13 - It's just fiction, right?
This mental pressure got me poppin' pills and shit, uh
But I'm into it, I'm into it
- Into it, Chase Atlantic
𝐂 𝐀 𝐓
Da bambina, nei giorni tiepidi d'estate, mia madre mi portava spesso al lago. Ricordo che non mi tuffavo in acqua senza la maschera da subacquea perché dovevo per forza osservare il fondale e andare alla ricerca delle pepite d'oro che, a detta mia, erano nascoste lì. Era un gioco tutto mio, e mentre perlustravo quel piccolo mondo sommerso, imparavo a trattenere il fiato sempre più a lungo. Per questo battevo tutti nelle gare di apnea.
Ma quando indietreggio, mettendo distanza tra il mio corpo e quello di Shane, e torno a respirare regolarmente, sento di non aver mai desiderato così tanto ossigeno in tutta la mia vita.
Lui consuma il pavimento del bagno facendo avanti e indietro. Si passa le mani tra i ricci dorati in un gesto nervoso che attira la mia attenzione sul cellulare che stringe. Con chi starà parlando?
Chiunque sia, gli devo qualcosa: mi ha salvata da un errore.
Eppure, se era davvero sbagliato, perché questa punta d'amarezza mi brucia ancora in bocca?
«Non potete aspettare domani per fare questa fottuta consegna?», gli sento chiedere. Percepisco una sorta di rabbia nella sua voce, evidente nel modo in cui la sua mascella si tende, sottolineando i tratti marcati del viso.
Se sommo tutti questi indizi, arrivo a concludere che il suo interlocutore è un certo uomo avvenente di nome Dimitri Romanov.
«Sì, sì, ho capito. Arrivo il prima possibile», replica bruscamente. Dopo aver messo giù, scaglia il telefono vicino al lavandino con un gesto secco. Apre il rubinetto, raccoglie l'acqua nei palmi e se la getta sul viso, come a volersi scrollare di dosso il peso della telefonata.
Nonostante ciò che ha combinato stasera, non posso fare a meno di chiedere: «Tutto bene?»
Mi osserva attraverso il riflesso dello specchio. «Sì, tutto bene», mormora, anche se sta palesemente mentendo.
Si raddrizza, rigido, e per un attimo l'ombra che oscura il suo volto sembra appartenere a un'altra persona. È un'immagine distante anni luce dal ragazzo sfrontato e arrogante che ho incontrato cinque anni fa.
Questo improvviso cambiamento d'umore mi destabilizza, smuovendo qualcosa dentro di me. Quando si dirige verso la porta e afferra la maniglia, agisco d'istinto. «Aspetta», dico.
Si ferma, ma non si volta. «Devo andare, Cat», risponde con una voce piatta, fredda.
Quel tono, così estraneo, mi colpisce più di quanto vorrei ammettere. Non l'ha mai usato con me prima, e francamente, lo detesto.
«Era Dimitri?», gli domando.
Sospira pesantemente. «Sì»
«Che voleva?», chiedo, un misto di curiosità e apprensione che tradisce il mio tono.
Si volta appena, guardandomi da sopra la spalla. «Nulla che ti riguardi, Kitty Cat. Faresti meglio a tornare dal ragazzo Ralph Lauren», mi fa.
Ignoro il commento tagliente e sparo: «Ti serve una mano?»
«Le mie bastano e avanzano, stai tranquilla». Sembra una battuta, ma nella sua voce non c'è traccia di divertimento.
Lo osservo mentre abbassa la maniglia, e scrollo le spalle, cercando di sembrare indifferente. «Come ti pare. Volevo solo essere utile.»
Per un attimo lo fisso da lontano. Lo raggiungo, fuori dal bagno, e lo fisso con aria coraggiosa. «Guarda che posso reggere qualche stronzata clandestina», lo informo.
Lui mi scruta con occhi indagatori, come se cercasse di scavare dentro di me. «Non credo proprio, stavolta». La sicurezza nella sua voce mi irrita.
Inclino la testa di lato, cercando di sembrare audace. «Be', allora dimmelo e vediamo.»
Scuote la testa con decisione. «Spiacente, Kitty Cat. È top secret. Tornatene a casa dal tuo bel gattino e infilati sotto le coperte.» Si volta e si allontana lungo il corridoio, diretto verso la sala.
Ora si mette pure a darmi ordini?
«Guarda che, se uno ti propone il suo aiuto, significa che è disposto a dartelo», gli faccio presente, seguendolo.
Lo afferro per un braccio, inducendolo a fermarsi.
I suoi occhi si scontrano con i miei nell'ennesima battaglia.
«A posizioni invertite, tu non faresti lo stesso?», gli domando, senza mollare la presa.
Lui boccheggia, in cerca di una risposta che non arriva. Alla fine, non serve. Il suo sguardo parla più di qualsiasi parola.
Lui resta in silenzio, ma il suo sguardo dice tutto. So che lo farebbe. Perché Shane è leale verso chi conta per lui. Amy, Brett, Emily... e forse anche me. O almeno lo spero. Perché io, a lui - anche se è un totale imbecille -, ci tengo. Soltanto un po'.
