The day after
Erano infatti passate meno di 24 ore: Elena era di turno, doveva lavorare. Cominciò infatti a fare le solite cose: spazzare, spostare sedie e tavoli, lavare a terra, i bagni, i tavoli, i vetri, preparare tutto l’occorrente per accogliere i clienti, riempire una pentola d’acqua calda per poterla rovesciare nel lavandino e lavare i bicchieri, occuparsi della sala, delle birre e dei clienti che, numerosi, si presentarono lì.
Quando l’uscio della taverna si aprì per l’ennesima volta e udì quella buffa voce a lei tanto familiare, il suo cuore ebbe uno sbalzo di felicità. Si voltò con tutta la gioia di cui era piena, e gli andò incontro, abbracciandolo. Lui fu felice di vederla, e ricambiò l’abbraccio.
Dopo qualche ora, si presentarono alla taverna delle amiche in comune, che recarono con loro una ragazza che entrambi conobbero qualche settimana prima. Elena non sapeva molto di lei, se non che frequentava da alcuni giorni la comitiva di Vittorio, e che era una di quelle signorine borghesi, benvestite, sicure di sé e particolarmente "emancipate", dagli occhi belli, maliziosi e spenti. Lei aveva tutto ciò che purtroppo Elena non possedeva: ossia quella leggerezza d’animo che non ti faceva provare scrupoli in nulla, e quella furbizia atta a impadronirsi di qualunque cosa. I movimenti decisi e sensuali di lei lasciavano trasparire una conquista ormai data per scontata, dovuta, imposta.
Al vederla, infatti, Vittorio spostò tutte le attenzioni su quella donna. Elena capì che tra i due c’era già qualcosa, e che lei era di troppo. Di Elena, così desiderabile fino al giorno prima, così bella, così ispiratrice di fiducia, di baci, abbracci, di “mi piaci”, “ti voglio bene”, “ti voglio conoscere”, non rimase che una figura evanescente, un involucro vuoto, una ruota di scorta sfumata nelle nebbie dell’alcool e della superficialità.
Cercò inutilmente di raccontarsi che si stava sbagliando, che Vittorio era lo stesso ragazzo sensibile, triste e dolce che aveva conosciuto cinque mesi prima, lo stesso che, solo la sera prima, le aveva donato attimi stupendi. Capì dopo poco di essersi sbagliata, specialmente quando si accorse che lui faceva di tutto per evitarla pur di flirtare con quella donna.
Rabbia e paura cominciarono ad impadronirsi di Elena, la quale realizzò che non avrebbe potuto farci niente. Attese tutta la serata che accadesse quello che lei temeva, mentre guardava Vittorio rivolgere all'altra gli stessi sguardi, le stesse attenzioni che aveva riservato a lei solo la sera prima.
Quando Vittorio baciò la sua nuova e fiammante concubina, sancendo con quel bacio una frequentazione che lei, e solo lei, era degna di ricevere, la nostra cameriera di rese conto di essere, per l’appunto, una serva, una sguattera. Elena era di quel mestiere che, nell’immaginario collettivo tipicamente maschilista (nonostante la contemporaneità) è vicino più di tutti alle puttane, perché recava in se il grave peccato del lavoro notturno tra i tavoli di una taverna malfrequentata. Elena era inoltre solo una squattrinata che parlava di poesia, di sentimenti e racconti, di Kant e di Chesterton. Era una giovane operaia, una di quelle con le mani screpolate e la schiena dolorante, dal viso sorridente ma triste, intriso di una vita che ti è passata addosso e che non ti ha risparmiato in niente. Era di quelle donne abituate a sacrificare tutto e a sudare pur di ottenere cose anche minime, e si sa che quando vivi in queste condizioni nulla ti è dovuto, tutto devi chiedere, anche le attenzioni di chi ami. Non poteva pertanto permettersi la vita spensierata di chi, a differenza di lei, con le sue grasse, rumorose risate, i suoi costosi vestiti attillati e la sua sicurezza disarmante, poteva ottenere tutto. Perché avere una vita facile rende facile la vita stessa, si sa.
Tutto ciò che Elena provò fu un profondo senso di vuoto, come se qualcuno le avesse scavato dentro, privandola della sua umanità. Era una cosa. La sua storia non era molto dissimile da quella di una protagonista di un film d’amore di second’ ordine, in cui doveva servire il padrone per il quale si sarebbe gettata nel fuoco, intanto che lui, ignaro del fatto che anche una serva ha un’anima, si dilettava con le sue donne “importanti” e “degne”, mentre quell’essere inutile toglieva via i loro bicchieri vuoti.
La povera Elena, armata solo della sua ingombrante purezza, capì che non avrebbe potuto mai sperare nulla da lui, e che l’inganno sa avere uno sguardo dolcissimo e lucido. Lo perse quella sera stessa. Quando finalmente si ritirò a casa, lasciando Vittorio fiero e trionfante della sua nuova conquista, non chiuse occhio tutta la notte. Non pianse, sentì solo l’acqua che sgorgava dal petto, e faceva male.
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