Cαριƚσʅσ 61
Era calato il silenzio in macchina e Jisoo odiava trovarsi in quella situazione, forzata ad avere accanto una persona con la quale aveva discusso fino a pochi minuti prima e che non le rivolgeva parola.
Pensò che andare a Busan si era rivelata essere una pessima idea.
Era lì da neppure da ventiquattr'ore e già avrebbe voluto fare le valigie e tornare a Daegu.
"Sei una stupida se pensi che le vostre divergenze possano risolversi.
Siete incompatibili Jisoo, ficcatelo in quella testolina bacata che ti ritrovi.
Ci hai provato, brava, ma ora basta, guarda in faccia la realtà e accettala.
Che senso ha continuare a stare male?
Meglio separati e sereni, che insieme a sbraitarsi contro continuamente".
«Dato che non arrivo a comprenderti, mi dai una mano?
Mi dici cosa sta frullando in quella testa?», fece d'improvviso Taehyung, deglutendo.
Le sembrò di essere tornata indietro nel tempo, quando lui la invitava a interrompere i suoi pensieri e a vivere semplicemente.
Stavolta sembrava essere seriamente interessato a cosa le passasse per la mente.
Jisoo però, non sapeva se voleva dirglielo.
Non sapeva se desiderasse essere veramente compresa.
Lei stessa faceva fatica a capirsi, forse era stanca di analizzare tutte le sue stesse reazioni ed emozioni.
Oramai era semplicemente confusa: confusa su sé stessa, su Taehyung, su loro due insieme, su quello che era successo.
«Niente...», mentì lei, quando invece i pensieri continuavano a cozzarle nella testa.
Sentì solo lo stridio dei freni e il contraccolpo dell'auto che la spinse in avanti e poi indietro.
Taehyung aveva fermato la macchina di botto sul ciglio della strada.
«Ma sei pazzo?», gli chiese Jisoo con gli occhi sbarrati dalla paura, cercando di riprendere fiato.
Taehyung teneva il volante con entrambe le mani e fissava dritto davanti a sé.
«Adesso parliamo! Niente un cazzo, Jisoo!», disse con la voce profonda e alterata.
Jisoo si slacciò la cintura dell'auto: non aveva intenzione di rimanere lì un minuto di più, anche a costo d'incamminarsi a piedi verso casa.
Mentre cercava di aprire la portiera, si sentì afferrare per il polso sinistro e fu costretta a voltarsi verso di lui.
«Lasciami!», gli urló addosso.
«No, rimani qui e parli!», ringhiò lui, trattenendola.
«Non ho più niente da dirti Taehyung! Sono solo parole al vento con te!»,
fece Jisoo, cercando di divincolarsi dalla sua stretta, che però non le permetteva di andarsene.
«Che cosa sei venuta a fare qui?
Me lo spieghi?
Se tanto dentro di te, qualsiasi cosa io dica o faccia, è comunque segnata la parola FINE?», le disse, sfilandosi gli occhiali da sole e guardandola intensamente.
Quei maledetti occhi dicevano tutto: poteva scorgerci rabbia, frustrazione, angoscia, risentimento.
Jisoo rimase in silenzio a fissarlo, a sfidarlo. Voleva capire se anche lui riuscisse a cogliere il suo reale stato d'animo, senza la necessità di aggiungere altro.
Ma come le aveva detto pochi minuti prima, lui non riusciva più a decifrarla.
«Puoi lasciarmi il braccio?», gli chiese lei, con il tono più calmo che riusciva ad avere in quella situazione.
Lui obbedì, sciogliendo la presa.
«Ti ho chiesto di darci una possibilità e credo che con questo atteggiamento tu non lo stia facendo»
«Ho paura di prendermi l'ennesima fregatura, va bene Taehyung?
Mi pare di star forzando qualcosa che tanto non funziona e non funzionerà...»
Apparve ferito da quelle parole, sembró dover incassare il colpo.
«Le cose funzionano se ci si sforza di farle funzionare...», disse Taehyung, abbassando gli occhi.
«Siamo arrivati a questo?
A doverci sforzare di stare insieme?»,
chiese lei beffarda.
Taehyung alzó le braccia, per poi farle ricadere in segno di resa e disse:
«Io ci rinuncio! Metti in discussione ogni parola che dico!»
Aveva ragione e Jisoo ne era consapevole.