Abbasso la voce, quasi un sussurro. «Non è questo che fanno gli amici?»
Shane solleva un sopracciglio biondo, uno di quei suoi gesti carichi di sarcasmo. «Amici, eh?»
La gola mi si secca all'istante, e il cuore sembra perdere un colpo. Cosa sta insinuando?
Lui, però, si affretta ad aggiungere, quasi divertito: «No, perché so bene che ti farebbe piacere farmi fuori.»
Il sollievo arriva come un'ondata improvvisa, ma cerco di mascherarlo. «Be', ho le mie motivazioni.»
Lui ride piano, un suono basso che sembra spazzare via per un attimo la tensione. «E mi piacerebbe ascoltarle tutte, ma ora devo scappare. Sai com'è, il mio capo mi ammazza e getta il mio bel corpo nel tritacarne se faccio tardi.»
Macabro sarcasmo. Questo mi ricorda particolarmente Claire.
Ad ogni modo, è proprio la sua freddura a riportarmi all'argomento principale.
«Senti», insisto, più decisa. «Perché non lasci decidere a me se è pericoloso o meno? Sai, fino a prova contraria gli Stati Uniti sono un paese libero»
Alza gli occhi al cielo. Non sembra scocciato, piuttosto direi che è divertito. «Non stai mai zitta, tu, eh?»
Scrollo le spalle come a dire "E già, ma che cosa ci vuoi fare?".
Sembra rifletterci per un attimo e, dopo infiniti secondi, si sporge verso di me invadendo il mio spazio personale. Il mio olfatto viene rapito dal suo profumo, i palmi delle mani si fanno umidi e il mio cuore accelera il battito cardiaco. Accosta le labbra al mio orecchio e mi sussurra qualcosa che mi fa cascare la mascella per terra.
Quando si distacca e mi scruta, in attesa di una risposta, io boccheggio, non sapendo che cosa dire.
«Visto? Che ti avevo detto?», mi rinfaccia, dall'alto del suo metro e ottanta e passa. Mi dà nuovamente le spalle e si avvia verso la sala principale.
Cazzo. Che faccio?
Forse, stavolta dovrei restare in disparte. Dovrei tornare da Wren, per concludere la serata con lui. Dovrei preferire l'alternativa più semplice, per una volta. Dovrei smettere di pensare a una persona quando sono in compagnia di un'altra.
Dovrei.
Dovrei.
Dovrei.
L'uomo, a differenza dell'animale è dotato di ragione e, come tale, dovrebbe essere in grado di prendere decisioni sagge. Invece, a quanto pare, esiste una forza superiore che li conduce alle pessime scelte.
Ed è proprio quella forza che mi tira fuori le parole di bocca. «Vengo con te»
Arresta il passo e io lo raggiungo con poche falcate. Mi pongo davanti a lui e interrompo sul nascere qualsiasi cosa stesse per dire. «Non ce la farai da solo. Almeno hai un piano?»
«No, ma confido nel mio genio creativo»
Scuoto la testa, incredula della sua leggerezza. «Tu scherzi, ma non è un gioco. Hai capito bene che devi fare?»
Due donne ci passano accanto e ci riservano una rapida occhiata. Aspettiamo che scompaiano dietro la porta della toilette per riprendere il discorso.
«Sì, Cat, non ho problemi di comprendonio. So che devo diventare un fottuto corriere della droga, e non c'è verso che ti porti con me. Te l'ho detto solo perché tu lasciassi perdere, e così devi fare», sostiene senza ammettere repliche.
Mi sbraccio, esasperata. «Se ti becca la polizia, sai quanto rischi?»
«Proprio per questo non puoi venire con me!»
Come un toro alla corrida, sbuffo in maniera evidente. È davvero di coccio, perfino peggio di Amy!
«Da solo sei sospettabile, riflettici».
Dal suo sguardo capisco che ne è consapevole e, a questo punto, credo che mi tocchi giocarmi l'asso nella manica. «E poi, a differenza tua, io un piano ce l'ho»
Il suo silenzio è sinonimo di riflessione: accettare o rifiutare?
Perché mi voglia cacciare in guai che non mi appartengono è stupido da spiegare, sarebbe un ragionamento composto da frasi sconclusionate.
Assottiglio gli occhi. «Shane, ascolta: sono conscia del pericolo, okay? Ma credo che riusciremmo a scamparla se mi lascerai aiutarti. Quando hai deciso di farmi guidare, mi hai chiesto se mi fidassi di te, ricordi? Alla fine, siamo stati noi a tagliare il traguardo e a vincere», gli richiamo alla mente. «Ora sono io che ti chiedo di fidarti», concludo.
Sposta lo sguardo altrove, evitando il mio, e abbassa le palpebre. Scuote la testa e tira un sospiro. «Va bene», accetta, ormai arreso. «Ma solo perché non ho altro tempo da perdere». Mi supera e ritorna nella zona ristoro, a tavola dalla sua accompagnatrice. Io faccio la stessa cosa con Wren fingendomi ansiosa e preoccupata. «Wren, mi dispiace, ma temo che la nostra cena finisca qui», dico, indossando la giacca.
Si mette in piedi e corruccia la fronte. «È successo qualcosa?»
