CAPITOLO 15
~NATHAN~
“Siamo destinati per sempre a stare in equilibrio sul confine dell'eternità senza il tuffo definitivo nell'abisso.”
EDGAR ALLAN POE
«Tienila d'occhio. Non voglio che incorra di nuovo nel pericolo dell'altra sera». Ordino a Michael, dall'altra parte della linea.
«Sì, signore, al momento sembra tutto tranquillo».
Annuisco, come se l'avessi di fronte. Vago nello studio come un leone in gabbia. Dopo ciò che è successo ieri sera, non riesco a fare a meno di pensare di aver perso terreno. E quella ragazzina testarda e troppo orgogliosa mi sta rendendo il tutto più difficile di quello che credevo. Sono passate due settimane, e sono quasi agli sgoccioli. L'unica cosa che mi rimane è cambiare strategia.
«Bene», mi soffermo sulla planimetria distesa sulla scrivania e osservo i punti ciechi della zona. «C'è anche un'altra cosa: voglio che tu scopra tutte le sue relazioni precedenti coi ragazzi che ha avuto, e voglio che lo fai il prima possibile».
«Sarà fatto, signore». Risponde prontamente Michael, prima di buttare giù la chiamata.
Infilo il cellulare nei jeans e osservo ancora la mappa che Michael mi ha consegnato. A sud-ovest dell'edificio ci sono due punti ciechi. Se ci posizioniamo lì, non possiamo raggiungere l'altra parte, a meno di far esplodere quel muro. "Sarebbe un problema, farebbe un gran baccano".
La porta in legno massiccio dello studio di mio padre si scosta leggermente. Alzo la testa, Brad fa capolino con le mani congiunte nel grembo. «Gli uomini non sono riusciti a prenderlo. È riuscito a fuggire prima del loro arrivo, ma Erasmus ha confrontato le telecamere e pare averlo visto prendere la tangenziale, supponiamo in direzione sud».
Faccio un respiro profondo, toccandomi il ponte del naso; la rabbia mi cresce nel petto. «È fuggito, dunque», abbasso lo sguardo sulla mappa.
«Sì, signore. Ma abbiamo inviato un paio di uomini, ed Erasmus è in costante vigilanza sulle telecamere. Riusciremo a prenderlo grazie alla biometria faciale», mi rassicura, come se avessi bisogno di essere calmato.
Picchietto in un punto nella mappa, aggrottando la fronte, e catturo gli occhi scuri di Brad. Sono incredibilmente indecifrabili, pure per me che lo conosco da quando sono nato: «Sta andando dove credo?»
Brad sostiene il mio sguardo e fa un solo cenno, rispondendo ai miei dubbi. «Ma lo prenderemo prima».
«Devono!» raggiungo il carrello degli alcoolici e tolgo il tappo di una bottiglia di whisky. Lo verso in un tumbler, depositato lì vicino, e la richiudo col tappo di cristallo. Il profumo speziato ha un sentore di albero di pino. «Seguitelo fino ai cancelli, se serve a catturarlo. Mi serve vivo».
«Lo so, signore».
Porto alle labbra il bicchiere e sorseggio il whisky. Il sapore affumicato dalle note legnose di cedro mi solletica le papille. Brad resta in attesa di altri ordini, ma quando butto giù il sorso che stavo assaporando il cellulare squilla ancora. Lo estraggo: "Numero sconosciuto".
"È Domingo che sta provando a farmi uno scherzo di poco gusto?" Resto perplesso per una manciata di secondi, trascino il dito sulla cornetta verde e lo poggio all'orecchio, ogni terminazione nervosa in allerta. «Pronto».
«Oh, cugino, cugino. Come sempre, un cane rabbioso», sibila una voce graffiante.
Mi si rizzano i capelli alla base del collo e per una frazione di secondo sgrano gli occhi. Il petto prende fuoco, come se qualcuno mi avesse squarciato la gabbia toracica con un machete. Stringo forte la mascella per contenere i demoni urlanti nel mio cranio. Vorrei infilare la mano attraverso il telefono, trascinarlo fin qui e strappargli la giugulare.
