XXVIII. Potere.
Soundtrack – Blood of My Blood, Ramin Djawadi.
❆
Il Castello di Eryagon.
Il rifugio del gelo e dell'incanto.
I popoli antichi e magici dell'Oriente indicavano le loro terre con nomi che potessero distinguersi dagli altri. Nomi che richiamassero la longevità e leggendarietà di lande ghiacciate, incantesimi trascendentali, creature sempiterne. E un nome in particolare risaltava per la sua profondità intrinseca: quello del castello dove regnava l'ultima dinastia dei Fae dell'Aria.
La guerra di Zaros Adeagon aveva spazzato via ogni barlume di magia bianca e magia nera, come narrava la storia. A eccezione di loro.
Il Circolo delle Notti d'Argento.
Non era un segreto che questo minerale e il rispettivo colore rappresentassero la loro specie. Il primo arricchiva le miniere del Regno di Faedragon da millenni, in una lotta costante con la supremazia dell'oro di Wealthagon nei mercati del Continente.
Per nulla casuale la scelta di tramandare la nomina di "Principe dell'Oro" al primogenito ereditario dei Wealthagon e "Principe d'Argento" al maggiore dei Fae Windothynn. Dario e Dorian erano costantemente legati da più fili invisibili che si intrecciavano indissolubilmente, e questo Dorian lo sapeva bene.
Era per questo che, nonostante quanto accaduto nel consiglio straordinario di Legendragon, era cosciente di averne bisogno. Era consapevole di dipendere da lui e viceversa. Due uomini simili quanto diversi. Due uomini che avevano fatto della loro esperienza e del loro obiettivo primario la linfa delle loro essenze vitali.
Ma i loro Regni erano intrecciati dalla politica, dal fato, dagli intrighi di corte che tessevano fili di corruzione e moralità fra le pareti dei loro castelli freddi e scintillanti.
E ora, qualcos'altro di ancora più recondito nelle fibre delle loro anime li aveva condannati alla peggiore delle morti umane.
La principessa dei Figli del Drago.
Victoria Legendragon.
Erano trascorsi due mesi. Due mesi in cui Dorian aveva necessariamente dovuto restare lontano da lei, e sentirla accanto a lui solo grazie alle pergamene che si mandavano l'un l'altro. La necessità di toccarla, di parlarle, di mostrarle ogni giorno quanto quella donna avesse reso meno intorpidito un cuore cicatrizzato come il suo.
Aveva dovuto farlo. E la parte peggiore era stata la mancanza di spiegazioni. Era stato molto vago su un perché quella distanza sarebbe diventata fondamentale, ma si era promesso di non mentirle più. Il patto sigillato con il principe di Wealthagon era stata la sua condanna morale. E la coscienza gli diceva tutt'altro: non è colpa tua, hai dovuto farlo.
Ma lui non riusciva a darsi pace. Non riusciva a trovare un lato positivo in tutta quella vicenda, se non che Dario Wealthagon, l'uomo più tormentato e corrotto dell'intero Continente, avrebbe potuto mantenere lontana da lei la sua corte di violenza, lussuria e ricchezza. Era stato lo stesso Dario a ribadirlo: lei ha bisogno di vivere la vita che merita. Dimenticare qualunque cosa le abbia dato una parvenza di ribellione.
Perché la ribellione, ovvero desiderare di innamorarsi di un uomo che avrebbe potuto portarla via da Re Xander Legendragon, non era la scelta giusta per liberarsi dalle catene.
E le giornate del Fae iniziavano a essere tutte uguali. Una ridondanza di pergamene da firmare, protocolli da eseguire, abiti sartoriali di pelle nera o seta blu raffinata da indossare. Le cavalcate con Kyron Windothynn, Fae dell'Aria e delle Tempeste dei sopravvissuti del Circolo, erano diventate l'unico passatempo per schiarirsi la mente, perché l'aria gelida del luogo dove risiedeva il suo castello riusciva a congelare le sue lacrime, e perdonare i suoi peccati.
«Ne hai ancora per molto a girarti i pollici e far lievitare il deretano?»
Un suono stridulo anticipò una lama estratta da un'elsa. Dorian sollevò il capo di scatto dalle dita della mano su cui era appoggiato, e gli fu tutto più chiaro. Sorrise alla Fae ritornata dall'allenamento quotidiano di difesa, ma non ricevette nulla di simile di rimando. Lei era consapevole del perché di quelle occhiaie violacee e i capelli sfibrati di lui. Il fisico dell'uomo non era stato intaccato, poiché i Fae dell'Aria avevano una resistenza fisica che permetteva loro di fare lunghi digiuni di purificazione. Ma Dorian non era mai stato di quell'idea, e alla purificazione preferiva il controllo. Del suo corpo come della mente. Peccato che, quest'ultima, sembrava essere proprio la sua condanna di quei giorni.
«Ti stavo cercando.» le disse, la voce impastata dal sonno che stava per prendere il sopravvento qualche istante prima. Il fuoco nel camino scoppiettava ancora, e il calore si era irradiato nella stanza da ore. Ma lui non riusciva a bearsi neanche della più piccola goccia di gratitudine per ciò che aveva. «Novità?»
La donna tolse l'elastico da una treccia. Ciocche violacee e ondulate le coprirono gli spallacci d'argento, e il mantello cremisi ne risaltò la cromaticità. A Dorian fece sorridere anche quella visione, e lei notò il modo in cui la stava squadrando. Una curiosità genuina che le fece inarcare un sopracciglio.
«È raro che io ti veda così. Con i capelli sciolti. Lontani dalla tua ossessiva ordinarietà.»
«E con questo?»
«È un complimento, Jylaj. Se non te ne fossi accorta.» la stuzzicò lui, timbrando un sigillo di cera per la pergamena da spedire.
«Oh, che galantuomo. Fammi ricordare di aggiungerlo alla lista di qualità che potrebbero sollecitare le fantasie perverse delle tue ammiratrici. Non vedrebbero l'ora di avere un nuovo argomento con cui dilettarsi. Almeno non le sentirei blaterare sulle solite questioni.»
«Quali solite questioni?»
Dorian era sempre stato immune ai pettegolezzi di ciò che restava del suo Regno magico. Ma mai come quella notte, solo con i suoi pensieri, aveva bisogno di distrarsi.
Jylaj sollevò una gamba con un andamento sicuro e disinvolto, e la suola di un suo stivale di pelle imbrattò il tavolo di legno. Iniziò a slacciarsi i lacci, i capelli le scivolarono sulle gote arrossate impedendole di avere una buona visuale dell'azione, e i candelabri caldi della stanza oscura illuminarono la sua figura minuta.
In una dinastia in cui l'altezza sembrava essere una prerogativa, lei era l'eccezione alla regola. Una pelle più scura delle sue coetanee, che le aveva riservato non pochi problemi in un popolo che elogiava il pallore come una discendenza dagli Dei.