Annuisco. «Mi ha chiamato Brett, il fidanzato di Amy, e mi ha detto che è caduta per le scale del palazzo. Ora sono in ospedale. Devo andare»
Boccheggia, recependo la notizia. «Oh, ehm, mi dispiace. Allora pago il conto, così ti do uno strappo lì»
Sto per dirgli che non serve, ma Shane lo fa al posto mio. «Non preoccuparti, amico. Ci penso io»
La brunetta alle sue spalle, Ines, sbuffa pesantemente e stacca il cellulare dall'orecchio. «Ahrg! Il prossimo taxi arriverà tra mezz'ora!»
La mia attenzione passa da lei a Wren un paio di volte e suggerisco un'idea. «Ehm, Wren, non è che puoi riaccompagnare tu Ines a casa?». Congiungo le mani e sfodero la classica espressione da cane bastonato. «Per piacere. Mi faresti un grosso favore»
Dentro di me, però, mi sento uno schifo. Sto facendo leva sui sentimenti che Wren prova per me, e lo so bene. Ma il tempo stringe, e Shane non lascerebbe mai Ines da sola ad aspettare un taxi.
Wren mi scruta per un attimo, poi distoglie lo sguardo per osservare Ines. Alla fine, annuisce con un sorriso tirato. «Va bene, ci penso io».
Paghiamo il conto e tutti e quattro lasciamo il ristorante, stavolta però con persone diverse da quelle con cui siamo arrivati. Saluto Wren con un abbraccio fugace e, per evitare ulteriore disagio, gli volto le spalle per andare verso la macchina di Shane. Lui è già dentro ma aspetta che indossi la cintura per mettere in moto.
Imposta il navigatore satellitare ed esce dal parcheggio del River Cafè. Direzione: il cimitero "The Evergreens".
༄.☆*
Mi domando per quale ragione gli eventi brutti si svolgono sempre in posti lugubri. Cos'è? Una regola messa per inciso sulla pietra?
Ci siamo inoltrati nel quartiere di Brooklyn e, a notte fonda, questo luogo dà i brividi. La strada è desolata, non c'è un'anima. Il cielo è un manto nero, privo di stelle, e oltre quel cancello in ferro battuto si intravedono in lontananza le sagome di alcune tombe.
Mi sale un brivido lungo la spina dorsale. Essere sola in auto, in un silenzio santuario, vicinissima ad una zona del genere, non è esattamente il massimo.
Shane è sceso dopo aver accostato e, quando ho afferrato la maniglia, mi ha categoricamente vietato di seguirlo. A detta sua, è rischioso se Dimitri sapesse che sono insieme a lui.
Quell'uomo, francamente, mi incute un certo timore, motivo per il quale ho dato retta a Shane per questa volta.
Ormai, però, sono passati ventidue minuti e diciotto secondi da quando è via e, ogni attimo che passa, la mia ansia cresce. Che starà facendo? Perché non è ancora tornato?
Ad ogni rumore ho paura che ci sia qualcuno lì fuori pronto a rapirmi, a derubarmi, a uccidermi o a fare qualcosa di terribile.
Si, lo so, sono molto drammatica.
Lo stivale continua a ticchettare contro il pavimento, stiro ripetutamente l'orlo della gonna sulle gambe. Dallo specchietto, per quanto riesca a sporgermi, non vedo nulla oltre a un furgoncino nero, qualche metro dietro di noi.
Il rumore del bagagliaio che viene aperto mi fa scattare sul posto. Mi volto appena e noto che si tratta di Shane. Due secondi dopo lo richiude e sale in auto.
Accavallo le gambe e incrocio le braccia. «Ce ne hai messo di tempo. Credevo che ti avessero rapito»
Sistema lo specchietto e ruota le chiavi nel cruscotto. «Mi hanno dovuto dire un paio di cose... siccome è la mia prima volta», aggiunge con velata ironia.
Partiamo, e quando chiedo per dove, Shane mi risponde Hoboken. Si trova al di là del fiume Hudson, che separa Manhattan dallo Stato del New Jersey. Ciò significa che, per lo meno, ci impiegheremo un'abbondante paio d'ore.
Mi schiarisco la voce. «Quindi, ora, c'è della... droga... nel tuo bagaglio?»
Incredibile.
E chi poteva mai sapere che un appuntamento con Wren si sarebbe trasformato in una "serata delivery" con Shane Foster?
«Sei ancora in tempo per tirarti indietro, Cat», dice, serio.
Scuoto il capo in segno di diniego. «No, ho promesso che ti avrei aiutato»
«A chi?»
«A me stessa»
Entrambi voltiamo la testa nello stesso istante, ma lui la riporta sulla strada subito dopo.
Appoggio il gomito allo sportello e la tempia sul pugno serrato.
«Da quando sei tornato ho l'impressione di essermi comportata male con te», gli confesso. «Scusami»
L'abitacolo precipita nel silenzio per i seguenti secondi e, non ricevendo una controrisposta, con la coda dell'occhio, lo osservo di soppiatto. Sembra essere in sovrappensiero, e mi domando su cosa stia riflettendo nella sua testa.
Non mi sfugge il movimento della lingua, che percorre il labbro superiore.