Oramai era talmente prevenuta su di lui, che lo stava trattando come un nemico da cui difendersi.
Lo metteva continuamente sotto la lente d'ingrandimento e lo attaccava, per paura di essere attaccata o ferita a sua volta.
La paura aveva preso il comando delle sue azioni, controllandole mente e cuore.
Cosa avrebbe capito da sè stessa se continuava a impedirsi di sentire?
Cosa avrebbe capito di lui se continuava ad affrontarlo, più che ad ascoltarlo veramente?
«Probabilmente hai ragione...»,
ammise con un filo di voce.
Taehyung sospirò profondamente e le disse con tono calmo:
«Senti, non ti forzerò a restare fino a domenica. Sei libera, e se vuoi tornare a Daegu anche in questo esatto momento, faccio dietrofront e ti riporto a casa. Non sarò di certo io a trattenerti contro la tua volontà...»
Jisoo a quelle parole alzò lo sguardo e lo fissò.
«...ma se anche una piccolissima parte di te vuole provare a restare, cerchiamo di darci una tregua.
Non rivolgiamoci parola, tanto abbiamo capito che in questo periodo è come se parlassimo due lingue diverse»
«Non parliamo? E che facc..?», cercò di chiedere lei, ma venne subito interrotta da Taehyung.
«...sentiamo...», disse lui con la sua voce profonda, non staccandole gli occhi di dosso.
E in un attimo, lei percepì nitidamente quel tuffo al cuore che solo lui era in grado di provocarle.
Quegli occhi marroni la scrutavano imploranti, cercavano di farsi spazio nelle sue pupille e di trafiggerle. Quegli occhi le chiedevano di farsi conoscere ancora una volta.
Quello che lui le stava chiedendo era rischioso e pericoloso, perché Jisoo sapeva che con lui sentiva sempre qualcosa. Che fosse astio, rabbia, rimpianto, desiderio o dolcezza.
Era impossibile cercare di limitare il turbinio di emozioni che era in grado di suscitarle.
Le chiedeva si sentire e lei era consapevole che quella richiesta poteva portarla a toccare il cielo con un dito o spezzarla definitivamente, facendola cadere nell'oblio.
Ma Taehyung aveva ragione: se volevano darsi quell' opportunità l'unica cosa che doveva parlare era il cuore e, per una volta, la bocca avrebbe solo osservato e taciuto.
«Va bene...», gli disse, affidandogli tutte le sue speranze e i suoi timori.
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«Arrivati», fece lui, spegnendo il motore.
Jisoo si guardò intorno e scorse un cartello con scritto:
Villaggio della cultura di Gamcheon
Uscirono dalla macchina in silenzio, senza dire una parola.
Taehyung non le spiegó neppure perché avesse deciso di portarla lì, semplicemente inforcò gli occhiali da sole e cominciò a incamminarsi con le mani affondate nelle tasche dei jeans.
Jisoo lo seguì silenziosamente.
Presero delle scalette ripide, che dal parcheggio portavano a un' altura.
Una volta terminate, Jisoo si trovò davanti un colpo d'occhio che la lasciò a bocca aperta: sulla vallata di fronte a lei, si stagliavano tante piccole case adiacenti l'una all'altra, di forme e colori diversi, che andavano dall' azzurro, al verde, al rosso, al giallo.
Sembrava un villaggio uscito dalle pagine di qualche racconto per bambini e non si sarebbe meravigliata se avesse visto sbucare qualche folletto saltellante.
Invece era reale, abitato e brulicante di turisti, che si inerpicavano tra le sue viuzze caratteristiche.
Taehyung attese che lei si godesse il panorama dall'alto, prima di fare un passo in avanti e iniziare il loro
percorso.
Jisoo non sapeva se lui fosse pratico della zona, se si fosse recato lì varie volte o fosse la prima anche per lui.
Stava rispettando il loro patto di restare strettamente in silenzio e non rovinare quella tregua così labile che si erano imposti di mantenere.
Lei semplicemente lo seguiva, ma dentro di sé, continuava a chiedersi quanto quel mutismo li avrebbe aiutati o sarebbe finito per darle sui nervi.
Le stradine erano strette e variopinte, le mura di ogni edificio non erano solo colorate, ma anche abbellite da murales e istallazioni che rappresentavano veri esempi di arte moderna.
Stava camminando immersa in quella visione quasi surreale, quando si accorse di aver superato Taehyung e si girò per vedere dove fosse.
