Il re di ghiaccio

La casa di Chris e Aaron era esattamente come Dennis si aspettava: un piccolo bilocale completamente invaso dal caos.

C'era un forte odore di erba mischiato a sudore, profumo da donna e cibo bruciato. Quello che avrebbe dovuto essere il divano, era diventato una massa informe piena di vestiti sporchi e spiegazzati, contenitori di plastica di cibo da asporto, sacchetti di patatine e altra immondizia.

Anche la cucina, unita al salotto con un open space e fornita di isola di marmo bianco, era piena di sacchetti, lattine vuote, contenitori e bottiglie di plastica schiacciate, oltre a pile di piatti sporchi abbandonati nel lavandino.

La camera da letto, raggiungibile tramite un corridoio pieno di foto dei due ragazzi, sembrava un campo di battaglia, con un letto disfatto e lenzuola che non venivano cambiate da anni probabilmente, vestiti appallottolati in ogni angolo e una scrivania che invece di sembrare tale era solo diventata un altro appoggio per altra spazzatura.

Il bagno, posto di fianco alla camera, sembrava l'unica stanza messa bene e curata, ad eccezione della doccia incrostata e della tavoletta del water che si stava staccando dal sedile.

Che fosse l'abitazione di Aaron, Dennis non lo mise in dubbio, ma che ci avesse vissuto seriamente anche Chris era quasi difficile da credere. Suo padre era rimasto appena all'ingresso, bloccato da tutto quel disordine inimmaginabile, e si riscosse solo nel momento in cui vide Dennis tornare verso di lui con una faccia a dir poco disgustata.

«Ma stiamo scherzando?»
«Temo di no.»
«E loro due sono davvero convinti di riuscire a completare un affare? Con la casa in queste condizioni?»

Dennis alzò le spalle e, facendo un cenno col capo, gli disse: «E non hai ancora visto tutto, ti consiglio di non entrare in camera da letto.»
«Non ci penso proprio sai? Direi che la mia ispezione si ferma qui. Mi racconterai tutto strada facendo. Sai una cosa? Meglio che non si siano presentati, altrimenti gli avrei tirato le orecchie, che mancanza di rispetto.»

***

Tornato a casa sua, Dennis aprì il portatile e come suo solito andò a sbirciare sul profilo Facebook di Aaron qualche informazione in più.

Nel ripensare ai tempi delle medie, al ragazzo iniziò a salire un forte odio bollente, ma non per il modo in cui trattava gli altri compreso il suo ragazzo, ma proprio per l'arroganza con cui esercitava questa sua voglia di comandare. E per marcare di più il territorio, aveva pure mancato di rispetto a suo padre, facendogli trovare la casa in quelle condizioni pietose.

Dennis aveva gli occhi in fiamme, fissava la foto profilo di Aaron e sentiva una voglia matta di rompere lo schermo del PC, dividendo in tante parti quel volto da idiota strafottente che aveva.

Anche finito l'incontro, prima di lasciarli vedere la casa in santa pace, si era rivolto sia a lui che a suo padre in un modo che, se non ci fosse stato nessuno, lo avrebbe fatto volare giù dalle grandi finestre.

«Hey vecchio, rilassati.» aveva cominciato quando James stava elencando cosa necessitava la casa per avere un prezzo soddisfacente, «Vendete case sai? Sopratutto ai disperati squattrinati, l'elenco puntato puoi anche risparmiartelo.»
«Signor McKain, sto solo facendo il mio lavoro per farvi intascare una quantità di soldi accettabili, altrimenti l'affare salta.»
«Poche chiacchiere e metti subito un annuncio, quella casa la vendi e basta capito? Poi coi soldi ricavati fateci quello che volete. Io non li voglio.»

Se ci ripensava, Dennis ricordava perfettamente quel disgusto che gli era salito su dallo stomaco. Come lavoro nemmeno a lui piaceva vendere case, ma era l'attività che suo padre si era sudato fin da giovane, ed era anche il lavoro che permetteva a Dennis di vivere da solo senza troppi pensieri.

