32 - LA NEBBIA (2)

Antonio fu irremovibile.

Nessuno poteva salire di sopra finché non fosse calata la sera. Se ne stava seduto alla scrivania, tranquillo, assorto nei suoi disegni e nei suoi mugolii, ma non appena Alessandro o Silvia facevano anche solo l'atto di avviarsi verso le scale, o solo ne parlavano, si girava e li bloccava.

«Sss... staseeera! Quaaa... ando ciii sooo... no i fiii... liii rosss... si.»

Al quarto tentativo Alessandro desistette.

«Appena fa buio prepariamo le borse e partiamo, come vuole lui. Ormai ho capito che dobbiamo fidarci. Nella maniera più assoluta, non so a cosa si riferisca e di cosa parli, ma dobbiamo fare come dice.»

Silvia faceva sì con la testa. Lei sapeva a cosa si riferisse, solo che non le veniva in mente. Era come se nella sua mente fosse sorto un sole splendente, subito offuscato però da un sottile strato di nebbiolina mattutina, impalpabile eppure presente. Stava provando la stessa sensazione di quando riconosceva un attore in un film, ma non le veniva in mente dove l'aveva già visto. Il più delle volte andava a cercare su Google e sorrideva contenta quando il dubbio si dissolveva. Stavolta era diverso; sapeva che la nebbia non si sarebbe dissolta. La verità era lì, a un palmo da lei, ma non l'avrebbe raggiunta e sarebbe rimasta in quel limbo del "so, ma non ricordo" chissà per quanto. La filmografia dell'attore era davanti ai suoi occhi, ma le lettere erano offuscate, sbiadite, di fatto illeggibili. Era frustrante, umiliante, aveva voglia di piangere e urlare.

Vedeva Alessandro che parlava davanti a lei, ma si accorse che non lo stava ascoltando. Doveva dirglielo? Doveva rivelare a suo marito che aveva avuto un'improvvisa illuminazione di cui però non ricordava assolutamente nulla? Provò a concentrarsi.

«...mangiare e l'acqua. Dovremmo avere una cassa ancora da aprire. Che ne dici?»

«Scusa?»

«Ma mi ascolti? Sembri assente nell'ultima mezz'ora!»

«Ho un po' di mal di testa. Senti... tu sai dove abita questo de Simone?»

«No, ma so più o meno dov'è la FDS. L'azienda è chiusa da anni ormai, ma non credo sia del tutto abbandonata. Se lì non lo troviamo, almeno spero di trovare qualche informazione.»

«È un po' rischioso. Potremmo fare un giro a vuoto.»

«È l'unico piano che abbiamo.»

«E Fabri, la Cri e Matteo?»

«Allora non mi ascoltavi sul serio! Ti ho detto che appena usciamo andiamo a vedere come stanno. Sempre non siano riusciti a partire. Gli spieghiamo la situazione e li facciamo venire con noi.»

«E i miei? Tuo papà? Zia Carlotta? Barbara, Giulia, Stefano...»

Alessandro alzò le mani.

«Tesoro, non possiamo... Abitano tutti troppo fuori mano rispetto al nostro tragitto. È troppo rischioso. Non sappiamo nemmeno cosa c'è là fuori, cosa possiamo incontrare... Una specie di mostro ha distrutto Bologna, capisci? E quella cosa metallica che è entrata qui...» Rabbrividì. «Voglio portare Antonio al sicuro, prima possibile.»

Silvia cominciò a piangere e lui la cinse con un braccio. Avevano finito di fare l'amore da quanto? Mezz'ora? Aveva perso del tutto la cognizione del tempo... Ma la donna che stava stringendo in quel momento sembrava una lontanissima parente di quella che gemeva, nuda e sudata sotto il suo sguardo e che lo spronava a non fermarsi. E non assomigliava nemmeno a quella dietro cui si era sempre rifugiato, ogni volta che c'era da affrontare una discussione con qualcuno, retaggio di una vita alla quale era stato strappato tanti anni prima.