Cazzo.
Abbasso le palpebre e tento di scacciare via le immagini che, all'improvviso, mi hanno invaso la mente.
«Non dovresti scusarti»
La sua voce mi riporta alla realtà. Arriviamo ad un semaforo rosso e la macchina arresta la corsa. Tamburella le dita affusolate sul volante e si volge verso di me.
«So che sono un tipo piuttosto snervante»
«Tanto snervante», lo correggo.
Sbuffa una risatina e - Santa miseria - gli si crea una fossetta quando allunga l'angolo della bocca.
Scrolla le spalle. «Sì, be', lo riconosco», dice. «Ma è per questo che esistono quelli come me: per dare fastidio alle belle sapientone che hanno sempre da ridire»
Vorrei ribattere che non ho sempre da ridire, ma... Fermi tutti.
Ha detto «belle sapientone» o il mio udito non funziona più bene?
Boccheggio, a corto di parole, ma eccola lì la mia via di fuga.
«È verde, puoi passare», faccio io. «Oh, devo avvertire Amy», mi ricordo poi.
Ovviamente non è vero che si trova in ospedale, ma una bugia non si regge in piedi da sola e ho visto troppi film per sapere come finisce quando non ci si organizza.
Shane accende lo stereo e la musica, in sottofondo, alleggerisce l'aria qui dentro.
Mentre Amy mi bombarda di messaggi, Shane mi chiede: «Devi ancora svelarmi il tuo ingegnoso piano, Kitty Cat»
Abbandono la chat con la mia amica e apro l'applicazione del navigatore, impostando poi la meta.
«Abbiamo prima una tappa da fare», gli comunico. Segue le indicazioni stradali e prende la curva a destra. Allungo la mia mano verso di lui, il palmo rivolto verso l'alto. «E mi servirà anche la tua carta di credito»
༄.☆*
Esco dal centro commerciale con due buste enormi tra le mani. Nonostante siano pressappoco le undici, la città è ancora attiva e le persone popolano le strade e i locali.
Dopotutto siamo a New York: qui non si dorme mai.
Ritorno alla macchina, parcheggiata in un angolino isolato, e apro lo sportello di dietro. Ci lascio gli ultimi acquisti, poi mi occupo di ciò che c'è nel bagagliaio.
Quando afferro la scatola di cartone, il suo peso grava più del previsto. Non è tanto per la sua massa effettiva - potrebbe benissimo riuscire a portarla un bambino - ma per il contenuto in sé e per il fatto che è illegale.
Mi infilo in auto, sui sedili posteriori, e richiudo la portiera.
«Sei stata un fulmine». Shane si gira e osserva le due grandi buste. Le indica con un cenno del mento. «Hai trovato ciò che ci serve?»
Pesco due confezioni e gliele sventolo davanti. «C'è tutto», gli confermo. Con la mano, scavo alla ricerca delle forbici e le tiro fuori. «Adesso è arrivato il momento di sfoggiare le doti creative»
«Serve una mano?»
«Non preoccuparti, ce la faccio. Dammi dieci minuti»
Mi sfilo l'elastico dal polso e lo stringo tra i denti. Raccolgo i capelli in una coda e mi metto a lavoro.
In cosa consiste il mio gran piano?
In due borsoni pieni di vestiti.
Qual è il trucco?
Be', semplice: sfrutto le pareti delle borse.
Innanzitutto, pratico un taglio lungo il lato verticale della stoffa, all'interno, creando una sorta di buco.
Con il cuore in gola, apro lo scatolo... e i pacchetti di droga si palesano davanti ai miei occhi.
«Porca miseria», mormoro, sgranando gli occhi. «Ma quanta ce n'è?»
«Abbastanza da camparci per un anno senza dover lavorare», mi risponde piano Shane.
Menomale che i vetri sono oscurati.
Tiro un sospiro e mi faccio coraggio.
È farina, non cocaina, mi ripeto per aiutarmi.
Sistemo le bustine all'interno del buco finché la parete non è piena, e infilo un cartoncino sottile per mascherare i volumi delle bustine. A questo punto mi servo di ago e filo per ricucire la toppa e attuo lo stesso procedimento per l'altra parete, riempiendoli poi con i vestiti da cinque dollari acquistati nel negozio meno costoso del centro commerciale.
Mentre mi occupo del secondo borsone, Shane si disfa delle buste e dello scatolo di cartone.
Ecco, ora sembrano dei normalissimi bagagli a mano.
Nessuno sospetterebbe cosa si nasconde dietro il tessuto imbottito.
Ritorno al posto del passeggero e mi disinfetto le mani con l'igienizzante conservato in borsa.
Nel frattempo Shane armeggia con il cellulare. «Google Maps dice che ci vogliono quarantotto minuti», mi informa.
Tiro un sospiro. «Be', adesso siamo a posto. Parti pure, Clyde»
Fa come gli dico e sbuca fuori dal vicolo rimettendosi in strada. «Cat, mi fai un piacere?»
L'ennesimo?, vorrei dire, per scherzare, ma mi limito a: «Mhmm?»
«Puoi scrivere a Ines e chiederle se è arrivata a casa ed è tutto okay?»