Non esisteva che qualcun altro gli dicesse cosa fare. Se doveva descriverlo, oppure paragonarlo a qualcosa, Aaron era come il fuoco, bruciava tutto e non lasciava niente, nemmeno si trascinava un minimo di buonsenso o vergogna. E quel fuoco così violento e arrogante Dennis doveva e lo avrebbe spento.

Mentre usciva dai suoi folli e crudeli pensieri, i suoi occhi si strizzarono su un post in particolare dove Aaron stava bevendo un cocktail che buttava fuori dello strano fumo, e gli sembrò strano perché i drink di solito sono freddi, non caldi.

Cliccò sulla foto e lesse quello che c'era scritto: il ragazzo parlava di quanto fossero buoni i cocktail fatti con l'azoto liquido, di quanto adorasse che producevano quel fumo quasi magico e di come, secondo lui, fossero al pari di una religione da venerare.

Dennis non aveva mai sentito parlare dell'azoto liquido, così andò su internet e fece qualche ricerca fondamentale.

Quando lesse che l'azoto liquido congelava all'istante tutto quello che toccava, sul suo volto comparve forse il più diabolico dei suoi ghigni, immaginando già di gettare quella strana sostanza sul corpo di Aaron trasformandolo in una statua di ghiaccio.

La fine di un falso sovrano che credeva di avere il mondo ai suoi piedi.


***

Dennis passò ore e ore quella sera davanti al portatile. Guardò interi video su come maneggiare l'azoto liquido, leggendo articoli al riguardo e infine facendo una rapida ricerca su dove trovarlo.

Scoprì che al “Shadows Drink”, uno dei locali citati su web, utilizzava l'azoto liquido per fare i loro cocktail speciali del fine settimana, e che quindi avevano una vasta conserva di bombole.

Di solito il “Shadows Drink” apriva verso le 19.00 e chiudeva alle 3.00 del mattino circa, ma in quel periodo sarebbe rimasto chiuso per questioni di manutenzione agli impianti stereo nella sala da ballo e anche per ristrutturazione nelle aeree meno nuove del locale.

Questo significava anche che i ragazzi più imbecilli del Tennessee sarebbero entrati per fare casino, e sopratutto ci sarebbe entrato Aaron, dato che era una vera e proprio calamita per i guai.

Quella sera, Dennis uscì verso le 21.30 e andò dritto al locale. Aveva cercato su internet l'indirizzo e la strada più rapida e isolata da percorrere, così si era ritrovato a camminare tra i vicoli nascosti delle palazzine dove a volte gli tagliava la strada un topo, un gatto randagio o colpiva per sbaglio qualche coperchio dei bidoni della spazzatura.

Non era una strada molto indicata da percorrere da soli, ma si rivelò anche il percorso più veloce e infatti in pochi minuti si ritrovò davanti alle porte dello “Shadows Drink” con l'insegna spenta e le piante secche per la mancata annaffiatura.

Dennis si avvicinò a passi felpato al locale, che era esattamente come tutte le discoteche del mondo, e guardò le finestre buie, i gradini impolverati e i cespugli secchi che di notte sembravano mani di mostri con le dita affilate. A quella vista non potè non sorridere, quei cespugli sembravano proprio le sue dita: secche e lunghe, mani piuttosto singolari per un ragazzo.

Fu allora che sentì qualcuno giungere alle sue spalle, ma non dovette nemmeno voltarsi perché la voce che sentì gli bastò per capire chi fosse: «Hey bello, ma cosa fai qui a quest'ora? Vuoi divertirti un po'?»

Dennis si girò lentamente, quasi dondolando sul posto, con un sorriso tirato coi pezzi di spago in faccia. Occhi più stretti che mai a fissare il nuovo arrivato. Aaron si avvicinò di più per vederlo meglio, vicino a loro non c'era neanche un lampione: «Ah! Ma tu sei quello dell'agenzia immobiliare! Allora avete anche voi una vita!»