Ma il Circolo delle Notti d'Argento era diverso. Dorian era diverso. E fra quelle mura di blu oceanico e soffitti di stelle e neve, Jylaj Windothynn aveva trovato una casa in cui il giudizio era un divieto, il rispetto una legge.
Come missionaria di corte del Principe Ghiaccio, era consapevole di essere la migliore. E il rispetto che le donava un uomo che l'aveva cresciuta come una sorella, non lo aveva mai messo in discussione.
«Piuttosto di fingere di non sapere che le donne da secoli adulano le tue prestazioni fra le lenzuola, perché non mi aggiorni su quanto tu non stia facendo ancora assolutamente nulla per andare a riprendertela?»
Sebbene Dorian sapesse di cosa stesse parlando l'amica, il suo corpo ebbe comunque un microscopico sussulto. «Jylaj.»
«Oh no, non oggi. Risparmiati la morale e tutte quelle sciocchezze che ti ripeti per convincerti di stare meglio. Non sono dell'umore dopo le notizie ricevute, e ho solo bisogno di un bel bagno caldo a base di trygyjon e synchrekdyn.»
Dorian era convinto che neanche un po' della morbidezza e rilassamento che donavano quei fiori magici avrebbero potuto prepararlo alla doccia gelida di una risposta che attendeva da settimane.
«Avanti. Senza girarci attorno.» Sollevò i gomiti dal tavolo per incrociare le braccia sul petto, forse in un senso di protezione nei riguardi della piega di quella conversazione.
«Nessuno è in grado di trovarla.»
Eccola. La doccia di cui ne aveva il sentore.
La parvenza di speranza che era germogliata nel suo cuore per tutti quei giorni si frantumò come ossa di un vinto in battaglia.
«È scomparsa, Dorian. Aeghena è scomparsa ed è chiaro che non voglia farsi ritrovare.»
Un silenzio lugubre minacciò la stanza.
Neanche il deglutire della Fae, che stemperava la sua aura di autorità, osò scalfire la scelta del Principe. Che ora fissava il vuoto. Immobile. Conscio che prima o poi avrebbe dovuto rispondere. Ma non prima di aver metabolizzato cosa cercava di dirgli l'amica.
Aeghena era sempre stato uno spirito libero, intraprendente e disprezzante delle regole di corte. Ma non era mai stata lontana così a lungo da casa. E sebbene Dorian in un primo momento avesse appoggiato le distanze ma alla sola condizione di avere sue notizie ogni giorno... quelle lettere avevano cessato da poco di essere recapitate nella sua corte. E il pensiero che lei potesse essere là fuori, con minacce in ogni dove per ciò che era e ciò che rappresentava...
«Conosco quell'espressione. E così come mesi fa non ho per niente concordato con te nel lasciarla andare, non concordo neanche adesso nell'angustiarti.»
Il rimprovero di Jylaj fu in grado di spezzare il flusso di coscienza dell'uomo, ma non abbastanza da fargli sciogliere la lingua. Fissò lei, e la quiete che era in grado di emanare riuscì a distoglierlo un minimo dalla disperazione totale.
Scomparsa.
Sua sorella era scomparsa del tutto. Senza dare spiegazioni a nessuno.
E una parte di lui stava iniziando a sentire quelle pareti troppo strette e ingombranti.
«Trovo che sia voluto.»
«Voluto?» ripeté lui, inasprito. «Credi davvero a questa affermazione?»
«Sì. E anziché dimenarti e stordirti con soluzioni inesistenti e inefficaci, ti consiglio di crederci anche tu. Non saranno scorte missionarie di ricerca in tutto il Continente a fartela ritrovare. L'unica cosa che ci guadagneresti sarebbero sospetti e malelingue. E, per colpa delle tue avventure da brividi di piacere, ne abbiamo già abbastanza.»
Jylaj era una delle donne più temerarie e sfrontate che avesse mai conosciuto. Non aveva paura di rispondere a tono, tantomeno agli uomini. E a lui quella sicurezza di sé piaceva. L'ammirava. In un mondo di regnanti che non avevano scrupoli, un pugno di ferro come il suo era da elogiare. Ma su argomenti che solleticavano i suoi pensieri...
«Bada a come parli della principessa di Legendragon.»
Un sorriso anomalo riempì il volto della Fae, e una pausa anticipò la sua risposta.
«Sai, non parlavo di lei. Trovo interessante, però, che tu abbia pensato il contrario.»
Se c'era una cosa che Dorian sapeva giostrare con maestria erano le sue espressioni visive, che non tradivano i suoi pensieri. Quando non si trattava dell'Erede di Fuoco ma di esseri comuni, veniva fuori il lato distaccato e imperturbabile di lui.
Il Continente conosceva un uomo.
Victoria conosceva Dorian.
La sottile differenza che gli permetteva di sopravvivere in tempi e luoghi ardui per i sentimenti più nobili.
«Ritornando a noi», la Fae si schiarì la voce «Adèl e Kyron sanno già tutto.»
«E per quale motivo?»
«Per lo stesso motivo per cui lo sai anche tu.»
«Avrei preferito un po' di premura, Jylaj.»
Lei si avvicinò alla scrivania del Fae quando quest'ultimo sospirò massaggiandosi le tempie a occhi chiusi. Circondò i bordi del legno con lentezza, sperando di catturare l'attenzione di lui. Quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi, e tanto valeva proseguire in egual modo, dovette pensare.
«Credi di avere la priorità assoluta? È anche nostra sorella.»
«Non intendevo questo. Ho detto che avrei caldamente consigliato di tenere, almeno per qualche ora, la corte all'oscuro di questa notizia. Avremmo dovuto saperlo io e te per questo frangente. Abbiamo già troppe complicanze a cui dare corda dopo l'ufficializzazione dell'alleanza con i Legendragon e-»
«Guarda un po'. Di nuovo quella donna.»
Dorian sobbalzò ancora. Appena. «Victoria non c'entra niente. Non-»
«Victoria?» schernì lei, soppesando il tono derisorio delle sue interruzioni. «Perbacco. Siamo arrivati a chiamarla per nome.»
Dorian digrignò i denti, ma trascinò via i polpastrelli dalla fronte. Stabilì un contatto visivo con la Fae per dei secondi che parvero interminabili. E la luce del camino, fusa al calore delle candele, illuminò i suoi occhi glaciali.
«Ascolta.» sibilò lei, decisa a interrompere quella connessione. Sollevò i palmi dalla scrivania e intrecciò le dita delle mani dietro la schiena. Era il suo modo per concentrarsi tutte le volte che doveva intavolare una conversazione lunga.
«Non ho intenzione di rimproverarti per ciò che fai o non fai al di fuori di Eryagon. Ma le tue azioni si ripercuotono su tutti noi. Quindi ti chiedo solo di andarci cauto, Dorian. La gente parla. Non credere che passino inosservate situazioni come la permanenza inoltrata a corte Legendragon e-»
«Lo so che la gente parla, ed è fuori da ogni logica. L'erede di Legendragon era promessa sposa del principe di Wealthagon e-»
«Parola chiave. Era.»