La sua richiesta mi stronca. «Sì, certo», borbotto, un po' riluttante. Mi passa il telefono e apro l'app dei messaggi. La chat con Ines è tra le prime e scrivo ciò che mi è stato detto.
L'occhio mi cade su un messaggio più sopra: lei gli ha inviato un cuore. Mi mordo l'interno guancia, ma la curiosità è difficile da placare.
Osservo di sottecchi il biondo al mio fianco, ma è occupato a guidare; così, casualmente, il mio dito scorre la chat verso l'alto, ma non va oltre la giornata di oggi.
Trovo solo il nome del posto e l'orario dell'incontro, a cui lei ha risposto con un enorme cuore rosso.
Quando l'ho vista per la prima volta, stasera, ho sentito... qualcosa dentro di me. Ines è proprio bella e io, a confronto, mi sono vergognata di respirare la sua stessa aria.
«La conosci da tanto?», mi viene spontaneo domandargli.
«No, da poco. Perché, ti interessa?», mi fa, usando un tono di scherno.
Alzo le spalle e assumo un'espressione del tutto indifferente alla faccenda. «Assolutamente. Solo... mi ha stupito il fatto che uscissi con una ragazza, dato che sei a New York da poche settimane»
E poi sembravano così intimi, a tavola. Si sorridevano, scherzavano e chiacchieravano come se fossero amici da sempre.
Inutile negarlo: erano la coppia più affascinante dell'intero ristorante.
Al ricordo della scenetta incrocio le braccia al petto, tentando di rimandare giù la medesima sensazione di prima che mi pizzicava lo stomaco.
Shane prende lo svincolo per uscire dalla strada principale e si immette in quelle secondarie.
«Sì, be', non è che spreco tempo sul divano di casa mia. Piuttosto, mi hai stupito tu, Kitty Cat. Non credevo che avresti accettato un invito da parte sua»
«Perché dici così?», gli chiedo, curiosa.
Shane solleva le spalle. «Siamo solo amici», mi scimmiotta. «Parole tue queste. E dimmi, è stato romantico? Ti ha portato un mazzo enorme di fiori e ha ingaggiato un'orchestra per te?», mi prende in giro, ridendo sotto i baffi.
Al pensiero di quel giorno, mi rabbuio. Ignoro il magone che mi chiude la gola e rivolgo l'attenzione verso il finestrino, osservando la città scorrere sotto il mio sguardo. «No, lui... lui mi ha trovato nella situazione più penosa in cui potessi essere vista», ammetto. Una mezza risata amara lascia le mie labbra. «Colin si è presentato al campus e... abbiamo chiuso definitivamente.»
«Colin? Intendi il bastardo con cui stavi due anni fa?», chiede, leggermente scioccato.
«Già»
«In che senso avete "chiuso definitivamente"? Non avevi rotto con lui appena hai saputo ciò che aveva fatto?», prosegue, con più... fervore.
«È complicata come situazione. L'ho lasciato appena tornata a Toronto, e poi me ne sono partita per venire qui. L'ho rivisto il giorno del Ringraziamento e lui... voleva parlarmi», gli racconto. «E siamo finiti a letto insieme»
Ancora m'interrogo su come proprio io, Caitlyn Thomas, possa essere stata così idiota da commettere un errore del genere.
«Pensava che quella notte avesse significato qualcosa», mormoro a bassa voce.
«Forse quel cretino aveva capito cosa si era perso», dice con tono seccato. «Dovevi chiamarmi. Avrei voluto assistere alla sua patetica sceneggiata», aggiunge.
Non replico e mi concentro sui messaggi di Amy, assicurandole che è tutto a posto. In sottofondo, il rumore delle dita che tamburellano sul volante si mischia alla voce di Zayn, alla radio, con Pillowtalk.
«Dovevi chiamarmi», ripete.
Sbuffo, pentendomi di avergliene parlato. «La prossima volta farò un video. Contento?», gli faccio, lievemente innervosita, e alzo gli occhi su di lui.
Mi fissa di sbieco, poi scuote il capo e sogghigna. «Dovevi chiamarmi», dice, per la terza volta. «Così gli assestavo un bel pugno sulla faccia di cazzo che si ritrova»
Oh.
Schiudo appena le labbra, sorpresa dalla sua affermazione. Insomma, sì, è un gesto da animali, ma... se lo sarebbe proprio meritato.
«Non credo che avrebbe cambiato qualcosa», mormoro.
«No, ma magari il suo naso ne sarebbe uscito deformato e avrebbe perso molte possibilità con il popolo femminile», replica con nonchalance. Ridacchio, e allora aggiunge: «Cosa? Guarda che il naso è un tratto importante nel viso di un uomo. Osserva il mio, per esempio: è perfetto»
Rollo gli occhi al cielo e scuoto il capo, rassegnata. È nato per fare il giullare di corte.
«Idiota», lo apostrofo, provando a reprimere un sorrisino.
Però non posso dargli torto: il suo naso è davvero perfetto. È dritto, e in linea con il profilo delle labbra carnose e il cerchietto di metallo gli donano un'aria da duro.