«Avevi dubbi?»
«Diciamo di sì. Tutti quelli che lavorano, Chris compreso, sembrano così tristi e stanchi. Sono sorpreso.»

Dennis non rispose, rimase in silenzio e in attesa di qualche cambiamento.

«Be', entriamo allora? Nessuno sorveglia mai questi cantieri. Ci facciamo un drink all'insaputa di tutti?»
«Dopo di te.»

Una volta entrati, per la seconda volta in poco tempo, Dennis non rimase sorpreso: il locale all'interno era esattamente uguale a tutte le altre discoteche. C'era il bancone del bar con tutti gli alcolici dietro, esposti in bella vista, qualche tavolino e poltroncine, i servizi con le porte quasi scardinate e la pista da ballo con le casse e la console del DJ.

Non era comunque un bel vedere visto che metà dell'edificio era in ristrutturazione, perciò mancava buona parte del pavimento, parte della carta da parati e del muro e su tutti i tavoli e le poltrone era stata stesa della plastica protettiva.

Anche nelle zone del pavimento non toccato era presente la stessa plastica che scricchiolava sotto i loro passi.

Dennis si guardò intorno, alla ricerca del magazzino dove tenevano le bombole di azoto liquido, ma rimase comunque attento a non perdere di vista Aaron che stava già correndo verso il bar. Il ragazzo scavalcò con un balzo il bancone e afferrò due bottiglie di Gin avidamente, poi prese una bottiglia di Tequila vuota a metà e un altro alcolico ancora di colore ambrato che Dennis non riuscì a riconoscere per via che mancava l'etichetta.

«Questo è il paradiso!» gridò Aaron stappando la bottiglia dell'alcolico ambrato, «Hai idea di quanti soldi fanno con questa roba? E io la sto bevendo gratis! Ne vuoi un po'?»
«Non troppo, devo tornare a casa.»
«Sei venuto in macchina? Non ho visto auto al parcheggio.»
«Anche i piedi servono per tornare a casa.»

Aaron scoppiò a ridere per la battuta di Dennis e prese due bicchieri grossi e larghi dove versò da bere. Offrì un bicchiere al ragazzo e glielo picchiettò col suo in segno di brindisi. Aaron lo mandò giù in un sorso solo mentre Dennis si bagnò appena le labbra.

Quando l'anno scorso era diventato maggiorenne aveva finalmente potuto bere il suo primo sorso di Whisky, e fu allora che si rese conto che il sapore degli alcolici non era di suo gradimento. Non rifiutava mai un bicchiere se lo chiedevano, ma non ne aveva mai svuotato uno.

Mentre osservava ad occhi strizzati Aaron da sopra il bordo del bicchiere, Dennis lì leccò le labbra sopra l'arco di cupido, assottigliandole tantissimo. Poi appoggiandolo sul bancone, tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni i guanti da elettricista che aveva portato da casa e andò in silenzio verso il magazzino.

Quando entrò sentì una piccola arietta fresca solleticargli la pelle del collo, delle guance e delle braccia. Trovò la scorta di azoto liquido alla sua destra.

Tornò successivamente con una bombola ancora chiusa e, posandola sul bancone, chiese con un'espressione compiaciuta: «Tu non ti ricordi di me vero?»

«Sei il ragazzo dell'agenzia immobiliare no? Ci siamo visti... quando? Stamattina?»
«Sì, ma non solo, anche in passato. Abbiamo fatto le medie insieme.»

Aaron lo guardò interrogativo, cercando di fare mente locale. Si versò un altro bicchiere mentre rifletteva sui nomi dei suoi compagni di scuola, ricordi difficili da recuperare tutti considerato che erano passati ormai dieci anni.

«Ricordami come fai di cognome?»
«Logan.»
«Logan... Logan...» lo guardò facendo sporgere il labbro inferiore, poi come scosso da un taser urlò: «Aspetta! Ma sì dai, sei quello con la faccia da sadico! Quello che strizza gli occhi!»

