e una clava dalle estremità appuntite nella mano sinistra. Aveva la faccia ricoperta di pustole nere e piene di pus, i bulbi oculari cavati, il naso privo di narici. Il suo corpo aveva delle parti ustionate, piene di polvere come se stesse per essere incenerito.
Scappammo via, ancora prima di capire se quelli fossero attori, robot o... o vera gente che si stava ammazzando a vicenda.
Corremmo per lo stretto corridoio dei sotterranei che avrebbe dovuto condurre all'uscita. Cercammo di fuggire, ma la porta era chiusa, Brigida tentò di scassinarla con una forcina.
«Cazzo! È impossibile! Nei film sembra facile!» commentò.
Gliela tolsi dalle sue dita piallate e provai a sbloccare la serratura di quella porta. Ci riuscii per miracolo e uscimmo da lì. Per nostra sfortuna era la camera sbagliata e, invece che le guardie di sicurezza, ci trovammo di fronte a una macchina di tortura dove un boia stava stendendo il corpo di un tizio imbavagliato. Quest'ultimo era privo di palpebre e le lacrime di dolore erano amalgamate ai grumi del sangue coagulato.
Il boia girò la manovella delle catene e sentimmo il fortissimo «Crack» delle ossa che si stavano rompendo. Subito dopo ci venne addosso e, nel tentativo di scappare, a Brigida si ruppe il tacco della scarpa e inciampò. Cercai di aiutarla a rialzarsi dal pavimento di pietra, interponendomi tra lui e lei per farle ricavare del tempo in più per alzarsi. Il boia si fermò. Tolse il cappuccio e si rivelò essere uno scheletro senza alcuna carne. Imperversò e tentò di strangolarmi con le mani, ma non appena si avvicinò a qualche centimetro da me, questi scomparve. Tutto scomparve.
La ragazza mi abbracciò in lacrime. Il mio seno pallido e ingombrante venne compresso dal suo, che era sodo e ben proporzionato con il suo corpo. Le sue labbra si poggiarono sul mio collo e immerse la testa nei miei lunghi capelli rossi. Sfiorai, con la mano sinistra, la sua chioma bionda e serica e sentii il mio cuore battere forte e rumoroso come quel cavallo rampante che ci stava arrivando in carica.
In fretta e furia, senza badare che eravamo troppo ravvicinate, fuggimmo per il corridoio giusto.
Dicemmo alla sicurezza di chiudere tutto perché c'era della vera gente là dentro che stava commettendo atti cruenti. Un bodyguard ci guardò con astio e ci rimproverò.
«Non dovevate andare nelle stanze degli orrori a quest'ora, signorina Hall! Abbiate un po' di contegno! È tutta una finzione!»
Insistetti a ribadire che non ci eravamo inventate nulla. Quando andò a controllare e accese le luci... non c'era assolutamente niente: né uomini, né boia, né sangue, né cavallo, né cadaveri... NIENTE!
Provai a dargli una prova di ciò che avevamo visto cercando qualche macchia di sangue nel mio vestito, ma non la trovai. Cercò anche Brigida, ma non c'era alcuna prova che sosteneva la nostra versione. Il bodyguard, abbastanza corrucciato, ci indicò al soffitto i proiettori degli ologrammi.
«Visto?! Fuori di qui! Avreste potuto farvi male sul serio!»
Che meraviglia avevano istallato i tecnici, pensai. Ero felicissima che fosse tutto finto e che sembrasse così vero! Brigida mi abbracciò dalla contentezza e dalla troppa adrenalina. Mi baciò svenevolmente la guancia destra e io mi sentii tremare persino le unghie delle dita.
Ero spaventata, ero risollevata, ero imbarazzata e... non sapevo che altro ero. Nel vedere i suoi occhi cerulei felici, s'insinuò dentro me una sensazione che mi capitò solamente con Lindsay. Sentii la volontà improvvisa di volerla proteggere dalle vicissitudini del mondo esterno. Il fatto che lei avesse sentito bisogno di me e che mi avesse ringraziato in quel modo mi ghermì l'anima.
Mi propose di uscire da lì e andare a prendere un gelato, fuori dal Palazzo. Le dissi di sì senza neanche rifletterci due volte. Non ero mai uscita per Napoli senza almeno un componente della mia famiglia, prima d'allora.