Al ricordo di ciò che aveva dovuto fare per lei, e a ciò che il principe di Wealthagon aveva chiesto in cambio... cielo.
La testa stava iniziando a scoppiargli di nuovo. Non riusciva più a sopportarne la quantità giornaliera.
Mantenne l'ennesimo contegno espressivo quando dovette replicare: «Non hai intenzione di rimproverarmi per scelte fuori argomentazione. L'hai detto tu.»
Jylaj intuì il messaggio implicito. Dorian non avrebbe voluto discutere di quella situazione intricata neanche sotto tortura. Ma ancor prima di essere il suo principe, lui ne era un fratello. E tra sorelle e fratelli era di comune visione l'aiuto reciproco. Doveva dirgli tutto ciò che pensava della vicenda. E come era solita fare: senza peli sulla lingua.
«Io e te abbiamo in comune una cosa, Dorian. La diffidenza. Verso gli esseri umani e verso la nostra stessa stirpe. La vita ci ha pugnalati abbastanza da farci credere che non meritiamo alcuna fiducia scontata o dovuta. Ma questo è uno di quei pochi casi in cui l'opinione delle persone deve essere di tuo interesse. Perché siamo in una posizione delicata, e di nemici non è mai abbastanza averne. Se c'è qualcosa che stai nascondendo a me, Adèl e Kyron, è ora che venga fuori. Prima che sia troppo tardi.»
«Troppo tardi per?»
Jylaj fece un lungo sospiro. Dorian stava cercando in ogni modo di deviare il discorso, e lo dimostrò quando provò ancora a riprendere l'argomento principale.
«In ogni caso, il danno è fatto. Se la corte e il Circolo sono a conoscenza del-»
«Continui a non ascoltare ciò che dico, Dorian.»
Adesso era il tono di lei a essere imperativo. E aggiunse: «Adèl, Kyron, io, te. Nessun altro. Siamo una famiglia. Aeghena appartiene alla nostra famiglia. E in quanto tale, rispetteremo la sua decisione.»
«Non puoi credere sul serio che...»
La Fae estrasse una pietra rossa preziosa da una tasca di pelle del pantalone. Ma non una pietra qualunque, bensì la dydylos, che nella lingua dei Fae dell'Aria significava "messaggero dell'aria." La fece cadere nel palmo del principe, e lui ne esaminò i riflessi di luce con l'ausilio delle fiamme nel camino.
«Lungo il Confine tra Regni. L'ha lasciata lì.»
«Lì dove?»
«Nella Grotta Proibita. La ricordi? Era...»
«Il nostro posto nel mondo.»
Jylaj annuì. Erano soliti chiamare in quel modo il luogo che, anni prima, li aveva protetti dopo l'abbandono di Faedragon dovuti alla condanna a morte della sorella minore. Da quel giorno, molte esistenze erano mutate. Ma altrettante avevano provato a voltare pagina. E tutti loro si erano promessi che, qualora le loro strade si fossero separate, lasciare un oggetto all'interno di quella grotta equivaleva a mandare un messaggio ben preciso.
Ora prendo in mano le redini della mia vita.
E Dorian ne ebbe un'ulteriore conferma quando, dietro la pietra, lesse tutto ciò che non avrebbe mai voluto nella Lingua dei Draghi.
Tysjfkov mij teri.
Non cercatemi.
Dorian avrebbe voluto dire molte cose. E molte di quelle erano indirizzate a sua sorella. Perché aveva deciso di abbandonarli. Perché, in un mondo in cui tutto e tutti remavano contro di loro, lei, da testarda quale era, aveva optato per la via più ardua.
Ricostruirsi una vita. Senza il supporto e l'amore di chi l'amava.
La Guerra aveva mutato le menti di tutti loro. Il peso delle perdite, di indipendenza e libertà, aveva portato molti Fae a morire. Altri a sacrificarsi alle leggi del Continente. Altri ancora a nascondersi. Ma nessuno aveva osato fare ciò che Aeghena aveva attuato. Nascondersi, sì... ma cambiando identità.
E vita.
Jylaj lesse nello sguardo perso e la mascella contratta del Fae tutto quello che non sarebbe riuscito a esprimere a parole.
«Dorian...»
Lui sollevò una mano. Chiuse gli occhi. Intimò di lasciargli il suo spazio, e inspirò per scacciare aria superflua. Una volta che Jylaj fu sicura di avere di nuovo la sua attenzione, parlò ancora.
«So che dovrei darti il tempo di metabolizzare quanto saputo, e fermo restando che io sono convinta non finisca qui, c'è una questione che ti riguarda in prima persona. E poiché il mio lavoro di Emissario del Circolo è anche quello di comunicare in anticipo cosa sento altrove–»
Le porte della stanza si spalancarono.
Un Fae della corte, che si occupava dell'amministrazione di guardia del castello, avanzò e dopo un inchino comunicò: «Visite, Vostra Altezza.»
«Io e il Cavaliere Jylaj stiamo discutendo.»
«Perdonatemi, ma mi è stato suggerito di non far attendere troppo l'ospite in questione.»
Jylaj si girò di trequarti con un cipiglio sul volto. «Che razza di scellerato oltraggerebbe in questo modo una conversazione privata nella Corte di Eryagon?»
Un mantello nero come le tenebre.
Scintillii in ogni inserto della seta scura che fasciava il suo corpo muscoloso. Tacchetti lucidi a calpestare il legno della stanza del Windothynn. Anelli sfolgoranti a richiamare la ricchezza del suo vestiario. Un'andatura elegante, sicura di sé e aggrazziata ad anticipare un inchino.
E da quell'inchino, la figura austera e dominante del principe di Wealthagon. Che con i suoi occhi di ghiaccio stava già esaminando ogni angolo della tana del nemico.
«Le mie scuse, Vostra Signoria.»
C'era una leggera ironia nella voce vellutata del Principe dell'Oro. Un preludio a una guerra che il Windothynn non avrebbe voluto iniziare. Non quel dì. Non dopo la notizia di sua sorella che aveva deciso di chiudere i ponti con tutto ciò che l'aveva aiutata a sopravvivere. Per chissà quanto tempo. Perché Jylaj sembrava convinta del contrario. Che Aeghena fosse potuta ritornare. E non era da escludere. Ma ciò non escludeva a Dorian di preoccuparsi e soffrire quell'abbandono incerto.
Jylaj capì l'antifona. Sussurrò un con permesso rivolto a entrambi, e preferì che quegli sguardi conditi d'odio, rancore e altri sentimenti contrastanti si limitassero tra i due uomini.