Dennis fece un cenno lieve col capo, come a dire che aveva indovinato. Aaron bevve anche il suo secondo bicchiere, poi guardò finalmente la bombola di azoto liquido che Dennis aveva portato al bancone, chiedendo cosa ci volesse fare.

Il ragazzo diede una risposta vaga, come se ci dovesse ancora pensare, ma nel mentre che parlava si mise i guanti e camminò verso Aaron che, titubante, abbassò il bicchiere bagnandosi appena le labbra.

«Hey che hai adesso? Sei diverso.»

Dennis si fermò davanti a lui, senza rispondere, strizzando i suoi occhi fino a farli diventare sottilissimi. Poi allungandosi e prendendo il suo bicchiere, lo spaccò sulla fronte di Aaron che urlò, allontanandosi da lui.

Dennis prese anche il secondo bicchiere e lo lanciò nella sua direzione, ma Aaron, sicuramente spinto da un forte senso di sopravvivenza, schivò il colpo inciampando e scivolando sulla plastica sopra il pavimento. Dopo i bicchieri volarono la bottiglia di Gin, la bottiglia di Tequila e la bottiglia dell'alcolico color ambra che si frantumarono al terreno schizzando schegge ovunque.

Aaron corse verso il lato opposto al bancone premendo con una mano la ferita alla fronte che Dennis gli aveva inferto, gocciolando sangue dovunque. Il suo aggressore lo seguiva con passi lenti ma decisi, molto allungati, per coprire maggior terreno in meno tempo e infatti non ci mise molto a raggiungerlo. Aaron perse per poco tempo l'equilibrio, ma si ricompose subito: «Cielo amico, devi farti curare! Sei proprio malato!»

«Davvero?»

A quel punto, con uno scatto fulmineo, Dennis agguantò la bombola di azoto liquido e lo colpì con l'angolo del fondo alla spalla, facendolo cadere al terreno.

Gli salì sopra sedendosi sul suo petto e lo colpì alla testa con la stessa bombola provocandogli una bruciatura istantanea alla guancia che lo fece rantolare al terreno, impedendogli così di vedere o capire cosa stava per succedere dopo.

Era proprio per questo motivo che bisognava maneggiare la bombola coi guanti.

Dennis si rialzò e riappoggiò la bombola sul bancone, la aprì e, ritornando con un ghigno spaventoso verso la sua preda, gli allontanò la mano posata sull'ustione e con un calcio per poi subito dopo, rovesciargli il contenuto della bombola sulla faccia.

Forse anche Aaron conosceva bene quello che poteva fare l'azoto liquido, e infatti nel momento in cui vide la bocca della bombola cadere verso di lui, iniziò a gridare e implorare Dennis di fermarsi, ma non venne ascoltato. L'azoto liquido cadde come una gelida cascata sul suo viso e nella sua bocca congelando all'istante la sua espressione terrorizzata.

Dennis sparse un po' di liquido anche sulle sue mani che si congelarono subito e poi gettò via la bombola, lontana, in un angolo per ammirare la maschera di ghiaccio che Aaron aveva in volto, con gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata. Ma non si muoveva già più.

Dennis andò a prendere altre due bombole e finì il lavoro, trasformando il suo corpo in una statua di ghiaccio sdraiata sul pavimento. Grattò con uno dei pezzi più grossi di vetro delle bottiglie una parte di ghiaccio per toglierla dalla pelle e incidere sopra la sua firma caratteristica.

Infine, prima di lasciare il locale, prese il cellulare di Aaron che era caduto quando cercava di scappare da lui, e gli scattò una foto che poi mandò a Chris. Poi, lanciò il telefono sopra il corpo di Aaron e uscì dal locale, togliendosi i guanti da elettricista e gettandoli in mezzo ai cespugli, tornando a casa percorrendo lo steso vicolo che lo aveva portato fino a lì.

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