«Claire... non so come ringraziarti per aver cercato di salvarmi!» mi disse, dopo che ci sedemmo su delle scalinate.
«Tranquilla, era tutto finto per fortuna.» risposi.
«Sì, ma non lo sapevamo... se fosse stato vero tu avresti cercato di salvarmi la vita! Sei fantastica Claire, davvero.» poggiò la sua testa sulla mia spalla e mi guardò ammaliata «Com'è possibile che nessuno si sia mai innamorato di te?»
Mi vennero in mente tutti i ragazzi che si erano presi una cotta per me... le dissi:
«In realtà non sono sicura che non ci sia stato un ragazzo che non si sia innamorato di me. Sicuramente sì, ma io non mi sentivo a mio agio con le persone che ho incontrato.»
«Proprio nessuno ti ha mai colpito? E che mi dici di... Lindsay, giusto?»
Le sorrisi, pensai ci fosse stata un'incomprensione. La sua voce acuta era molto bassa in quel momento, come anche la mia. Non aveva sentito bene forse.
«Lindsay è una mia amica, qui stiamo parlando di interessi amorosi, no?»
Inarcò le sopracciglia e mi guardò negli occhi, scrutandomi simpatizzata.
«Ragazzi quindi?» fece.
«Sì, certo!»
«E come mai non mi hai nominato nessuno? Da come hai parlato della tua amica, non mi sembra che per te fosse solo quello...» mi disse «sembra qualcosa di più. Ti deve aver fatto molto male separartene.»
Forse intendeva dirmi che ero innamorata di Lindsay secondo lei? Ma sarebbe stato assurdo, non ero mai stata lesbica, non riuscivo neanche a immaginarmele due donne fare... beh...
«No! Ti sbagli...» le feci un sorriso di cortesia.
«Sarà... il primo bacio almeno lo hai dato nella tua vita, vero?»
Ero vergine, ma solo per questo non significava certo che fossi una santa o una suora.
«Sì, ovvio! Quello anche precocemente! Avevo sei anni...» mi misi a ridere. «Si dice che non si scordi mai il primo bacio, ma per quanto faccia schifo!»
«È vero!» rise a sua volta. «Qual è stato il migliore che hai dato o ricevuto?»
Ci pensai e non le risposi... avevano fatto tutti schifo, dal primo all'ultimo.
«Hai proprio lo "schifo" facile!» commentò. «Eppure è bello stare con te a parlare, sembri proprio una piena di sorprese... una meraviglia dentro e fuori.» sospirò, mordendosi le labbra «Mi devi insegnare a scassinare le porte comunque, almeno quando mi ritroverò intrappolata da qualche parte saprò come uscirne e penserò a te.»
Abbassai lo sguardo. Lei mi alzò il mento e accarezzò le guance che erano diventate rosse.
«Ma quanto sei tenera...» mi disse, sussurrandomi nell'orecchio. «Posso?» mi fece.
«Che cosa?» esalai io con voce sottile.
Mi soffiò sul padiglione auricolare con flebili respiri e sfregò le sue labbra sul mio lobo. Intromise delicatamente il mio orecchino nella sua bocca. Percepii dei brividi per quanto dolcemente si avvicinò a me e un formicolio all'inguine. Era una situazione ambigua, per me. Non sapevo come dover reagire. Mi baciò la guancia e poi, quando accennò ad accostarsi alle mie labbra, passate di rossetto nero, mi tirai indietro.
«Questo ti ha fatto schifo?» mi chiese deliziosamente.
«No... ma... non so se... io non...» non riuscii a comporre una frase di senso compiuto.
Sorrise e io mi presi d'ansia, continuando a impappinarmi. Lei era... lei era interessata a me? In quel senso?! Non lo disse esplicitamente, ma lo intuii dal suo volto sereno e affatturato. Quando fece:
«Posso provare a non farti schifo?» andai in crisi.
Il cuore prese a galoppare come un cavallo imbizzarrito, iniziai a sudare e ad avere l'angoscia che stessimo facendo una cosa sbagliata. Non riuscivo a immaginare di baciare una donna, mai avevo fantasticato una cosa simile. Ma... ma le sue labbra carnose mi indussero a credere che non mi sarebbe mai più capitata un'occasione come quella. Ero davvero tentata di baciare Brigida in quel momento e mi creai dei piccoli dubbi esistenziali a riguardo.