Quello che le risultò insolito, quando superò la porta, era che il Wealthagon non l'aveva degnata di un solo sguardo. Era abbastanza informata sulla vita condotta da quello che si faceva chiamare Il Re dei Peccati in ogni angolo del Continente. Nessuna donna era immune al suo fascino, a eccezione di lei che gli uomini proprio non le piacevano. E lui non se lo faceva ripetere più di una volta quando c'era da sfoderare il linguaggio forbito e i movimenti seducenti che gli permettevano di avere chiunque ai suoi piedi. Ma invece lui si limitò a una riverenza con un braccio. A spostarsi per farla passare. A capo chino.
E da perfetto... gentiluomo.
Dorian aveva altri pensieri per la testa. Riavere quell'uomo davanti ai suoi occhi, dopo due mesi in cui l'aveva condannato a portarsi dentro un segreto senza precedenti, era troppo da gestire. Troppo per chi, nel giro di poche ore, avrebbe dovuto avere a che fare con problemi altrettanto rilevanti e pesanti.
Una volta che furono soli, l'ospite incrociò le braccia dietro alla schiena, e iniziò a camminare nella stanza osservando il soffitto di stelle. Come se fosse lui a possederla. Come se anche quel pezzo isolato di mondo gli appartenesse.
«Dovrebbe essere vietato dalla legge e dalla Corte d'Eccellenza Istituzionale del Continente far attendere un Dio che grazia gli umani della sua presenza.»
Dorian roteò gli occhi al cielo.
Una.
Un'altra sola battuta vanesia ed egocentrica...
«Fino a prova contraria, noi non siamo umani, milord.»
Dario fece un ghigno che gli illuminò il volto. Adorava quando il Windothynn gli rispondeva a tono, perché lo considerava come l'unico in grado di tenergli testa. Soprattutto dopo... se ne ricordò e lo invase una morsa al petto. Soprattutto quando il Fae era stato in grado di vincere quel consiglio politico straordinario.
La sola presenza imponente del Wealthagon rendeva nulli i giochi di luce del fuoco. Riusciva a comunicare la sua grandezza nel modo in cui si vestiva, oltre che a parole e a gesti. Da capo a piedi, era sempre stato un maestro di seduzione estrema. E la sua bellezza sconvolgente contribuiva a renderlo l'uomo più bello esistito sulla faccia della Terra.
«Al cospetto di un Dio, il solo respiro rende inferiore un essere vivente.»
«A me sembra che passiate troppo tempo a chiedervi cosa sia divino e cosa sia umano, Wealthagon, e altrettanto poco tempo a domandarvi se ciò che fate o dite sia giusto.»
Dario spalancò le braccia con fare borioso, mentre continuava a fare piccoli passi. «Non sarei diventato ciò che sono se mi fosse importato delle discussioni sulla mia dubbia moralità. E con onestà, Vostra Altezza, intendo proseguire su questa strada.»
Fu il turno di Dorian nel regalargli un ghigno sarcastico. Si alzò dalla sedia, e decise di affrontare quella conversazione ad armi pari. Sarebbe stata una lunga serata. Di questo ne sembrava abbastanza sicuro. D'altronde, solo Dario Wealthagon avrebbe potuto corrompere le migliori guardie reali del Continente per avere un'udienza straordinaria con il Principe.
«Davvero?» ironizzò ancora il Fae.
«Dubitate delle mie buone intenzioni?»
«Eccome. Eccome se ne dubito.» Questa volta il tono di voce del Fae fu sul filo dell'irritazione. Ma mantenne una calma visiva e fisica che aveva avuto poche volte nella vita quando, viso a viso, aggiunse: «E vi dirò di più: avete una bella faccia tosta a presentarvi nella mia corte. Dopo due mesi. Fingendo che nulla sia accaduto. Nulla sia rimasto. E nulla vi abbia scalfito.»
Nulla vi abbia scalfito.
La maschera d'acciaio puro indossata dall'umano calò alla pronuncia di quel sussurro più accentuato del Fae. Dorian poté notargli le iridi cangianti di un ghiaccio più intenso.
Dario si prese qualche attimo per esaminare il volto del rivale. Non gli sembrava cambiato di una virgola. Diede il merito alla magia della sua dinastia, a quei lineamenti sempre perfetti ed eterei che, ne era sicuro, avrebbero potuto dargli filo da torcere in fatto di persuasione nel Continente.
«Ed è così.» sussurrò. Flebile. «Nulla.»
Di rimando, Dorian fece una smorfia. Si allontanò da lui, e iniziò a camminare per la stanza a braccia incrociate. Il suo passo era impercettibile, mentre il Wealthagon usufruiva dei suoi tacchetti per rimarcare la leggerezza del suo andamento in contrasto con la pesantezza della sua presenza.
«Veniamo al dunque, principe Wealthagon. Ho ben altro di cui occuparmi che crogiolarmi nel lusso e nello sfarzo come fate dalle vostre parti.»
«Curioso che una tale affermazione venga da una corte che si serve del mio oro da millenni.»
«Affermazione di dubbia veridicità.»
«Voi dite?» Eccola, l'ironia nella voce di un uomo che non aveva paura di nulla. E Dorian riconobbe in quella maschera di freddezza estrema il solito conquistatore e sterminatore.
Perché sapeva bene di avere dalla sua parte un'arma letale: l'altro lato della medaglia di Dario Wealthagon. Quella che l'umano non aveva mai mostrato a nessuno, se non... a lei. In quella notte che risultava ancora inspiegabile.
E Dorian riconobbe il Principe Ghiaccio Senza Cuore ancora di più in tutta la sua immensa strategia politica quando srotolò una pergamena estratta dagli interni in lana del suo mantello nero. Tutti quegli anni accanto a Edward Wealthagon nelle corti del Continente, che gli avevano rubato l'infanzia e l'adolescenza di un normale bambino della sua età, stavano dando i loro frutti. Davanti a lui.
E indipendentemente dalla minaccia delle sue parole, uno come Dario Wealthagon incuteva timore a prescindere. Perché vedere con i propri occhi i risultati della perdizione e della corruzione eterna... era da brividi.
Il Principe di Wealthagon sarebbe sempre stato destinato a fare grandi cose. Era nel suo sangue. Suggellato di oscurità e avarizia.
Ma l'amore gli mancava.
E l'amore l'avrebbe condannato.
«In questa pergamena firmata nientedimeno che dalla Signora della Luce in persona, si sottolinea come il popolo di Faedragon debba restituire a Wealthagon i resoconti del milletrecentocinquantesimo Anno Solare. In questo modo, la stipulazione del contratto-»
«Risparmiate il fiato, Alexander. Quando quel contratto è stato stipulato, voi non esistevate ancora. Io ero su questa terra da più di cento anni.»
Non fu la risposta a far contrarre la mascella dell'ospite. Bensì quell'unica parola:
Alexander.
Dario odiava che quel nome potesse uscire dalla bocca di qualcuno a eccezione delle uniche due donne che ne avevano il diritto.