«Possiamo solo sperare che stiano tutti bene e sperare di rivederli quando tutto sarà finito. Non mi odiare per questo...»

Lei lo guardò. Aveva gli occhi rossi, iniettati di quel panico che penetra dentro un po' alla volta, lentamente, crescendo a dismisura man mano che passa il tempo.

«Non ti odio, amore mio. Ti amo da impazzire.»

Sapeva che lui aveva ragione, lo sapeva al cento per cento. Dovevano andare da de Simone, prima possibile. Il loro posto era là. Il perché... non riusciva a ricordarlo, ma doveva essere così.

Alessandro la strinse più forte, baciandole la cute che profumava ancora di pino silvestre, nonostante l'ultima doccia l'avesse fatta la sera prima.

«Dov'è la FDS?» chiese Silvia, staccandosi, tirando su col naso e sfregandosi gli occhi.

«In Trentino...»

Alessandro prese il telefono e accese lo schermo.

«Cazzo! Dimenticavo. Niente telefoni, niente internet.»

Si alzò e aprì l'armadio a fianco della porta del bagno. Cercò un attimo, rovistando nel caos che c'era all'interno.

«Ti ho detto mille volte di far pulizia lì dentro e cacciare via un po' di roba» disse Silvia.

Rovistò per qualche secondo, poi emerse con lo sguardo deluso, tornando sul letto.

«Cosa cercavi?» chiese lei, arrugando la fronte.

«Una cartina del Trentino Alto–Adige.»

«Ne abbiamo mai avuta una?»

«Mi pareva di sì. Ma forse mi sbaglio... Appena mi sono laureato ho fatto un corso di formazione specialistica a Trento. Volevo comprarne una il primo giorno perché avevo l'intenzione di fare delle escursioni nel tempo libero, ma considerando che non ho percorso neanche un passo, probabile non abbia comprato nemmeno la carta.»

Sorrise goffamente incassando la testa e il collo nelle spalle; a Silvia, solo per un attimo, parve di intravedere sul suo viso l'espressione solita che aveva Antonio.

«E quindi?»

«E quindi quando potremo andarcene...» sorridendo guardò il figlio che continuava a svolgere le proprie attività senza batter ciglio, «... ci fermeremo da qualche parte a prenderne una. Tipo al Gran Reno.»

«È proprio necessario?»

«Sì, Silvia. Questa azienda, oltre che per quello che produceva, era famosa per la sua posizione pressoché inespugnabile. Sta in una vallata nella quale si arriva solo tramite una ferrovia che, se non ricordo male, è privata.»

«Cioè, non ci sono strade che arrivano là?»

Alessandro fece no con la testa.

«E come facciamo allora?»

«Mi pare ci siano dei sentieri... Molliamo l'auto all'inizio di uno di questi e proseguiamo a piedi. Ma ci serve la cartina...»

«Com'è che sei così esperto su questa FDS?»

«Durante quel corso che ti dicevo, il relatore aveva accennato a una macchina molto innovativa per fare le risonanze magnetiche, una macchina creata appunto dall'FDS. Disse che poteva esserci la possibilità, solo per alcuni, di essere ospiti di de Simone e vedere questa sedicente meraviglia della tecnica. Nell'evenienza mi documentai, cercando su internet qualsiasi cosa riguardasse l'azienda. Non trovai moltissimo... Solo notizie scarne e vaghe.»

«E poi?»

«E poi... non se ne fece nulla. L'argomento non venne nemmeno più affrontato e non ho chiesto neppure il motivo.»

Concluse il racconto con lo sguardo piuttosto deluso.

«Quindi vuoi arrivare là a piedi... E Antonio?»

Lui la guardò aggrottando la fronte. «Antonio sa camminare, mi pare!»

«Dai! Sai cosa intendo...»

«Non chiedermi perché, ma credo che il nostro ragazzo sarà entusiasta di andare là.»

Aveva ragione! Anche adesso, Silvia sapeva che lui aveva ragione.