«Neanche questo vogliono i tuoi genitori?» alzò li occhi al cielo stellato.
Mi vergognai che mi avesse ricordato la figuraccia da bambinetta che avevo fatto prima al bar.
«Allora?» si strofinò le mani, infreddolite dal marmo degli scalini.
«I miei genitori? Non mi importa niente dei miei genitori!» distolsi lo sguardo verso il mare.
Ero agitata, non è che intendessi dire che non volevo loro bene, solo che non mi sarebbe interessata la loro opinione. E poi... per quanto mi abbiano rovinato la vita, non credevo che potessero mettermi i paletti anche lì. Avevano accettato le mie tenute spiritiche, avevano accettato il mio carattere difficile, mi avevano perdonata quando l'anno scorso li delusi, mi volevano mandare dall'analista, avevano creato una festa di Halloween per rendermi felice... perché avrebbero dovuto non accettare quello?
«Cioè... non credo che scenderebbero così in basso da farsene un problema... alla fine a loro non cambia niente... forse...»
«Ne sei sicura? Anche io ero convinta che i miei mi avrebbero accettata... poi però non è stato così.» si voltò di nuovo verso di me.
«Ma... ma i miei genitori perché mai dovrebbero... cioè... ma li hai visti?! Sembrano usciti da un uovo di Pasqua! Sono una sorpresa continua...»
I miei erano scellerati, svampiti, scalmanati, spericolati e sadomasochisti. Non sapevo mai cosa dovermi aspettare. Brigida rise e mi chiese:
«Cosa ti blocca, dunque?»
«È che non... io non sono... voglio dire...» non riuscivo a parlare per quanto tremassi.
Si avvicinò con il suo naso ricurvo a sfiorare il mio piccolo nasino all'insù in un bacio all'eschimese. Mi fissò dritta negli occhi e iniziai a sudare nuovamente. Mi accarezzò i capelli e le braccia presero a tremolarmi.
«Vuoi che ti baci, Claire?»
Mi esplose il cuore. Non riuscii a risponderle.
«Chi tace acconsente.»
Mi baciò.
La sua bocca sapeva di fragola, il suo sfregamento nasale mi solleticava la mente e si avvicinò a esplorarmi con le mani tutti i particolari del viso. Mi vergognai perché lei era così bella, levigata e io... io ero piena di foruncoli che il fondotinta copriva a malapena. In ogni bacio che avessi mai dato contavo nella mente i secondi che passavano, e quando mi sembrava durare troppo mollavo la presa. Ma con lei no, non mi misi a contare, dentro la mia testa non ci fu alcun silenzio imbarazzante, ma una confusa armonia che suonava diverse note e poi veniva spiazzata da un assolo di chitarra. Ciò che sentii fu proprio come un concerto rock. Ricordo che negli altri baci non vedevo l'ora di finire, lì invece... lì ne volevo ancora.
«Quando prima, al bar, ti ho chiesto se lo volessi fare... intendevo con me.» mi sibilò sulle labbra «Ti va? Tranquilla, cercherò di non farti male.»
Mi agitai. Era arrivato il momento che più temevo: per la prima volta mi sentivo coinvolta con qualcuno, in qualcosa, ma la conoscevo appena e... sebbene sentissi di volerlo forse, le dissi di no. Non volevo farmi vedere da lei senza vestiti... non con le mie cicatrici... non così presto.
Lei mi sorrise di nuovo e mi disse:
«Va bene, lo immaginavo, ma tentar non nuoce.» mi baciò la guancia «Cosa ti va di fare?»
Il fatto che volesse rimanere ancora con me mi fece più che sognare. Ritornammo al Donn'Anna e facemmo il giro in barca, le giostre... ci divertimmo insieme e, come già avevo preannunciato: passai la notte in bianco.
No, non facemmo niente di quello che lei avrebbe voluto. La feci riaccompagnare da Ciro verso le cinque e ci demmo appuntamento per quel pomeriggio.