Sua madre. E la donna amata un tempo.
E Dorian? Lo sapeva perfettamente.
Quella parvenza di pace che Dario aveva portato lì con sé si sbriciolò. Al posto della sua ironia, ci fu un atteggiamento senza sconti.
«Dovete un favore al mio Regno, Windothynn. E subito. Mio padre mi manda per saldare un debito che va avanti da troppi anni. Non vediamo entrate da Faedragon da circa... un secolo? O forse più? Non vi sembra un po' troppo per pretendere la mia clemenza?»
«Ordunque, voi siete venuto fin qui, senza il mio permesso di farvi entrare, interrompendo una conversazione di estrema importanza con il mio Primo Cavaliere... per?»
«Ricordarvi di stare al vostro posto. Come quello di tutti gli altri quando si tratta di me. E del mio Regno. Del mio popolo. Della mia corona.»
Solo Dario Wealthagon avrebbe potuto proferire quelle minacce senza conseguenze. E soltanto Dorian Windothynn avrebbe potuto accoglierle con il tatto, l'educazione e la calma che lo contraddistinguevano.
«Curioso...» cantilenò il Windothynn, traballando intorno alla scrivania. «Estremamente curioso.»
«Illuminatemi, Vostra Altezza. Cos'è che suscita il vostro gaudio e il vostro riso?»
«Oh, no. Io non rido affatto. Non c'è nulla di divertente in tutto questo. E sapete perché? Perché state diventando il riflesso della vostra anima.»
Dario si accigliò per qualche istante. La sua espressione era annoiata, ma dentro di sé covava il malumore di quei giorni che stavano diventando difficili anche per lui.
Da due mesi precisi.
«Spiegatevi ulteriormente, milord. Forse sono troppo stolto per poter comprendere la vostra intelligenza sopraffina.»
Una risata di Dorian echeggiò nella stanza, e non c'era alcun frammento di amore. «La finta modestia è la strategia più stupida e irrealistica che possiate usare.»
L'aria nella stanza si stava riscaldando. Ne erano consapevoli entrambi. Ed era impossibile fare retromarcia.
«Tutt'altro, Windothynn. Cerco di capire perché un principe qualunque voglia dirmi dove andare, cosa dire e cosa farne della mia esistenza.»
Dorian sbatté le mani sulla sua scrivania. Sul corpo di Dario non apparve il minimo sussulto. Ma nella sua mente... la sua mente gli stava giocando brutti scherzi. Sapeva bene di aver toccato un tasto dolente di cui si sarebbe pentito facilmente. E l'inizio fu nel tono alzato di Dorian.
«Avete un grande, immenso, ammirevole coraggio nel venire nella mia corte a ereggervi come un Dio intoccabile e invidiabile. Vi siete forse dimenticato che, l'unico a cui dovete qualcosa, è proprio quel principe qualunque che denigrate?»
«Non so di cosa stiate-»
«Per l'amor del cielo.» Il tono si alzò. «Ringrazio il giorno in cui vi ho fatto quell'incantesimo.»
A Dario era già chiaro. Da prima che mettesse piede in quella stanza, sapeva che quella conversazione avrebbe dirottato nell'unica direzione che non avrebbero mai dovuto intraprendere. Si era già preparato mentalmente all'assalto del principe nella sua battaglia mentale più pericolosa. E quella vulnerabilità che avrebbe dovuto avere dinanzi a una frase del genere si era dissipata nell'esatto istante in cui era stata pronunciata.
Dario non provò nulla. Nulla di nulla al giudizio duro del Fae. Perché continuava a sentire di aver fatto la cosa giusta.
«Dovete ponderare le vostre parole, Windothynn. Ci sono situazioni che non vi riguardano.»
Una risata ancora più audace e di scherno fuoriuscì dalle labbra del Fae. «Ne siete proprio convinto? Eppure, c'ero anch'io in quella stanza. Io. E nessun altro.»
A Dorian parve di scorgere una luce di speranza. Perché ci voleva davvero speranza nel credere che l'uomo davanti a lui avesse un cuore. E il punto del muro che il Wealthagon stava fissando era segno di un disagio interiore che non avrebbe mostrato a nessuno. L'avrebbe custodito dentro di sé. Per l'eternità.
«E allora perché mi state facendo la predica, Windothynn? C'eravate anche voi. Appunto. E sapete bene cosa comporti la legge del Fato. La legge della Magia Bianca.»
«Privare a una donna di avere dei ricordi? A una principessa di fare i conti con le legittime scelte della sua esistenza?»
«Il perdono. Prevede il perdono.»
Dorian non capì. E più gli fu arduo entrare nei meandri contorti della psiche del Wealthagon, più la sua pazienza stava perdendo le redini della conversazione.
«Adesso sono io a non seguire voi. Illuminatemi.»
Usò la stessa espressione del Wealthagon di istanti precedenti. L'ennesima provocazione scivolò come aria sulla corazza invisibile del principe, che rispose a sua volta con pacatezza.
«Il ricordo in cambio del perdono. Un giorno riavrà i suoi ricordi. Capirà perché io l'abbia fatto. E potrà perdonarmi.»
«Quanto ottimismo. Davvero toccante. Peccato che, per riavere quei ricordi indietro, la principessa dovrebbe cedervi il suo cuore. E sappiamo entrambi che non sarebbe alquanto possibile.»
«E per quale motivo?»
Eccolo. Il nervo che Dorian avrebbe voluto toccargli.
La frattura nella voce, il tremore accennato ma garante delle emozioni nascoste, che gli faceva comprendere quanto Dario Wealthagon fosse sempre scandalosamente convinto di poter avere tutto e di tutti.
In questo caso, anche i sentimenti dell'essere umano più puro che avesse mai conosciuto.
Luce e oscurità. Victoria Legendragon e Dario Wealthagon non erano destinati a stare insieme. Non erano destinati all'eternità.
Lo sapeva lui. Lo sapevano entrambi. Eppure, il Wealthagon si ostinava ad avere quell'atteggiamento risentito che Dorian proprio non riusciva a comprendere.
Così il Fae si avvicinò di qualche passo, azzerando la distanza tra i loro corpi. L'obiettivo fu quello di avere il Wealthagon a un centimetro dal suo naso, per poter vedere con i suoi stessi occhi e sentire con le sue stesse orecchie l'espressione e la risposta alla sua domanda. Una domanda che avrebbe potuto cambiare le sorti del tempo.
«La profezia dell'incantesimo recita che soltanto il bacio del vero amore può restituire i ricordi, garantirvi il perdono e l'amore eterno della mente obliata. E nel bacio, deve essere lei a permettervelo. Non voi.»
Nessuna risposta. Nessuna reazione. Dario lo fissava con coraggio, in attesa.