Concedo uno sguardo alla strada che stiamo percorrendo. Non è affollata come quelle principali, ma non è nemmeno eccessivamente vuota. Secondo il navigatore ci vorranno ancora ventisei minuti.
«Neanche il tuo è tanto male», gli sento dire.
Aggrotto un sopracciglio. «Il mio naso, intendi?»
«Mhmm», conferma. «Mi ricorda quello di Dora Maar, il quadro di Picasso»
A quella affermazione spalanco la bocca. «Mi sento profondamente offesa!»
La mia drammaticità lo diverte a quanto pare. Fa spallucce. «La verità a volte fa male»
«Anche io, se non te lo rimangi», lo minaccio.
«Uhhh, tremo!», mi sfotte, e in cambio riceve un dito medio.
«Sei insopportabile!»
Dio, a sentirci sembriamo bambini dell'asilo. Il che, non so perché, accentua il mio sorriso e mi trasporta in un'altra dimensione, scordandomi per un secondo del motivo per cui siamo qui.
Continuiamo i nostri battibecchi insensati, parlando di tutto e nulla, fino a quando Shane smette di ridere e radicalmente espressione. Si irrigidisce e diventa serio. «Cazzo», borbotta a voce bassa.
Anche l'auto rallenta la corsa e sposto gli occhi da lui al parabrezza e capisco.
La polizia.
L'agitazione prende il sopravvento e nel mio stomaco si agita la cena di qualche ora fa. Mi metto composta sul sedile e Shane mi dice di apparire il più naturale possibile.
Facile, commento ironicamente nella mia testa.
Ci sono alcune volanti della polizia parcheggiate lungo i margini della strada e i poliziotti, con le mani sui fianchi, scrutano con attenzione le auto che passano.
Gran bella mossa quella di Dimitri: mandare qualcuno che non è dei suoi a fare una consegna "speciale" per non finire nei guai con le forze dell'ordine. Soprattutto se vieni a sapere che le pattuglie sono state aumentate apposta per fare appositi controlli.
Sii naturale, Cat, mi ripeto, anche se il mio cuore ha accelerato il battito cardiaco.
Non c'è assolutamente della cocaina dietro di noi.
Non stiamo infrangendo la legge.
Non finiremo dietro le sbarre per i prossimi quindici anni.
Rapita dalle mie paranoie, commetto l'errore di incrociare lo sguardo severo di uno dei poliziotti e mantengo il contatto visivo. Mi sento talmente in soggezione che mi viene la pelle d'oca.
Colpevole.
Superiamo il posto di controllo e sbircio attraverso lo specchietto laterale, notando che quello non ha smesso di seguirci con gli occhi.
Lo sa, suggerisce la vocina nella mia testa.
«Secondo te hanno intuito qualcosa?», domando a Shane, un po' preoccupata.
«Non ne ho la più pallida idea», ammette, riflessivo.
Do un'occhiata al navigatore e mi accorgo che qui vicino c'è un punto di rifornimento. «Fermiamoci», propongo. «Se la polizia ci segue e ci becca al momento della consegna, siamo fritti. Aspettiamo un po' di tempo e vediamo se ci vengono dietro»
Anche perché, se fossimo dei veri criminali, non azzarderemmo così tanto e proseguiremmo la nostra corsa. Ma noi non lo siamo, quindi confido nelle mie ipotesi basate su presupposti senza molto senso pratico.
Un chilometro dopo, svoltiamo a sinistra ed entriamo nella pompa di benzina, dove troviamo già due auto a fare il pieno. Quando è il nostro turno, Shane ruota la chiave e spegne la macchina. Entrambi apriamo la rispettiva portiera e il fresco vento di ottobre mi sferza il viso e la pelle nuda delle gambe. Sciolgo i capelli, che mi ricadono sul collo, coprendolo, e con le dita provo a dargli una sistemata.
Shane, invece, si poggia ad una colonna e incastra una sigaretta fra le labbra, bruciandone in seguito la parte anteriore con un accendino. Aspira il tabacco e poi lo lascia fuoriuscire, e assistere a quella scena provoca un ulteriore agitazione nel mio stomaco.
Noto un distributore, proprio alla sua destra, e siccome ho la bocca arida necessito di una bottiglietta d'acqua. Gli passo davanti e mi posiziono di fronte alla macchinetta. Scavo nelle tasche della giacca, sicura di avere delle monete con me.
Con la coda dell'occhio osservo Shane, che non si perde nemmeno un mio movimento. Il che è peggio, dato che avverto il peso del suo sguardo su di me.
Oh, ma dove diamine sono quelle benedette monete?!
«Ho inserito una banconota da cinque dollari». Le sue parole mi ridestano dalla mia ricerca. Fisso prima lui, poi la macchinetta.
«Oh», boccheggio. «Grazie»
Digito il codice giusto e il distributore restituisce la bottiglia a me e il resto a lui.
Mentre ne prendo una sorsata, una volante della polizia entra nel mio campo e per poco non mi strozzo. Soprattutto quando si ferma esattamente dietro la macchina di Shane.
Ecco, lo sapevo!, penso nella mia testa.
Le altre auto sono andate via pochi minuti fa e questo posto sperso nel nulla è popolato solo da noi e dal tizio alla cassa del minimarket.