Già lì pensai a quello che fosse successo nella stanza degli orrori. Quando poi, la mattina del 31, andai nell'ufficio dello yacht a chiedere ai miei genitori qualche dettaglio in più sugli ologrammi, loro mi dissero di non aver predisposto alcuna scena di boia, di squarci di cadavere e di tutto ciò che avevo visto.
«Tesoro, ma che ci facevi nella stanza degli orrori dei sotterranei a quell'ora?!» chiese mia mamma, intenta a firmare delle scartoffie sulla sua scrivania d'ebano.
«Sei certa di quello che hai visto?!» fece mio padre, seduto accanto a lei «Con chi ci sei andata? Noi a quell'ora eravamo tutti a cercare di recuperare Charlie e Christie in mare.»
«Ecco... con una persona...»
I miei si guardarono all'unisono come se avessero già intuito quello che mi fosse successo. Mia madre si mostrò contenta, mio padre invece, prima di reagire, si tolse gli occhiali da presbite e mi disse:
«Ti prego, dimmi che non lavora per noi...»
«No: non è una persona che mantieni tu.» lo rasserenai.
«Bella di papà! Almeno una su tre!» disse entusiasta.
Si alzò di scatto dalla sedia e mi diede un abbraccio molto energico.
«Non è carino Tom, NON È CARINO!» richiamò mia madre, battendo la penna sulla sua agendina «E se lo fosse stata?»
«Ma non lo è! Vero Claire?!» mi diede delle pacche sulle spalle.
Improvvisamente cominciai a sudare freddo, chiedendomi se avevano capito che stessi parlando di una ragazza. Non so cosa avessero dato per scontato, forse avevano fretta di ritornare a gestire la festa perché a quell'ora quasi tutti gli stand erano pronti per la fiera e dovevano ancora riaprire i cancelli per far entrare gli ospiti nel cortile. Mia madre, frattanto che digitava sul suo cellulare il numero del sindaco, mi impose di raccontarle tutto, mio padre invece mi chiese se avessi fatto qualcosa dentro la stanza degli orrori. Grosso modo dissi la verità, omettendo i dettagli. Senza specificare che si trattasse di una ragazza.
«È una persona che ho conosciuto, ma non è successo niente di quello che credete... è nata solo un'amicizia.»
«Tesoro, ma goditi tutta la festa a pieno, amici per amici e inciuci per inciuci!» disse mia madre eccitata, alzando le braccia in aria. Quasi mi sembrò che quel telefono stesse per volare via dalla sua mano «Chissà quanto deve essere stato romantico innamorarsi dentro i sotterranei dove Giovanna La Pazza uccideva i suoi amanti!»
Non era quello il punto del discorso, accidenti! Io avevo visto lì dentro qualcosa che loro non avevano messo! Stavano sottovalutando quello che avevo visto!
«Hai visto uomini nudi e mezzi nudi?» continuò mio padre, un po' più serio «Anche a Christie e Gennaro è successa una cosa simile, però non nei sotterranei...»
Appresi tutti i particolari che seppero di quella notte e fui la primissima a sospettare di aver visto dei fantasmi.
Ci credevo nella loro esistenza, eccome se ci credevo! Facevo le tenute spiritiche apposta per rilevare la loro presenza. Lì, dal primo istante, sentii che qualcosa di oscuro e apparentemente innocuo si aggirava in quelle stanze. Avevo appreso dai miei che l'ex proprietaria medievale di questo posto aveva commesso molti maschicidi e non avevo visto alcuna donna lì nella stanza, solo uomini. Mi chiesi perché fossero scomparsi non appena uno di loro ha cercato di aggredirmi.
A meno che non fosse un trucco dei miei per incutermi paura, quelli potevano essere gli amanti dell'assassina! A mia madre era passato per la testa in realtà di inserire i finti fantasmi delle vittime di Giovanna II D'Angiò, ma perché negarmelo in caso? Non aveva senso.
Neanche la mia teoria però aveva senso... i fantasmi non perdono sangue... ma neanche gli ologrammi.
Credetti che mi stessero balenando in mente quei pensieri perché forse la mia mente era la prima a balenarsi, visto che non avevo dormito.
Non mi sentivo stanca però, tutt'altro! Avevo passato tanto tempo a dormire dentro una bara di legno chiamata yacht da avere energie a sufficienza per sopportare qualsiasi luce con la mia ombra!