«Quindi...» proseguì il Fae. «Avanti. Andate là fuori e provate a baciarla di vostra spontanea volontà, credendo che lei se ne stia immobile e devota alle vostre attenzioni inopportune. Vedrete come reagirà all'idea che, un perfetto sconosciuto, voglia rubarle un bacio senza il suo consenso. Perché con il primo l'avrete anche avuto, ve lo riconosco... ma la fortuna aiuta gli audaci. E voi non lo siete stato abbastanza quando c'era la necessità di esserlo.»
Ancora alcuna risposta. Dario alternava occhiate fredde ad altre di pura apatia. Ma qualcosa nella sua mascella si era mosso. Un impercettibile movimento che Dorian aveva notato. E volle incrementare le accuse, allontanandosi di poco.
«Voi credete che ogni cosa vi sia dovuto. Non è così? Credete che chiunque, con un vostro schiocco di dita, decida di obbedirvi. Ma prima o poi arriverà quella persona che vi dirà di no. E un no è un no. Soprattutto da una donna. Non ho dubbi su come reagirebbe lei se voi provaste a toccarla. O baciarla.»
Dario fece i suoi passi avanti. E quei passi, mischiati al puro terrore che emanava dai suoi occhi che ora avevano una luce diversa, erano simbolici.
E la vicinanza non gli bastò. Perché quella risposta doveva sussurrarla al Fae. In un ringhio che lasciava poco spazio all'immaginazione delle sue emozioni.
«Ho visto più violenza io in una sola vita che voi in un secolo della vostra esistenza, Dorian Windothynn. Chiudete quella bocca prima di giudicare la mia persona nei riguardi della volontà di una donna.»
«Non mettetemi in bocca parole che non ho mai detto. Non conosco tutto il vostro vissuto, così come voi non conoscete il mio. E per quanto mi costi ammetterlo, io vi rispetto. Siete un pezzo di merda senza precedenti, e della peggior specie. Io mi baso su ciò che dite e su ciò che mostrate. Vantate ovunque della vostra dialettica impareggiabile per manipolare le menti degli umani. Vantate ovunque di tenere più al potere che all'amore, e di non voler concedere il vostro cuore a nessuna. Ma allo stesso tempo rispetto la vostra scelta di non addossare i vostri demoni sulle spalle degli altri. Ho vissuto una vita intera a nascondere i miei. Nessuno più di me può capirvi. E dirvi quanto faccia schifo la vita.»
«E allora perché credete che lei non possa mai innamorarsi di me?»
Eccolo. Il punto di congiunzione astrale in cui voleva far cascare l'anima nera del futuro re di Wealthagon. Se ne accorse anche il diretto interessato, poiché la mascella si rilassò e i suoi occhi si spalancarono leggermente. E quando voltò il mento a destra... era troppo tardi per aggiungere altro.
Dorian non infierì. O almeno, non nel massimo che avrebbe voluto. Perché la sua domanda successiva fu: «E perché dovrebbe, invece?»
Lo stava facendo di proposito. In realtà, in una parte di sé, il Fae credeva davvero che quella pazza idea avesse fondamenta. E restando fedele ai suoi princìpi, credeva altrettanto nella tesi che, se fosse stato un uomo diverso, con meno sete di potere, Victoria avrebbe davvero potuto scalfire il suo cuore.
«Vi dirò una cosa che sentirete uscire dalle mie labbra una sola volta. Una sola volta, Wealthagon. E mai più.»
Dario sollevò il mento. Un'incredula stanchezza di discutere s'impadronì del suo volto. E con essa, gli occhi chiusi per una frazione di secondi, mentre il fuoco gli illuminava i tratti eterei del viso.
Dal suo canto, Dorian dovette inspirare ed espirare tutta l'aria nei polmoni per non pentirsi di ciò che stava per dire. Perché non aveva alcuna certezza della reazione del principe.
«Nessuno di noi due potrà avere quella donna. Nessuno di noi due è destinato a renderla felice. Perché io pagherò un caro prezzo per essermi esposto così tanto. Pagherò un caro prezzo per donarle la libertà che merita. Non potrò proteggerla in eterno. Ho una taglia sulla testa da parte del Re di Legendragon che mi vuole fuori dai giochi. Il fatto che abbia accettato di scendere a patti con me non significa che mi abbia perdonato. Tutt'altro: me la farà pagare cara. Con ogni mezzo possibile. E sapete perché? Perché ha già provato a uccidermi una volta, non prima di uccidere un altro uomo della mia corte come avviso in codice. E stava sacrificando il suo stesso figlio, sangue del suo sangue, pur di garantirsi il mio corpo sepolto sottoterra.»
Gli ingranaggi nel cervello di Dario iniziarono a girare in un modo che non comprese neanche lui, perché gli parve assurdo che Re Xander Legendragon potesse essere capace ancora di un tale affronto. Poi però rifletté un secondo dopo su cosa era stato capace di ordinare nei riguardi della sua unica erede legittima nella sala del trono. E il sangue ritornò a bollirgli in corpo, facendogli salire una bile amara in gola.
«È questione di tempo. La mia condanna è solo rimandata.» aggiunse il Fae.
«E voi glielo permetterete? Gli farete vincere la guerra?»
«Per salvare l'unica vita di cui mi importa in questo momento? Sì. Lo farei. Darei la mia vita e oltre se servisse a salvare quella di Victoria Legendragon.»
E quello invece era il suo punto di congiunzione astrale senza ritorno. Se Dario non fosse stato capace di leggere tra le righe, allora non avrebbe meritato la sua fiducia. Perché gli aveva appena confessato un qualcosa che non avrebbe saputo nessun altro. E se Dario avesse connesso i punti, avrebbe intuito cos'era che lo aveva portato a confessarsi proprio con lui. In quella gelida notte d'inverno.
Dorian gli lasciò i suoi spazi per riflettere. Era una situazione talmente intricata, complessa, ingarbugliata nei nodi di anime distrutte e condannate per poterla riassumere in un battibecco acceso fra le pareti di una fortezza magica. Ma Dario era lì per più di un motivo. E le parole del Fae gli avevano dato un aggancio per l'argomento successivo.
Il più difficile.
Il più ostico.
Quello che avrebbe davvero potuto inaugurare una guerra.
No, non meritava il rispetto e le parole di quel Fae che, nonostante le loro rivalità, riusciva ancora a guardarlo negli occhi senza l'odio e il risentimento che l'intero Continente aveva.
Perché, se c'era una cosa che il Windothynn aveva ben inquadrato di lui, era che a Dario interessava il potere.
Il potere in una vita di dolore.
Il potere in una vita di ingiustizie.
Il potere in una vita di rivalsa.
Era il potere a mantenerlo in vita. E la sola sete di potere avrebbe potuto garantirgli zero vulnerabilità.
Chiunque avrebbe provato ad attaccarlo, era consapevole che solo la corona era l'unica cosa che avrebbe potuto fargli compiere follie sanguinarie.
Aveva già amato. Dario aveva già dato in passato il suo cuore a qualcuno. Non c'era più spazio per donarsi. Né per salvarsi.