Lo trovò dietro di lei, con il cellulare in mano, intento a scattarle delle foto di nascosto.
Lo guardò con aria interrogativa e lui si limitò ad abbassare lo sguardo sul display e a osservare la sua opera.
Rimise il telefono in tasca e allungò il passo per poi superarla.
"Mmmm, quanto riesci a darmi sui nervi?
Ok, stiamo in silenzio per non litigare, ma almeno camminami a fianco!
Tenta di prendermi la mano!
Sbattimi su questo muro blu e fammi sentire veramente qualcosa!", pensava Jisoo tra sé, guardandolo di spalle mentre le camminava di fronte.
"Però ammettilo che sei un po' stronza, questo poveraccio non sa più che pesci prendere con te.
Penserà che se tenta di avvicinarsi rischia di prendere un ceffone.
Fai un passo tu verso di lui.
Comincia a chiedere, altrimenti non puoi pretendere che gli altri sappiano ascoltare le tue esigenze".
I suoi stessi pensieri sembravano smentirsi l'uno con l'altro, erano incongruenti, come tutto ciò che sentiva nei confronti di Taehyung.
Più cercava di allontanarsene, più ne era in realtà attratta.
Più lo desiderava e più sentiva la necessità di prendere le distanze per paura di scottarsi.
Mossa dalle sue stesse contraddizioni, si avvicinò a lui e cominciò a camminargli di fianco.
Lui se ne accorse e girò la testa verso di lei, sorpreso di trovarsela accanto.
Continuarono ad avanzare così, lentamente e in silenzio per un tempo indefinito.
Quell'assenza di parole, spinse Jisoo a chiudere le orecchie e a prestare maggiore attenzione a tutte le sue sensazioni.
Lui era lì, dopo quasi un mese di totale assenza e scoprì che solo quel semplice fatto la rendeva felice.
Pensò, per un attimo, che ricominciare sarebbe potuto essere semplice, molto meno complicato di quello che pensava.
Bastava che stessero insieme.
Doveva soffermarsi solo su quel desiderio che l'anima le sussurrava: che lui le rimanesse sempre accanto.
Nulla di più e nulla di meno.
Si ritrovarono su una piazza, al centro della quale era posto un leggio in marmo.
Jisoo si avvicinò e notò che riportava un testo scritto in coreano e tradotto anche in inglese.
Ripercorreva la storia del villaggio di Gamcheon.
"Il villaggio di Gamcheon fu costruito tra il 1920 e 1930 quando l'amministrazione della città di Busan decise di trasferire, in un'area isolata dal porto, quella parte più povera della popolazione coreana.
Nel 1955, dopo la guerra di Corea, 800 famiglie si trasferirono nel villaggio e la popolazione raggiunse circa i 30000 abitanti.
Alla crescita demografica non corrispose però uno sviluppo anche a livello economico e il villaggio si trovò ad affrontare condizioni di povertà e miseria. Il numero degli abitanti scese a circa 8000, a causa del trasferimento di molte famiglie in città, in cerca di condizioni migliori, e molte abitazioni furono abbandonate.
Nel 2009, il Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo ha dato vita al progetto Dreaming of Machu Picchu a Busan, un'opera di ristrutturazione che ha convertito il villaggio in un centro culturale e artistico.A questa operazione hanno partecipato studenti d'arte, artisti professionisti e residenti. Le vecchie abitazioni abbandonate sono state ristrutturate e colorate e in molti casi trasformate in piccoli musei o gallerie d'arte. Tra il 2009 e il 2012 sono poi stati aggiunti murales e diverse installazioni artistiche".
Jisoo terminò la lettura, quando la voce profonda di Taehyung dietro di lei disse:
«A volte dai fallimenti nascono cose uniche»
Lei si girò verso di lui e i loro occhi si incollarono gli uni agli altri, iniziando finalmente a parlarsi in silenzio.
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Che dire? Grazie Wikipedia 😂
Bomambo per la cultura e il sociale vi offre una piccola informazione in più su quest'attrazione turistica della Corea.
Chissà magari prima o poi qualcuno di voi potrà visitarla di persona...
Per ora FORSE il villaggio di Gamcheon è servito a riappacificare i nostri due testoni... durerà la tregua?
Ci vediamo al prossimo capitolo per scoprirlo 😉
Voi come sempre fatemi sapere❤️
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