«Da quanto tempo!» dico col tono affilato quanto le mille spade che vorrei conficcare nel torace del traditore. Non riuscirei mai e poi mai essere più calmo di così, non se si tratta di lui.
Sospira: «Ah! Niente, volevo solo sapere come stavi», lo dice con quella voce acuta, che lo fa sembrare ancor più pazzo di quanto è; stringo i denti fino a farmi male. «Stai bene cugino, vero?» la sua voce cavernosa e subdola è intrisa d'ironia, mentre finge di preoccuparsi per me. Mi striscia in testa come un serpente velenoso destando ogni demone, ogni male, ogni colpa.
Stringo forte il telefono, facendo grossi respiri. La rabbia aumenta a ondate, uno tsunami che mi devasta il petto. Quel 'cugino' è un veleno che non riesco a sopportare. "Sarei disposto a fare un patto con Lucifero in persona se solo servisse a estirparlo dalla famiglia, ma non cambierebbe il fatto che è sangue del mio sangue". Mi si accappona la pelle.
«Non sono più tuo cugino da parecchio tempo. E conveniamo entrambi che preferiresti vedermi marcire in un buco sottoterra, piuttosto di sapermi in salute». Sputo, velenoso.
«Ehi, così mi offendi», il suo tono di scherno, come se avesse messo il broncio, mi fa ribollire il sangue e risveglia un dolore acuto che mi stringe il petto in una morsa asfissiante.
Lo odio. Lo odio più di qualsiasi altra cosa al mondo. Se lo avessi davanti, gli strapperei il cuore a mani nude. Vorrei vederlo soffrire e agonizzare fino alla morte, cosa che ho intenzione di non concedergli con tanta facilità. Lui pagherà. Ogni cosa.
«Lungi da me, offenderti», ti voglio solo ammazzare. Mi riesce difficile essere calmo, ma devo convincerlo. Imposto la voce perché suoni tranquilla: «Perché hai telefonato?»
«Te l'ho detto!» risponde melenso. «Volevo solo sapere come stavi».
Stringo il pugno fino a conficcare le unghie nei palmi, la pelle si recide e le nocche sbiancano per la pressione. «Dove sei? Perché non esci da quel buco di fogna in cui ti nascondi?» spegnendo il microfono del telefono, mi volto verso Brad, che è rimasto ad assistere in silenzio, ignaro. «Di' a Erasmus, di rintracciare la telefonata. Subito!»
Lui ubbidisce, uscendo dallo studio.
«Non sono così stupido da darti le mie coordinate!» la sua voce si trasforma in un suono cavernoso che porta con sé un ghigno crudele, come se non fosse più la stessa persona di pochi attimi fa. Sospira: «Se proprio ci tieni, sono da qualche parte nell'emisfero sud a prendere un po' di sole. Se mi vuoi raggiungere...» ride di nuovo con voce acuta, da pazzo.
"Non sei da nessuna parte, oltre a New York, brutto mostro. Ho trovato e bruciato i tuoi documenti in una fogna di Brooklyn, prima di venire qui. Prima o poi sarà mio, è solo questione di tempo".
«Conosco la tua tattica. Sei prevedibile», rispondo a denti stretti.
Brad rientra e mi mima che Erasmus è già in movimento, devo solo prendere tempo e dargli modo di individuare il luogo da cui proviene la telefonata.
«Sei sicuro, cugino?» domanda, con una nota di prepotenza.
«Non ho alcun dubbio». Lo conosco: quando lo provoco, reagisce.
«Non sono prevedibile!» esclama isterico, raggiungendo i miei timpani con una voce acuta. La abbassa di nuovo di due ottavi, come se si stesse pregustando qualcosa. «E ora lo vedrai...»
Il cuore batte forte, la rabbia mi ribolle in corpo come un'energia impossibile da contenere. Con tutta la calma che riesco a racimolare gli faccio una promessa: «Io ti ucciderò, Eric».