Li salutai e scesi al molo per andare a fare colazione. Trovai lì Gennaro, che era appena arrivato sul posto di lavoro. Aveva in dosso il costume da cappellaio matto; dal suo aspetto sfossato e dai vestiti messi così, come gli capitava, lo sembrava davvero. Evitavo sempre di rivolgergli la parola, era troppo invadente e marpione. Non capivo perché i miei non lo volessero licenziare: mi lamentavo io, si lamentava Courtney, voleva approfittare della bontà di Christie... eppure stava ancora là.
Mi salutò e mi diede un cornetto al cioccolato con cappuccino senza che glielo chiedessi.
«Felice che tu ti sia divertita ieri...» mi disse, dopo essersi messo il suo grembiule per togliere i piatti dalla lavastoviglie «ma non devi cominciare a bere. Bere non aiuterebbe il tuo carattere altalenante.»
«Perché non ti fai un po' i cazzi tuoi?!» rivolsi con un tono indispettito.
«Si può sapere, per una buona volta, cosa ti ho fatto?!» mi fece irritato «Così posso cercare di farmi perdonare.»
Lo guardai male, aggrottando le mie sottili sopracciglia.
«Ma perché sei qua ah?! Non hai una casa tu?!» apostrofai.
«No, non ce l'ho! Sono in affitto e riesco a pagarlo grazie a questo lavoro. Quindi ti prego di non rendermelo più difficile di quanto già sia!»
Mi fece una gran pena. Aveva i capelli tutti scompigliati e uno sguardo avvilito... da ebete, proprio. Presi a bere il cappuccino e, pensando ai fantasmi, dopo un po' gli chiesi:
«Hai visto qualcosa di insolito questa notte?»
Si voltò a sbuffare e chiuse gli occhi, come per fare mente locale.
«Definisci "insolito" perché ho visto tuo fratello addormentarsi in mutande convinto di aver fatto sesso in cinque minuti, poi l'ho visto tentare di buttarsi dal parapetto dritto giù per la scogliera, ho visto Christen nuotare in pieno sonnambulismo e ho visto te sorridere. Chest'è e miracolo e San Gennaro! Scusa i termini.»
«Cosa ha fatto Charlie?!» feci terrorizzata.
«Era intossicazione da caffè...» rispose subito «comunque: cos'è insolito per voi?»
«Beh... per me qualcuno o qualcosa apparso e scomparso all'improvviso...» spezzettai il cornetto dal nervosismo «non hai visto niente del genere?»
«No.» disse con un tono che non mi convinse affatto.
«Stai mentendo. I miei hanno riferito tutt'altro. Loro pensano che sia stata una vostra impressione, mio padre ha addirittura pensato che fosse una tua macchinazione per farti bello di fronte a mia sorella... ma io non credo che sia come dicono.» gli dissi una bugia.
Gennaro portò le mani in avanti e fece una smorfia allibita.
«Per farmi bello di fronte a Christen? Ma per favore...»
Era notevolmente infastidito da ciò che gli avevo detto.
«Si chiama Christie, chiamarla col suo vero nome non ti fa apparire meno interessato a lei.» provocai.
Quello lì, ogni volta che Christie si sedeva su un tavolino del bar o sul bancone a disegnare, non faceva altro che elemosinare attenzioni da lei, lui cercava in ogni modo di farsi notare tramite le sue acrobazie con gli shaker.
«Tra me e tua sorella non c'è assolutamente niente Claire, se non una buona amicizia.» chiuse nervosamente lo sportellone della lavastoviglie «Al contrario di te e Brigida... un altro drink e avreste limonato davanti a me.»
Stava sicuramente cercando di cambiare discorso convergendo i problemi su me. Non glielo volevo permettere.
«Prima di tutto: non è assolutamente vero. Secondo: io non sono mai stata lesbica. Terzo: non cambiare argomento.»
«E tu non mentire!» mi diede le spalle «Per qualsiasi cosa, sappi che sono qui, disposto ad ascoltarti se vuoi parlarmene.» mi servì un altro cornetto al cioccolato.