Shane si concede un ultimo tiro prima di spegnere la sigaretta contro la parete a cui stava appoggiato. Getta il mozzicone nel bidone dei rifiuti e si dirige verso i due poliziotti che sono appena scesi dalla volante bianca e blu. A dire dall'aspetto, uno ha almeno quarant'anni, l'altro meno di trenta.
«Buonasera, agenti», li saluta educatamente. «Per caso c'è qualcosa che non va?», chiede, mentre mi avvicino a lui.
Prende parola il più vecchio, che porta un bel paio di baffi argentei e delle basette che fanno invida a Elvis Presley. «Si tratta solo di regolari controlli», risponde. Si prende un momento per analizzarci da capo a piedi, per poi domandare: «Vi spiace dirmi per quale motivo siete qui a quest'ora così tarda?»
Ah, giusto. Mi ero dimenticata di questo piccolo particolare: l'alibi.
«Vede, noi...»
Pensa Cat, pensa, mi dico. Il mio QI di 130 dovrebbe sapere che fare, ma mi faccio prendere dall'ansia di essere scoperta e mando tutto a 'fanculo. Per mia fortuna, però, Shane è più coraggioso e decide di rispondere lui.
«Stiamo scappando, agente»
Mi irrigidisco e il mio cuore perde un battito. Che cazzo ha appena detto?!
Adesso ha tre paia di occhi puntati addosso e il poliziotto, alzato un sopracciglio, aggiunge: «Come, prego? Che vuol dire che state scappando?»
Già, che diavolo gli è venuto in mente?
Sotto il mio sguardo confuso, Shane afferra la mia mano e le sue dita scivolano tra le mie. Un calore sconosciuto mi accende le guance e lo stomaco mi si agita. Spero non si accorga del fatto che sto trattenendo il fiato.
«Noi due ci amiamo, ma i nostri genitori non vogliono che stiamo insieme», prosegue. «Ma stare lontano da lei mi è impossibile», dice fissandomi intensamente negli occhi.
È così bravo da lasciarmi a bocca asciutta, ma a quanto pare le sorprese non sono ancora finite.
«Soprattutto ora che aspettiamo un bambino», sgancia. Vorrei ribattere, ma non mi sembra questo il momento adatto, e provo a mascherare le mie emozioni con un minuscolo sorrisino, assecondando la scenetta che ha messo su.
L'agente, a braccia conserte, sposta ripetutamente la sua attenzione da Shane a me. «E dove siete diretti?», chiede allora, più curioso che sospettoso.
«Da mia zia», rispondo io, giusto per non far parlare solo Shane. «Lei vive a Staten Island e ci ha dato il suo pieno appoggio», proseguo, immergendomi completamente nella parte.
L'agente ci guarda con disapprovazione e scuote il capo. «Io lo dicevo che a scuola dovevano insegnare l'educazione sessuale», sbuffa. «Comunque abbiamo avuto l'ordine di dare un'occhiata alla macchina, vi spiace?»
A quella richiesta io e Shane ci lanciamo un'occhiata che corrisponde ad una silenziosa conversazione. Ma se non avessimo nulla da nascondere ‒ e noi non la abbiamo certamente ‒ non ci sarebbero problemi nel procedere, corretto?
Annuiamo semplicemente e Mr. Basette manda l'altro poliziotto, Jefferson, a controllare. Cerco di tenere a freno il tremolio delle gambe mentre ispeziona il bagagliaio, trovandolo vuoto, e i sedili anteriori, dove fruga nel cruscotto e nel vano portaoggetti senza successo.
«Tutto nella norma?», gli chiede il suo superiore.
«Sì. Qui dentro non c'è nulla», gli conferma quello, aprendo poi la portiera di dietro. Quando si avvicina ai borsoni, automaticamente rafforzo la stretta di mano e in risposta Shane usa il pollice per compiere movimenti circolari sul dorso, riuscendo a tranquillizzarmi un minimo.
Osservo Jefferson mentre rovista tra la marea di vestiti e che, senza risultati, richiude la zip e mi permette di lasciarmi andare a un sospiro di sollievo.
«Aspettate, però ho trovato una cosa». Quelle parole sono la causa del mancato battito del mio cuore.
Dio, che può aver trovato? E se avessi lasciato qualche traccia e non me ne fossi accorta? Sono proprio una stupida, visto che ho dimenticato di controllare che fosse tut...
«C'era questa merendina sotto al sediolino»
Vaffanculo, Jefferson, penso. Ho già perso dieci anni di vita stasera e lui ne ha aggiunti altri cinque grazie a questa stronzata.
«Mi sa che è scaduta, però. Capo, tutto a posto», aggiunge, tornando verso la volante.
Mr. Basette scioglie la posizione in cui era imbalsamato e sia lui che Jefferson prendono posto nella loro auto. «Scusateci della perquisizione, ragazzi... e congratulazioni. Prestate attenzione», ci raccomanda. Dieci secondi dopo, la pompa di benzina è di nuovo vuota e restiamo soltanto io e Shane.
A questo punto sposto lo sguardo su di lui. «Amanti in fuga?», gli faccio. «Hai riciclato la trama di Romeo e Giulietta e giusto per renderlo più interessante hai aggiunto una gravidanza?»