«Oh, cugino, cugino. Sempre con queste minacce vane e ripetitive. Quando la smetterai di indossare sempre questa maschera da diavolo vendicatore? Sai che non fai ridere nessuno, vero?» sbuffa, come se fosse annoiato.
Faccio un respiro profondo, tutto ciò che vuole è vedermi arrabbiato. Lui è ciò che fa, gioca col mio cervello, come se fosse in grado di plasmare la mia volontà a come gli pare e piace. Rispondo, calmo: «Sai che non sono minacce vane. Io ti prenderò».
Ride. Una risata leggera, ma con un timbro basso e malvagio. «No. Non succederà. Non finché loro non saranno dalla tua parte. E sappiamo entrambi che preferirebbero morire sgozzati piuttosto che farsi governare da un bamboccio!»
«Non ho mai avuto bisogno di loro! E stanne certo che riuscirò a trovarti, Eric. Dovunque tu ti sia nascosto!»
Resta in silenzio, come ad analizzare le mie parole con attenzione, e io stringo forte i denti per non aggiungere altro. «In tal caso, permettimi di darti una notizia in anteprima, prima che lo faccia Andrea. Sai quella ragazza bionda? Il carattere da maschio, con le gambe chilometriche che lavora per te?»
Resto in allerta. Cosa diavolo ha fatto?
«Se fossi in te, cugino, farei attenzione a ciò che nascondi al molo», scoppia a ridere con un verso roco e mette giù, lasciandomi ancora una volta con una sensazione amara in bocca.
La rabbia mi blocca il respiro, mentre poggio il telefono sulla scrivania. Quel verme avrà combinato sicuramente qualcosa. Cerco il numero di Andrea in rubrica, ma prima che io la chiami il telefono squilla di nuovo. Rispondo senza esitare e metto il vivavoce. «Andrea».
«Signore. Sono esplosi due magazzini delle armi al molo sud-ovest della zona chiatte. Abbiamo perso due tonnellate».
«Che cosa?» esclamo a denti stretti.
«Purtroppo la perdita più grande è un'altra signore...»
«Quale?» stringo forte il busto della statua che ho di fronte, fino a far riaprire le ferite delle nocche che mi sono fatto ieri sera. Un rivolo di sangue inizia a fluire, imbrattandomi la mano.
«Abbiamo perso una dozzina di uomini, signore, e la polizia è giunta in pochi minuti a ficcanasare. Daniel si sta occupando di loro, ma c'è il rischio che qualcuno possa chiamare anche i federali».
Stringo la mascella, respirando a fatica. Una loro comparsa mi metterebbe nei casini, e io non sono lì per fermarli.
«Non so chi ha causato la strage, ma stiamo guardando i nastri delle cassette di video sorveglianza», afferma rammaricata.
Mi giro di scatto verso Brad, che annuisce.
«È stato lui», le dico calmo, ma dentro sto andando a fuoco. L'ira mi scorre nelle vene.
«Suo cugino, signore? Di nuovo!» la voce di Andre cambia tonalità e si fa più alta; oltre a essere in collera, è anche incredula. «Non so come abbia fatto. L'ho avuto sotto il naso e me lo sono lasciata scappare!»
Già, quel figlio di puttana la pagherà cara anche per questo. «Non si avvicinerebbe mai di persona, avrà pagato qualcuno per farlo. Perlustrate ogni telecamera della città, setacciate ogni targa, ogni veicolo che dia anche un minimo di sospetto e troveremo i colpevoli. Quali sono le perdite?»
«Più di duecento milioni di dollari, signore. Ma stiamo facendo ora il resoconto dettagliato. La chiamerò più tardi per i dettagli».
«Tienimi informato», chiudo la chiamata e scaglio a terra il telefono con tutta la forza che ho. Si schianta contro la moquette con un clock e frammenti di vetro dello schermo volano sul pavimento. Il mio cuginetto ha colpito ancora e io ho il forte bisogno di picchiare un po' di gente finché non avrò lui per le mani. Chiunque lo stia aiutando, me la pagherà molto più di lui.
