-13-
Blitz uscì dal palazzo di Stolas con un senso di vuoto che sembrava risucchiare tutto dentro di sé. Il freddo silenzio delle strade dell’Inferno lo circondava, ma nella sua mente il caos era assordante. Ogni parola di Stolas risuonava come un martello, colpendolo ripetutamente. “Lo sto facendo per il tuo bene.” Quel tono solenne, quella distanza che sembrava così artificiale, lo facevano impazzire.
Aprì lo sportello della sua vecchia macchina e si lasciò cadere sul sedile, accendendo il motore con un ringhio. L'autoradio gracchiò una vecchia melodia, ma Blitz la spense subito con un colpo deciso. Non voleva sentire niente. Nessuna distrazione. Solo il rombo del motore e i suoi pensieri.
Guidò senza una meta precisa, fino a fermarsi davanti a un locale malridotto che conosceva bene. L’insegna al neon lampeggiava fiocamente: Hellfire’s Barrel. Blitz entrò, passando davanti a un gruppo di demoni che lo guardarono di sfuggita, ma nessuno si prese la briga di salutarlo. A Blitz non importava.
Si sedette al bancone e fece cenno al barista. “Bottiglia,” grugnì. “Non mi serve il bicchiere.”
Il barista, un demone dai corni spezzati, lo guardò per un istante, poi tirò fuori una bottiglia di liquore dall’aspetto pericolosamente forte. Blitz la afferrò senza dire grazie, aprì il tappo con i denti e prese un lungo sorso. L’alcol bruciò, ma non abbastanza da soffocare il dolore che sentiva.
Più beveva, più i suoi pensieri diventavano torbidi. Ogni sorso portava un’ondata di ricordi: il sorriso di Stolas, i loro momenti insieme, le battute sarcastiche, persino il modo in cui il principe lo guardava come se fosse l’unica cosa importante al mondo. E poi, quelle parole: “Per il tuo bene.”
“Che cazzo significa per il mio bene?” borbottò tra sé e sé, appoggiando la bottiglia con troppa forza sul bancone. Alcuni avventori si girarono a guardarlo, ma Blitz non fece caso a loro. Prese un altro sorso, più lungo stavolta, e lasciò che la testa gli cadesse pesantemente tra le mani.
Dopo un tempo indefinito, si alzò barcollando. Il liquore lo aveva intorpidito abbastanza da convincerlo che poteva andarsene e che forse guidare sarebbe stata una buona idea. Tornò alla macchina, lasciando dietro di sé la bottiglia vuota che rotolò sul pavimento del bar.
Il motore della macchina tossì un paio di volte prima di avviarsi. Blitz strinse il volante, i suoi occhi sfocati cercavano di concentrarsi sulla strada davanti a lui. Ma ogni curva sembrava più stretta, ogni rettilineo più lungo. “Dannato Stolas,” mormorò, scuotendo la testa come per scacciare i pensieri.
Mentre guidava, un’ondata di disperazione lo travolse. Aveva bisogno di sentire una voce familiare, qualcuno che potesse, anche solo per un attimo, farlo sentire meno solo. Con una mano tremante prese il telefono. Digitò il numero di Loona, la sua "figlia" adottiva.
Il telefono squillò più volte prima che la sua voce rauca e sonnolenta rispondesse.
“Che c’è, papà? Sono le due del mattino.”
“Loona…” la voce di Blitz era più roca del solito, un misto di alcol e angoscia. “Solo… volevo sentire la tua voce.”
Dall’altro lato, un lungo silenzio. Poi, Loona parlò, il suo tono meno tagliente del solito. “Sei ubriaco?”
“Forse,” rispose Blitz con una risata amara. “Ma non importa. Voglio solo dirti che… che sei l’unica cosa buona che ho fatto nella mia vita. Lo sai, vero?”
Loona sbuffò, ma c’era un accenno di preoccupazione nella sua voce. “Okay, adesso ascoltami. Dove sei? Non metterti nei guai, idiota.”
Blitz sorrise tristemente. “Troppo tardi per quello, tesoro.”
In quel momento, un bagliore improvviso lo distrasse. Blitz alzò lo sguardo appena in tempo per vedere un veicolo che veniva verso di lui a tutta velocità. Tentò di sterzare, ma la reazione fu lenta, confusa. La macchina sbandò, i pneumatici stridettero, e poi… il mondo esplose in un frastuono di metallo che si contorceva e vetri che si infrangevano.
Il telefono cadde dal cruscotto, la chiamata ancora attiva. Loona gridò dall’altra parte: “Blitz? Blitz! Rispondimi!”
Blitz si trovò immobile, il corpo premuto contro il volante. Il parabrezza era ridotto in frammenti, il cofano accartocciato. Sentiva un dolore sordo al fianco e un sapore metallico in bocca. Tentò di muoversi, ma ogni movimento era un tormento.
“Merda…” mormorò, chiudendo gli occhi. Il telefono continuava a squillare, la voce di Loona sempre più disperata.
Forse, pensò Blitz, sarebbe stato meglio se fosse finita lì. Ma in fondo, una piccola parte di lui voleva ancora combattere, forse non per sé, ma per chi aveva ancora bisogno di lui.
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