«E badate bene a ciò che sto per dirvi, altezza, perché come promesso prima, non avrete più modo di udirlo. Se ci fosse una possibilità... una misera, microscopica, invisibile possibilità che un domani Victoria possa donarsi a qualcuno... voglio che la scelta ricada su di voi. Su di voi. E nessun altro.»
Dario non era sicuro di aver udito bene.
E questa volta, non ci fu scampo.
La sua espressione lo tradì.
Spalancò gli occhi. E di scatto, guardò dritto negli occhi del Fae.
Dorian aveva il respiro compromesso dalla sua incapacità di proseguire, e confessare segreti troppo grandi. Ma doveva farlo. Doveva dirgli tutto ciò che aveva da offrirgli.
Perché avrebbe potuto essere l'ultima volta che i due avrebbero avuto la possibilità di parlarsi a cuore aperto. E in quel momento... nessuno dei due aveva qualcosa da perdere.
«Fino a quando sarò in vita, fino a quando esalerò il mio ultimo respiro, proteggerò quella donna a costo della mia stessa condanna. Fino a quando potrò starle accanto, chiunque voglia farle del male dovrà passare sul mio cadavere per appropriarsi di lei a scopi politici e di qualunque tipo che non includano il suo cuore. Ma quella notte in cui siete venuto nelle sue stanze, per fare ciò che avete fatto, ho capito una cosa. Che, se c'è una sola persona al mondo in grado di compiere le mie stesse follie, quello siete voi. Perché diamine, state rischiando tutto. Sapete quanto me che non c'è più modo di tornare indietro. Sapete quanto me che lei è destinata a grandi cose. Perché suo padre l'ha segregata in un castello per quasi vent'anni, e siete una persona intelligente da intuire che c'è ben altro che non sappiamo. Nessun regnante si sognerebbe mai di privare sua figlia dei piaceri della vita e della libertà di scelta senza un viscido tornaconto personale. E proprio perché lo sapete, e non lo ammetterete mai, le avete dato ciò che il padre non le ha mai dato: una scelta. La scelta di chi innamorarsi. La scelta di chi scegliere come persona da avere accanto nella vita. Non conosco la vostra storia. L'avete detto stesso voi. Non so niente di ciò che vi ha spinto a ossessionarvi così tanto a quella donna. Ma voi non fate mai nulla a caso. Voi non siete mai, e dico mai clemente con nessun essere umano. E in parte, ho dovuto mentire anche a suo fratello Riccardo. Perché sì, sono convinto che una parte di voi l'abbia fatto per proteggerla dai vostri demoni. Per non farle vivere l'inferno di scatenare una guerra tra i vostri Regni basata su un amore proibito. Ma l'altra parte? Cosa mi dite di quella facciata che state nascondendo a tutti? Ed è in quella facciata che risiede la mia speranza. In questo momento della vostra esistenza, non credo voi siate l'uomo giusto per lei. Non credo che nessun uomo sia giusto per l'animo puro e immenso di quella donna. Ma se mai un giorno dovesse accadere... se mai un giorno lei dovesse innamorarsi di voi privata di quei ricordi, e quindi basandosi soltanto sulla vostra personalità e la vostra mente... e sia lei, e soltanto lei, a volere un vostro bacio... lasciandosi alle spalle tutto il dolore che le donerete per la vostra sete di potere... allora è chiaro come il sole, Vostra Altezza.»
Dorian si avvicinò di più. Voleva sussurrargli la sua ultima frase. E poté giurare di percepire un tremore sotto la seta spessa del principe più strafottente di tutti i tempi. Quello a cui non importava di niente. Tranne dell'unica donna che, per delle questioni che non riusciva a spiegarsi nessuno, riusciva ancora ad accendere una fiaccola nelle profondità oscure della sua anima.
«Vi avrà perdonato. Avrà perdonato l'impossibile. E voi potreste puntare all'infinito.»
Un silenzio che durò un'eternità.
Nessuno osò parlare dopo quello che aveva detto il Fae. Dichiarazioni scioccanti che avrebbero tormentato il rivale fino alla fine dei tempi. Anche in una dimensione onirica, spirituale, divina, al di là della sua vita terrena.
Perché a Dario era chiaro. Dorian aveva ragione. Era impossibile che Victoria potesse perdonarlo. Non per tutto quello che lui aveva intenzione di raggiungere una volta diventato re.
Aveva le sue motivazioni. Il suo vissuto. E ancora una volta, non doveva e non poteva dare spazio all'amore e ai sentimenti umani. Ed era altrettanto chiaro che il Fae non gliel'avrebbe permesso. Perché l'unica ad avere voce in capitolo era Victoria. Victoria e la sua volontà. E in un mondo di bugie, lei avrebbe sempre preferito la verità.
E in un mondo in cui esisteva Dorian Windothyn, era chiaro anche quello: avrebbe sempre preferito il Fae.
Dario aveva già visto e appurato come lei guardava il Windothynn. Aveva già avuto modo di informarsi, da sue fonti attendibili e fidate, cosa stava accadendo in quella corte. E non aveva mai infierito. Aveva in mano una verità che avrebbe potuto spianargli la strada, eppure Dario era lì a rispondere con il silenzio all'uomo che poteva davvero rovinare con uno schiocco di dita.
Era sicuro, fin troppo, di ciò che aveva dedotto da tutto quel sapere e informazioni.
Victoria Legendragon amava Dorian Windothynn. E Dorian Windothynn amava Victoria Legendragon.
Era solo questione di tempo prima che i due mettessero da parte le loro paure. Perché qualunque destino Xander avesse avuto in serbo per la figlia, Dorian non l'avrebbe mai mollata. Gliel'aveva appena confessato. E con Dorian a prendersi spazio nella vita e nel cuore di Victoria... non ci sarebbe mai stato posto per nessun altro uomo.
Agli occhi di lei, Dario si vedeva come la speranza di una via d'uscita da una corte che la stava soffocando. E l'uomo che le aveva salvato la vita. Ma l'amore era tutt'altra cosa. L'amore era lei che avrebbe continuato a cercare e volere il Fae anche se quel matrimonio tra il Wealthagon e la principessa si fosse consumato.
L'amore non regalava sconti. L'amore era una libertà di scelta. E il cuore di Victoria Legendragon aveva scelto di amare quello di Dorian Windothynn sin dal primo istante che le loro strade si erano incrociate.
E forse fu quella sua certezza interiore a mutare il viso il Dario.
Forse fu quella consapevolezza di averla persa per sempre a farlo girare, dare le spalle al Fae e... andarsene verso la porta. Senza spiegazioni.
Dorian restò di stucco. Si era immaginato un'infinità di reazioni, ma quella non era stata neanche presa in conto.
Uno come Dario Wealthagon avrebbe voluto sempre, sempre avere l'ultima parola.