Salgo in camera, mi infilo un paio di jeans, la giacca di pelle e scendo ai garage delle moto. «Andiamo al pub. E chiama i ragazzi. Riunione. ORA!» grido.
***
Freno bruscamente a pochi centimetri dalla porta del pub. Scendo dalla moto, tolgo il casco e lo appoggio sulla sella. Mi dirigo dritto nella camera sotterranea. Il nuovo bartender, indaffarato a pulire i bicchieri, mi saluta con un cenno, ma sono troppo furioso per ricambiare. Svolto a destra e scendo le scale, cercando di fare dei respiri profondi per quietare il bisogno di prendere a pugni chiunque mi si pari davanti.
Nella stanza illuminata dalle applique, Dylan è in piedi con la mascella serrata, vicino al carrello dei superalcoolici, intento a riempire tre bicchieri. Un muscolo fantasma guizza sulla sua guancia destra. Erasmus, seduto sulla poltrona con un tic alla gamba destra, ascolta in silenzio Luke, appoggiato alla scrivania con le braccia conserte e le spalle tese. Alza lo sguardo su di me, attirando l'attenzione di tutti: «Nathan! Cosa sta succedendo?»
Sospiro e mi avvicino a Dylan, tiro fuori il whisky e un bicchiere di cristallo. Ne verso un po' e mi siedo sulla poltrona di pelle nera. «Devo dire che mio cugino mi ha di nuovo stupito!» roteo il bicchiere mezzo pieno, tenendolo in equilibro tra le dita; la rabbia ancora in pieno svolgimento. «Ha fatto esplodere i due magazzini della cocaina destinata a Ivan Goblev. Ci sono duecento milioni di dollari di danno. Per non pensare agli uomini che hanno perso la vita».
I ragazzi restano zitti. Butto giù il liquido ambrato.
«Dobbiamo dargli la cacia. Se è di nuovo a New York, questa volta non ci sfuggirà», sibila Dylan stringendo i pugni.
Mi giro verso di lui con un ghigno. «Un ratto di fogna come lui sa bene dove nascondersi», mi alzo e vado vicino ai miei uomini più fidati, accigliati e rabbiosi quanto me.
Controllerò tutte le telecamere. Mi rassicura Erasmus, alzando il mento. «Ho cercato di rintracciare la telefonata, oggi, ma ha messo un segnale di non rintracciabilità».
"Ovviamente", stringendo i pugni, sibilo: «Dobbiamo fare visita ad ogni clan, ad ogni fottuto uomo, donna e bambino di ogni clan d'America. Devo scovarlo. Devo strappargli il cuore, come ha fatto lui con me».
«Se decidi di rispondere alle sue provocazioni, scatenerai una guerra da cui non si potrà più tornare indietro». Luke punta i suoi occhi azzurri nei miei.
Sospiro, toccandomi il ponte del naso e chiudendo gli occhi per una frazione di secondo. «Noi siamo in guerra da dieci anni, Luke», inclino la testa verso di lui e digrigno i denti.
«Lo sai che non intendo questo. Siamo sempre pronti per affrontare i nemici», sospira Luke aggrottando la fronte. «Lo sai che a tuo cugino piace giocare con la tua mente. Questo è l'ennesimo colpo per farti fare qualcosa di avventato, come andare a minacciare ogni fottuto clan dell'America!»
Sa bene com'è fatto Eric e cosa cerca da me. E forse ha ragione da vendere nel dire che mi sta influenzando. Odio me stesso per essermi lasciato abbindolare per l'ennesima volta, ma allo stesso tempo non posso restare fermo e continuare a subire. Non posso più farlo.
«Cosa suggerisci, allora?» domanda Dylan col sopracciglio alzato e i pugni serrati. «Vuoi che restiamo in silenzio mentre lui continua a colpirci, sempre, e ogni volta più forte! È questo che stai suggerendo, Luke?»