Fa spallucce. «Nella vita bisogna essere creativi», si giustifica. «E poi dovresti essere felice di avere il mio bambino. Avrebbe un naso bellissimo»
Scuoto la testa, ma non posso negare che, in fondo, un po' mi diverte. In tutto ciò, le nostre mani sono ancora unite e, lentamente, sfilo la mia dall'intreccio.
Shane mi lancia un'occhiata, forse sorpreso dal gesto, ma non dice nulla.
Mi schiarisco la gola e punto lo sguardo altrove, verso la strada deserta e le luci fioche del minimarket. «Dovremmo andare», dico, più a me stessa che a lui.
Lui annuisce. «Già, destinazione Staten Island, zia complice e lieto fine assicurato», scherza.
Gli assesto un pugno amichevole sulla spalla prima di tornare a sedermi in macchina. Il motore si accende con un rombo leggero e ci allontaniamo dalla pompa di benzina deserta con la radio accesa e una canzone dei The Cure in sottofondo.
༄.☆*
Mezz'ora dopo arriviamo finalmente a Hoboken.
Nonostante sia mezzanotte e un quarto la zona è inaspettatamente attiva. Nella mia testa associavo Hoboken a uno di quartieri fantasma in cui, passata una certa ora, le strade si svuotano e tutti si chiudono in casa, ma invece è l'esatto opposto.
Shane trova un posto libero e ci infila subito l'auto.
«Un parco giochi in pieno pomeriggio sarebbe stato un luogo più discreto per fare... questo», sbuffo, osservando le persone che passano. «Esattamente, adesso cosa devi fare?»
Il biondo armeggia con il suo cellulare e noto che le sue pupille vanno da sinistra a destra piuttosto velocemente, segno che sta leggendo. «Vedi per caso un cassonetto per l'immondizia?», mi chiede.
Perplessa, guardo oltre il mio finestrino e poi oltre il suo. Dall'altra parte della strada c'è un ampio portone bianco da garage e, sulla destra, ci sono tre bidoni per la raccolta differenziata. «Sì, ce ne sono tre proprio lì. Perché?»
Shane punta lo sguardo dove gli ho fatto cenno. «Dobbiamo lasciare lì dentro le borse», mi risponde.
«Mh, quindi non c'è un incontro diretto?», lo interrogo, stranita. In genere nei film si fa così. «Insomma, non dovrebbero darti del denaro in cambio?»
«Nah, Dimitri e questi tali sono amici: scambiano droga come se fossero figurine dei Pokemon. Quando gliel'ho chiesto io mi ha detto che avevano già sbrigato le faccende economiche», mi rivela, annoiato. «E a noi, ovviamente, toccava la parte più complicata»
Spegne il cellulare e lo ripone nel vano portaoggetti. Poi si sporge verso la mia parte, invadendo il mio spazio, e fruga nel cruscotto alla ricerca di qualcosa. Tira fuori un foglietto stropicciato e un pennarello nero. Li usa per lasciare un messaggio e, sporgendomi, riesco a dare una sbirciata: sta spiegando come fare per arrivare ai pacchetti.
Immagino che non sia molto intuitivo pensare che si nascondano nell'interno anziché all'interno.
Mi do una pacca sulla spalla da sola e mi autoelogio per la mia genialità.
Una volta fatto ciò, Shane scende dal veicolo e recupera i bagagli dai sedili posteriori, infilando il biglietto che ha appena scritto in uno dei due.
Attraversa alla svelta e cala le borse nel bidone del vetro; quindi richiude il coperchio e torna qui, tirando finalmente un sospiro di sollievo.
Missione compiuta.
Sbadiglio, e mi affretto a coprire la bocca con il palmo. «Ragazzi, che serata», constato, facendomi prendere dalla stanchezza. E domani la mia agenda trabocca di cose da fare.
Ho già capito che farò un uso spropositato di caffeina per mantenermi in piedi.
«Riposati, tanto ci vorranno almeno altri quaranta minuti per tornare a Manhattan», mi consiglia Shane. Avvia il motore per l'ennesima volta questa sera e sistema lo stereo, abbassando il volume della musica affinché sia un sottofondo rilassante.
Le palpebre si fanno pesanti e tenerle aperte diventa una sfida. Infatti, cinque minuti dopo, crollo con il capo contro il finestrino e finisco nel mondo dei sogni.
༄.☆*
Spazio Autrice🌟
!¡ATTENZIONE!¡
Non giustifico né tantomeno condivido le azioni dei personaggi. Ricordo che si tratta di una storia inventata e che questi atteggiamenti fanno parte della trama e della situazione in cui è coinvolto il protagonista. Vi invito a non replicare ciò che viene descritto.
Buon 2025, gente!
Mi scuso immensamente per aver impiegato un secolo e mezzo a sfornare questo bambino, ma l'ispirazione va e viene qui come le pare.
Mi auguro, però, che possa esservi piaciuto e ditemi nei commenti cosa ne pensate di questi due qui :)
Grazie a chiunque spende un po' del suo tempo per leggere ciò che scrivo. <3
Instagram: rose.miller___
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