Ma la rabbia e gli occhi lucidi che Dorian gli aveva intravisto... no. Quelli non erano contemplati per uno come lui.
Sulla soglia della porta, il Wealthagon afferrò la maniglia. E scelse il suo destino in quella stanza nel momento in cui decise che non avrebbe potuto andarsene senza dirglielo. E anche lui stava per compiere la sua scelta.
«Per tutta la vita, mi sono schierato dalla parte di mio padre. Per tutta la vita, mi sono vergognato di me stesso per aver permesso a un uomo che mi ha corrotto l'esistenza di rendermi suo complice. Se sono ciò che sono, è perché ho preso anch'io delle scelte. E se tornassi indietro, le riprenderei ancora. Oggi ero venuto qui per un motivo. Per aver scelto, ancora una volta, di stare dalla parte dell'uomo che ha contribuito a mettermi al mondo. Ma in fondo avevate ragione, Windothynn. Siamo legati da un filo invisibile che, credetemi, vorrei spezzare con ogni fibra del mio essere. Ma fino a quando lei sarà nelle nostre vite, questo non sarà possibile. Mai. E avevate ragione anche una seconda volta nel dire che vi devo un favore. Con quell'incantesimo della memoria, vi ho chiesto troppo. Ho scomodato le leggi della vostra Magia Bianca, che prevedono l'obbedienza della richiesta. E ancor di più, vi ho chiesto di mentire alla donna che amate per coprire le mie, di bugie. No. Non osate interrompermi dicendomi che non l'amate, dannazione. Perché so di ciò che parlo e l'ho visto con i miei occhi. Ma anche voi le state permettendo di scegliere cosa fare del suo destino e dei suoi sentimenti, e anche voi, come avete detto, vorrete sempre proteggerla da un uomo senza scrupoli. Perché voi pensate di conoscere ogni meandro della mia mente, Dorian Windothynn, ma non sapete che, se c'è una persona che conosce Xander Legendragon più di sé stesso... quello sono io. Per il conto in sospeso che abbiamo. Che risale a molti anni or Sole. E non potrà mai essere saldato. Quindi non starò al suo gioco. Non permetterò che rovini la vita di sua figlia. Farò tutto ciò che è in mio possesso per rovinare mio padre e lui per ciò che mi hanno fatto. Dunque, ve lo devo, Fae dell'Aria. Vi devo anche quella mezza verità che avrei dovuto nascondervi.»
«Di quale mezza verità parlate?»
C'era allarmismo nella domanda del Fae. Perché qualcosa non andava. Qualcosa aveva tormentato il Wealthagon per tutto il tempo che era stato in quella stanza. Per tutte le volte che ha cambiato espressione, modi, colore. Ed era nelle intenzioni del Windothynn venirne a capo.
«Parlate, Dario Wealthagon.»
Insisté pronunciando il suo nome. Perché avrebbe giocato tutte le sue carte per avere la verità. Anche quella di arrestarlo, se necessario.
Ma non lo fu. Perché il Wealthagon superò l'uscio, e Dorian fu sul punto di alzare la voce per chiamare le sue guardie.
Ma Dario si girò. Perché aveva bisogno di confessare i suoi peccati subendone il giudizio finale.
«Mio padre vuole la vostra corona. Mio padre non si fermerà al solo trono di Wealthagon. Vuole il Trono dei Troni, la gloria eterna, e anche i Regni Magici. E se non può avere questi ultimi a causa del Fato voluto dal Dio degli Inferi, allora si prenderà ciò che ne rimane. Vuole le vostre terre e la vostra libertà, Windothynn. E la mia visita qui, a parlarvi di debiti da saldare, è solo una scusante. Un'esca che serva a far traboccare l'ultima goccia del vaso.»
«Di che state parlando, Wealthagon? A quale goccia fate riferimento?»
Dorian stava cercando di essere duro e inflessibile, ma una parte di sé aveva già capito. Perché la sua esperienza sulla Terra era un'arma a doppio taglio. Aveva imparato a conoscere e scavare nella mente di innumerevoli sovrani, giusti e ingiusti, misericordiosi e assetati. Ed era alquanto sicuro della categoria d'appartenenza di Re Edward Wealthagon.
Fu per questo che iniziò a sbiancare. Fu per questo che non riuscì a presagire nulla di buono dalle labbra del Wealthagon che si schiudevano per esalare l'ultimo respiro in quella corte.
Prima che tutto potesse crollare. E portare con sé ogni rovina.
«Se Xander Legendragon scoprisse che ora non siete in grado di sostenere economicamente l'alleanza politica e bellica con loro a lungo termine, ma che avete firmato con l'inganno solo per garantirvi la pace eterna e nel mentre cercare altri sostegni economici per saldare i debiti con loro... finirebbe tutto. Si scatenerebbe una guerra. E mio padre vuole proprio questo. Dichiararvi guerra.»
Dorian era a corto di parole.
Il mondo stava iniziando a vorticare intorno a lui senza pietà. Senza dargli la possibilità di reagire.
E il peggio, a quanto pareva, doveva ancora arrivare.
Perché non solo Dario e suo padre erano a conoscenza dei meccanismi della corte di Eryagon... ma ora li minacciavano. Li minacciavano con ciò che sapevano usare meglio: il potere.
«C'è una sola soluzione. L'unica possibile per saldare un'alleanza con noi e garantire a mio padre un potere maggiore di quello di Xander. Perché attualmente a mio padre appartiene solo la terra natia, mentre a Xander tutto il controllo dell'Est. E la vostra alleanza significherebbe, almeno a immagine, un traguardo senza precedenti nella storia di Wealthagon. Quella che avrei dovuto proporvi oggi che, in caso di vostro rifiuto, a vostra insaputa mio padre avrebbe scatenato la guerra. Le reali motivazioni non avrei mai dovuto dirvele, così il vostro ovvio no gli avrebbe dato il viavai per avvertire Xander dell'inganno.»
Dario si prese un attimo per respirare.
E se ne accorse in quel momento: come aveva immaginato, era rimasto l'unico in grado di poterlo fare.
Dorian era sul punto di svenire. Di vedere il suo castello di sogni, pace e speranza in un mondo migliore, frantumarsi per mano della crudeltà umana.
E quando vide il dolore negli occhi del principe di Wealthagon, non volle crederci. Perché non era possibile. Non era possibile che, lo stesso figlio dell'uomo che lo stava per condannare, avrebbe voluto che sapesse la verità per trovare una soluzione prima che tutto crollasse nell'abisso.
«Dovrete sposare mia cugina.
Mia cugina Elena Demetria Wealthagon.
Soltanto così la sete di potere di mio padre potrà saziarsi per il tempo che gli servirà.»
E senza sprecare ulteriormente tempo, aggiunse:
«Ho saldato il mio debito, Dorian Windothynn. Ora voi, saldatene uno per me: distruggetelo.
Distruggete l'uomo che mi ha rovinato la vita.»
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