Luke sbatte le palpebre incredulo. «Cosa? No, non intendevo questo! Dico solo che abbiamo un obbiettivo primario da perseguire, e non ci possiamo permettere di perdere la testa con le sue provocazioni», si volta verso di me con lo sguardo determinato e mi perfora coi suoi occhi azzurri, mentre gli altri restano in silenzio; Dylan sibila un'imprecazione. Avevamo detto, che avremmo cercato di non dare nell'occhio. Siamo qui per un motivo, abbiamo fatto ciò che serviva, anni fa, per un motivo. Tu stesso hai smesso di dare la caccia a Eric dopo ciò che ci ha confessato la nonna. Quindi ti chiedo, Nathan: siamo disposti a uscire allo scoperto proprio ora? Siamo riusciti a nasconderci in bella vista, ad arrivare fin qui perché la nonna ce l'ha permesso, ma se iniziassero a indagare anche sul suo conto? Cosa succederebbe?» Il suo petto si alza e si abbassa visibilmente.
Taccio con la mascella contratta, mentre stringo con forza il bicchiere. Non ha torto, ma non può chiedermi di restare inerme. «Potrebbero tagliarla fuori».
Luke annuisce.
«Quindi dobbiamo stare in silenzio perché probabilmente un branco di vecchi potrebbe farci fuori?» domanda incredulo Dylan.
Luke sospira, e si passa le mani sul volto, come se fosse esausto, poi si volta verso Dylan, il quale è ancora in trepidante attesa e con le mani strette a pugno, pronto per fare una delle sue. Temo per i decanter di cristallo piene di whisky alla sua destra. Potrebbero andare in mille pezzi da un momento all'altro.
«No, non sto dicendo affatto questo. Solo che credo ci sia un altro modo», butta fuori a denti stretti.
Stringo gli occhi e sospiro. «Cosa stai suggerendo?»
Luke inizia a vagare nella stanza. Si avvicina al carrello degli alcoolici e lo sposta lontano da Dylan; nemmeno lui vuole sprecare del buon whisky. Quello lo fulmina coi suoi occhi verdi.
«Potremmo far fare l'incursione a Daniel e ai suoi uomini. In questo modo avremmo un vantaggio su Miller e su più fronti. Tu potresti risolvere velocemente la situazione con Goblev, e noi passiamo all'azione di Don Giovanni. Così, la nonna non sarà costretta a dare spiegazioni a loro per quanto riguarda le azioni di Daniel, visto che non è incluso nell'accordo».
Come sempre, le idee di Luke sono geniali.
«E tu credi che non sappiano che Daniel si muove per ordine di Nathan?» ghigna Dylan, scoprendo i denti bianco perla.
Luke lo fulmina con lo sguardo. «Certo che lo sanno! Ma non possono agire. Non finché non è uno di noi a terrorizzare gli altri clan. E noi sappiamo bene che il giuramento per loro è sacro».
«Ma così attireremo maggiormente la loro attenzione!» esclama Erasmus con la fronte aggrottata.
«Perché, pensi che non ce l'abbiamo già?» rispondo. «Il punto è che chiunque nasconde Eric non è nostro alleato, e farà di tutto per proteggere una fonte di informazioni di quella portata». Mi sposto verso il muro dietro la scrivania e tiro fuori una scatola di sigari cubani. «Sono stufo di non dargli la caccia. Sì, sono d'accordo su tutto ciò che hai detto, ma lui ha ucciso la mia gente, Luke. Ora, con o senza i loro occhi addosso, devo agire». Apro la scatola, prendo il taglia sigari e taglio le estremità dei quattro sigari conservati sotto le foglie di tabacco essiccate. Sospiro, liberando il petto dalla rabbia, e ne accendo uno. Il fumo mi riempie le narici e mi colpisce lo stomaco, ma mi calma il cervello per una frazione di secondo. Anche gli altri ne prendono uno e fanno la stessa cosa. «Voglio iniziare a smuovere le acque».
«Suggerisci casino?» domanda Dylan con una luce di macabro godimento.
Annuisco e lui ghigna, facendo un tiro. Anche Luke annuisce, Erasmus resta in silenzio con l'indice premuto contro la tempia.