Ero scossa, ero confusa, non sapevo se volevo parlarne apertamente. Volevo in effetti dirlo a qualcuno... volevo dire che mi ero sentita a mio agio con una ragazza, quanto meno per ricevere dei conigli. Non sapevo se dirlo alle mie sorelle e a Charlie, forse non mi avrebbero capita... mi sentivo scompaginata completamente.
«Comunque non si diventa omosessuali, Claire, lo si è e basta.» mi disse spezzando quel silenzio che si era creato, nonostante ci fosse della musica in sottofondo. «Almeno te ne sei resa conto.»
Insistetti a dire che si stava sbagliando, che non mi sarebbe mai saltato in testa di avere rapporti intimi con una ragazza... prima di Brigida almeno... ma era stata solo un'esperienza che prima o poi tutti fanno. Oppure no?
«L'attrazione sessuale non si limita alla psiche, non la puoi decidere tu. È una forma di desiderio insita nell'essere umano e incontrollabile. Non serve negare che sei lesbica, Claire. È palese che tu lo sia, nessuno ti vorrà mai meno bene per questo.» si avvicinò a prendermi le mani che stavano sudando d'ansia. «Non c'è niente di male a provare attrazione per le donne. Sei fortunata ad avere una famiglia come la tua, lo sai?»
Lo guardai, mi diede un grande conforto in quel momento.
«Allora: ti va di parlarmene?» mi chiese sottovoce, sorridendo.
Il suo bel viso virile unito all'espressione amichevole e quasi fraterna, mi tentava a dirgli di sì, ma resistetti.
«No, io non sono...»
«Sì invece: lo sei. Non negarlo a te stessa.»
Non so cosa mi prese. Mi vergognavo stupidamente di ciò che avevo sentito con Brigida e il fatto che lui mi stesse dicendo cosa ero e cosa non ero mi irritò e volevo dimostrargli che si stava sbagliando sul mio conto: lo afferrai, senza preavviso, dal colletto della camicia e lo baciai in modo aggressivo.
Non sentii niente. Zero totale. Eppure lo trovavo un bel ragazzo. Ebbi l'impressione di star baciando un kiwi: la sua barba rasa mi diede prurito alle labbra.
Si ritirò dopo tre secondi.
«Claire! Cazzo, sei minorenne! Potrei finire in galera!» gridò.
Si girò prudente a controllare che non ci avesse visto nessuno. Impietrì quando notò che Christie, già truccata e vestita da fata, ci stesse osservando basita sotto l'arco bianco della parete. Mia sorella sbatté le palpebre ripetutamente guardando quando verso di me, quando verso di lui. Non avevo considerato che Gennaro potesse piacere a Christie, ma visto come lei reagì feci bene a non farlo:
«Christen, non è come credi!» esclamò lui.
«Non serve mica che ti giustifichi!» ribatté. «Claire: che diavolo fai?! Ti passa nove anni ed è sul posto di lavoro! Se fosse entrato papà al posto mio chissà che gli avrebbe fatto! Smettila di provare a farlo licenziare! Questa è cattiveria, sei pure lesbica, lascialo lavorare in pace!»
Scoppiai a piangere. Non per quello che disse, ma perché non sapevo più cosa ero. Forse non lo avevo saputo mai. Christie si avvicinò a me, un po' avveduta.
«Ma che ti è preso?» non le risposi «Suvvia dai, fatti ripassare un po' di trucco... il rossetto soprattutto.»
Mi stupii di come anche Christie fosse tanto sicura della mia omosessualità. Mi disse le stesse parole di Gennaro:
«Non negarlo a te stessa, non serve. Nessuno se ne fa un problema qui, perché tu sì?» non le sapevo rispondere.
Forse ero io l'unica a farmi problemi perché mi ero resa conto delle mie pulsioni. Lì mi spiegai molti particolari della mia vita.
Lasciammo il barman al suo lavoro e raccontai a Christie tutto ciò che era accaduto con Brigida. Non tralasciai niente.
Era contraria all'idea che fosse proprio lei il mio interesse, mi aveva detto, la sera prima, che non le piaceva per nulla come essere umano, ma non ci badai al suo giudizio. Christie era buona e cara, ma era anche una snob e una schizzinosa come poche, era facile non piacerle.
Le chiesi che cosa avesse visto all'ultimo piano e mi rivelò ogni cosa.