Era riuscita per un po' a placare gli sforzi di ricordare nemmeno lei sapeva cosa, ma adesso l'affannosa ricerca del motivo di tutta quella consapevolezza era ricominciata. A tratti le sembrava che la nebbiolina si diradasse e timidi raggi di sole sbucassero dalla coltre.

"Stiamo facendo la cosa giusta. Dobbiamo arrivare là... È la nostra unica speranza per..."

Ma di nuovo la nebbia calava nella sua mente, i raggi si smorzavano, il grigio riprendeva il comando.

"Io lo so il perché. Lo so... lo so..."

«Silvia? Stai bene?»

Lei aprì gli occhi. Alessandro la stava fissando, lo sguardo perplesso e forse, spaventato. Sentì le lacrime salire verso gli occhi in modo vertiginoso, ma riuscì a bloccarle. Non voleva di nuovo piangere davanti a lui, e questa volta senza che lui ne conoscesse il motivo; non voleva aggiungere altri pensieri ai tanti che già avevano.

«Scusa. È il mal di testa che aumenta...»

Si massaggiò le tempie per dare una parvenza di realtà a ciò che diceva.

«Ti dispiace se mi sdraio un po'? Visto il lungo viaggio che ci attende, preferisco riposarmi.»

«Certo, amore. Mi sdraio qui con te. Antonio sembra non avere bisogno di noi ora.»

"Ma noi ne abbiamo di lui!"

Il pensiero folgorò la testa di Silvia, mentre la posava sul cuscino. Si sentì d'un tratto orgogliosa, ma percepiva anche qualcos'altro, qualcosa di terribile e angosciante, annidato dietro a... cosa? A tutto questo tramestio di pensieri, di sforzi, di nebbia che nascondeva il sole, di fatica... tanta fatica...

«Appena si fa buio, partiamo. Nove e mezza, dieci al massimo» proclamò Alessandro.

Ma Silvia si era già addormentata. Sorrise e le baciò la fronte.

Diede un'altra occhiata ad Antonio, ancora impegnato nei suoi disegni, chiuse gli occhi e si addormentò anche lui.


Era un ronzio, ma diverso da quello delle api. Era più delicato, e più potente allo stesso tempo; era ipnotico, ma a tratti quasi sgradevole; era una commistione di tanti suoni diversi, fusi l'uno nell'altro come perfetti ingranaggi. Silvia riusciva a distinguerli tutti, a uno a uno. Sarebbe stata in grado di collocare ognuno di essi nell'esatto settore che gli competeva. C'era il rumore della falciatrice che taglia il prato; il rumore della catena di una bicicletta, quando si comincia a pedalare; lo sfogliare delle pagine di un libro; i singhiozzi ritmati e incontrollabili di una donna sola, seduta su una sedia in una cucina, con le mani posate sul ventre gonfio... Ma più di tutto c'erano i palloncini, i palloncini che scoppiavano. Erano migliaia, anzi milioni, tutti là, dentro a quel suono...

Guardava in alto, stupefatta, a bocca aperta; sentiva un moto d'orgoglio vibrarle nel petto, ma era terrorizzata. Il sole si oscurò per un momento, e l'ombra gigantesca si proiettò su di lei, sull'erba che calpestava e su ciò che aveva intorno. Dov'era? Non conosceva quel posto... ma era incantevole, celestiale, rassicurante...

Il ronzio la costrinse di nuovo a guardare in su. Il sole era tornato a splendere su di lei, ancora con lo sguardo fisso verso l'alto, consapevole di non poter fare nulla ormai; poteva solo sperare che il suo amore, lassù, tornasse da lei. Aveva qualcuno al suo fianco, qualcuno che provava i suoi stessi sentimenti.