«Ottimo, allora. Mettiamoci al lavoro», stringo i pugni fino a conficcare le unghie nei palmi e sospiro per non scaraventare a terra tutto ciò che ho di fronte.
Erasmus va a prendere il suo PC, batte velocissimo sulla tastiera e lo posiziona in mezzo alla scrivania. «Siamo coperti», ci informa, allontanandosi dallo schermo.
Videochiama Daniel, che risponde dopo due squilli. Luke gli ripete il piano d'azione e l'altro ascolta con la fronte aggrottata e la mascella serrata. Anche attraverso lo schermo, i suoi occhi neri esprimono tutta la rabbia e la frustrazione accumulata per via del colpo di Eric. Lo comprendo, anch'io sono furioso. Daniel è l'unico che può darci una mano in questo momento, e lui lo sa.
«Faremo così: tu e i tuoi andrete dai Jason Moure. Gli direte che se nascondono mio cugino, lui, la sua famiglia e tutto il suo fottutissimo clan si ritroveranno con la testa su una picca. Siamo intesi?»
Daniel fa un respiro profondo. «Mi muoverò in tal senso».
«Sai già cosa fare, in caso si oppongano. E se solo si azzarda a minacciarti, uccidilo. Non ci pensare due volte», ci vuole un cambiamento drastico per dei risultati concreti.
Daniel annuisce, ghignando come se gli avessi appena dato il permesso di prendere a pugni degli uomini di merda. "Oh, aspetta. L'ho appena fatto".
Salutiamo Daniel, che spegne la telecamera e mette giù. Vado a sedermi sulla poltrona e poggio il sigaro nel posacenere. Il primo passo è fatto.
«E ora?», domanda Erasmus, prendendo posto sulla poltrona più distante.
Mi rivolgo verso Dylan. Ha quella luce da pazzo assassino negli occhi, il mento in alto, e il petto in fuori. «Cosa devo fare?»
«Tu andrai a Boston, da Tony, e gli dirai di venire qui, da me. Ho un grosso lavoro per lui. In più, continuerai ad occuparti del carico per Mosca che deve partire tra due settimane».
«Con tutti i favori che ti faccio, prima o poi mi dovrai fare una statua che si veda pure nello spazio», si lagna, ma annuisce; alzo gli occhi al cielo.
I miei uomini iniziano a muoversi in silenzio per mettere in atto i loro piani d'azione e un moto d'orgoglio mi si espande nel petto. Sono preoccupato per Dylan che dovrà affrontare suo padre a Boston, ma la fiducia che ho in lui mi rende meno nervoso. Loro sono il mio clan. L'unica famiglia che ho. E più li guardo, più mi convinco che senza di loro sarei solo un assassino del cazzo senza la consapevolezza di essere accettato dalle persone che davvero contano per quello che sono.
Il rombo di una suoneria mi desta dai miei pensieri. Andrea. Rispondo, mettendo il vivavoce: «Sì Andrea, dimmi», sospiro, camminando per lo studio col cellulare in mano, come un animale impazzito.
«Abbiamo esteso il bilancio e siamo in perdita di duecento milioni e mezzo, signore. Volevo anche chiederle come procedere con gli uomini che hanno perso la vita».
Deglutisco, una voragine mi scava lo stomaco: «Date degli assegni abbondanti alle loro famiglie. Se avevano dei figli, trovate loro le scuole migliori e pagate tutto ciò che serve per la loro istruzione».
«Sì, signore».
«Andrea...» la chiamo per tranquillizzarla; lei resta in silenzio. «Arriva Daniel tra poco, si occuperà lui di tutto. Grazie».
«Sì, signore. Arrivederci, signore». dice lei, riagganciando.
❤️🔥Spazio Autrice❤️🔥
Scusate per l'attesa. I capitoli erano in editing. Spero che vi piaccia. In tal caso, potreste sostenermi con una stellina e dei commenti.
❤️🔥Vostra, Kappa_07❤️🔥
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