«I miei non erano ologrammi, non c'era niente al soffitto. Erano uomini in carne e ossa che si stavano masturbando mentre mi guardavano. Se non ci fosse stato Gennaro io non so che fine avrei fatto... ti prego non provocarlo più, non è giusto. Non farlo licenziare, è così diligente nel suo lavoro...»
«Va bene, va bene...» assai, proprio «quando siete scesi?»
«Subito dopo i fuochi di mezzanotte.»
«Mezzanotte?!» sgranai gli occhi «Oddio: OVVIO!»
Halloween, il giorno in cui i morti tornano in vita, scattava a mezzanotte. A quel punto non ebbi più dubbi: sia io che lei avevamo visto dei fantasmi.
Poco dopo, salii insieme a Christie su quel balcone dove lei disse di aver sentito delle voci provenienti dal mare che Gennaro non era riuscito a sentire.
Incontrammo nel retro Courtney e Ciro in borghese, che avevano appena ritirato i loro costumi dalla lavanderia.
«Dove state andando così di fretta?» domandò Courtney, dopo aver preso in mano la sua racchetta da tennis. «Vi fate un giro in fiera insieme a noi?»
Con una scusa, ci trascinammo dietro anche loro per verificare se percepissero i suoni, o le voci, che Christie diceva di aver sentito.
«Claire, le sento ancora!» disse, dopo aver aperto la porta finestra. «Forti e armoniose!»
Mi esposi al parapetto e sentii qualcosa nelle orecchie che somigliava in effetti a un coro di donne. Soave, meraviglioso, incantevole, angelico... ma molto più debole rispetto a come diceva mia sorella. Mi sporsi e scrutai il mare sotto al sole: non c'erano barche che traghettavano donne.
«Courtney, Ciro: voi sentite qualcosa?» chiesi, dopo averli condotti da noi.
«Di che parli? Del casino della fiera?» fece Courtney.
«No! Di donne che cantano in mare!» disse Christie.
Courtney chiuse gli occhi per concentrarsi sull'armonia scaturita dall'ambiente e si avvicinò al parapetto per sentire le onde del mar Tirreno.
«Non sento niente... tu senti qualcosa, Cì?»
«Io neanche Amò.» disse Ciro.
«Ma come fate a non sentirle?! Sono chiaramente delle donne che cantano da qualche parte lì in mare!» gridò Christie, impaurita.
«Cioè sirene?» domandò Ciro, aggrottando le sue folte sopracciglia da gorilla. «Bell'idea!» commentò divertito. «Solo i morti qui possono sentire le sirene, il che rende tutto più funebre! Pensateci per la festa dell'anno prossimo!»
Courtney lo baciò e, guardando l'orologio che aveva al polso, gli fece fretta per andare a girare la fiera.
«Sirene? Ma le sirene non esistono!» mi fece Christie, scioccata. «Tu credi davvero che siano le sirene questo coro angelico?»
«Ciò che odi, fata promiscua, non è un coro angelico: è un coro sirenico. Il coro del limbo. Il coro dei fantasmi.» pronunciò una voce femminile e tetra, dentro la stanza, che sembrava mugugnare. «Dal pulpito di questo balcone, ricavato dalle fondamenta della villa originaria, i vivi sono in grado di udirle se battono in petto un cuore che non sussulta per amore di nessuno. È così ordunque che gli uomini che non amavano la megera spacciata per regina si gettavano volentieri attirati dal mare.»
I raggi del sole si riflettevano sui vetri di quelle finestre e di quella porta che si chiuse all'improvviso.
«Chi è che parla?» feci, oscurando la portafinestra con le mani incurvate per scrutare dentro la stanza.
«Il tuo incubo peggiore, lurida Mercedes!»
Una donna traslucida batté le mani sul vetro furiosa e rabbrividii nel vedere il suo volto nefasto che appariva e scompariva. La vidi per un attimo e poi niente più. Ciò che mi scatenò della vera paura fu che la sua bocca mostrava gengive insanguinate prive denti. Orrenda in tutti i modi immaginabili.
Una folata di vento dall'interno della stanza spalancò la porta e quasi mi scaraventò oltre il parapetto. Christie riuscì a tenermi e appena potemmo fuggimmo via da lì.
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