Si voltò per vedere chi fosse, ma proprio in quel momento ci fu l'esplosione, e un bagliore di luce bianca si sparse ovunque. Silvia fu costretta a chiudere gli occhi mentre sentiva un dolore nascerle nel petto, crescere sempre più d'intensità e sempre più velocemente. Da sotto le palpebre percepiva la luce aumentare; anche senza guardare sentiva male agli occhi e un calore che l'avvolgeva tutta. Stava per morire, ne era certa, ed era quello che voleva, perché il dolore che aveva dentro non si poteva sopportare, non si poteva contenere e prima o poi sarebbe tracimato fuori e l'avrebbe fatta impazzire...

Contro il suo volere, aprì gli occhi.

Il cielo era giallo e arancione e rosso e sembrava vibrare del rombo che aveva appena scosso l'intera vallata...

«Mmm... Maaammmaaa!»

L'aveva perso per sempre e...

«Maaa... Maaammmaaa!»

Il suo tesoro, l'amore della sua vita...

«Ehi! MA...»

Silvia spalancò gli occhi.

Era nella tavernetta, ora buia, illuminata dalla fioca luce della lampada che aveva sul comodino. Antonio era in piedi a fianco del divano letto e la fissava sorridendo, con quel suo faccino irresistibile che spesso le faceva venire voglia di mangiarlo di baci.

«Tesoro, ma...»

Si guardò intorno un po' spaesata. Alessandro russava a fianco di lei.

«Che ore sono?»

Il ragazzino si strinse nelle spalle.

Silvia tastò il letto con la mano, finché non toccò il cellulare del marito. Accese lo schermo.

«MERDA!»

Si tirò su di scatto. Alessandro si svegliò di soprassalto, quasi urlando.

«È l'una e mezza!»

«Che?» L'uomo faticava a connettere.

La guardava, guardava Antonio, poi girando la testa vide la scrivania completamente sommersa di fogli, e ricordò.

«Cazzo! Ma quanto abbiamo dormito?»

Silvia era scesa dal letto e aveva preso per le spalle il figlio.

«Hai disegnato fino ad adesso?» Il ragazzino sorrideva e annuiva.

«Madonna, Antonio... Ma non hai sonno?»

Lui fece no con la testa.

«Po... Possiii... amo aaannndare ora.»

Alessandro stava già correndo di sopra.

«Prendi il tuo zaino e mettici dentro tutto quello che vuoi portarti via, Antonio. Capito? Potremmo anche non tornare mai più, qui.»

Il ragazzino continuava a sorridere e a fissare la madre. In quel momento i tristi effetti della sua sindrome si vedevano tutti e ogni volta, per Silvia, era un dolore al cuore.

«Aaann... diaaamo da Fraaa... aanco?»

Lo stupore provò a insinuarsi in Silvia, ma ormai aveva capito che suo figlio sapeva e vedeva qualcosa, e aveva deciso di accettarlo, sperando che presto ogni domanda avrebbe ricevuto la giusta risposta.

«Sì, tesoro. Andiamo da Franco. Lo conosci? Sai chi è?»

Di nuovo lui si strinse nelle spalle.

«SILVIA! VIENI AD AIUTARMI?»

La voce di Alessandro risuonò per tutta la casa e un improvviso brivido di paura la percorse. Era una buona cosa urlare in quella maniera? Se in giro ci fosse stato ancora quel coso che li cercava?

Antonio si girò e corse verso le scale. Si fermò sul primo gradino e la guardò.

«Vieee... vieni. Nesss... nessun periii... colo.»

Silvia spense la lampada e lo seguì, uscendo per sempre dalla tavernetta, teatro di tanti momenti piacevoli passati insieme alla sua famiglia. Non pensò di dare nemmeno un'occhiata ai disegni di Antonio, che rimasero sparpagliati tra la scrivania e il pavimento, dove nessuno li avrebbe mai ammirati.

Silvia non lo poteva sapere, ma in quegli scarabocchi, molto infantili, molto stilizzati, ma estremamente chiari, avrebbe trovato delle risposte; avrebbe visto qualcosa che avrebbe fatto diradare quasi del tutto quella sottile nebbiolina mattutina...

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