Capitolo 7
"Proiettili blu
fischiano nella notte:
incomprensioni."
L'autunno passò in un battito d'ali, seguito a sua volta da un inverno mite e temperato.
La primavera stava per fare capolino, ricoprendo i terreni di fiori sgargianti e profumati come girandole stese al cielo.
La primavera, si sa, è la stagione della rinascita e anche quello che sembrava perso può tornare a nuova vita, figuriamoci per una giovane coppia di innamorati.
Questo era stato il mio pensiero per tutta la durata dell'inverno, amavo Ginevra e mi sentivo davvero felice in quella casa con lei, nonostante avessimo ogni tanto anche noi i nostri battibecchi: le piccole incomprensioni date dalla quotidianità.
Nelle ultime settimane il lavoro al frantoio era stato più impegnativo del previsto, c'erano stati alcuni guasti e quando tornavo a casa la sera ero distrutto. Una notte Ginevra si avvicinò a me, accarezzandomi una spalla, io provai l'istinto di voltarmi, ma la stanchezza del giorno di lavoro mi travolse e mi abbandonai al sonno.
Non era la prima volta che questa cosa accadeva, ma pensavo che lei riuscisse a capirmi, le avevo parlato di quanto il lavoro fosse diventato stressante nelle ultime settimane e lei non mancava mai di incoraggiarmi.
La sera seguente, però, quando tornai da lavoro, la trovai seduta al tavolo della cucina con un'espressione rabbuiata, voleva parlarmi.
Improvvisamente mi disse che mi trovava cambiato, aveva l'impressione che non le riservassi le attenzioni di prima e che avessi la testa altrove.
La testa altrove ce l'avevo veramente: come le avevo ribadito più volte in quei giorni, ero preoccupato per il lavoro al frantoio, ma questo non significava che lei fosse diventata meno importante per me, anzi, le mie preoccupazioni riguardanti il lavoro erano incentrate anche sul riuscire o meno a mandare avanti la nostra casa.
Sul momento titubò, poi disse che mi credeva e ci riappacificammo, facemmo l'amore come se fossimo di nuovo immersi in quel lago dalle acque cristalline e tutto il malcontento fosse stato spazzato via.
Diverse settimane dopo, una sera rincasai prima da lavoro. Andai in cucina con passo felpato per fare una sorpresa a Ginevra, quasi certo di trovarla in casa, in quanto il sabato staccava da lavoro subito dopo pranzo. In cucina non c'era nessuno, mi affacciai nel corridoio e vidi che tutte le porte erano chiuse eccetto quella del bagno e capii che si trovava lì.
Tornai in cucina ad aspettarla e mi accorsi che su una sedia c'era il suo telefono col display ancora acceso.
Nonostante ogni fibra del mio corpo mi dicesse che stavo per fare una cosa sbagliata, mi sporsi verso lo schermo e vidi un messaggio: era indirizzato a un certo "Luigi". Non riuscii a non leggere.
"Anche io tutto bene anche se con Francesco le cose potrebbero andare meglio. Ultimamente lo sento un po' distante e temo che inizi a darmi per scontata. A volte mi manca un po' Londra e mi piacerebbe rivederti. L'ultima volta eravamo"
Il messaggio terminava così, era chiaramente incompleto, ma per quanto mi riguardava sarebbe potuto finire anche a "mi piacerebbe rivederti", per me era già tutto chiaro.
Non appena Ginevra uscì dal bagno e mi trovò seduto ad aspettarla col suo telefono in mano, avvampò, le mostrai il display con l'sms in bella vista e le chiesi spiegazioni.
Lei si alterò, non l'avevo mai vista così arrabbiata, disse che non mi doveva alcuna spiegazione che al massimo ero io a doverle spiegare perché avessi preso il suo telefono di nascosto e avessi letto i suoi messaggi.
Io le scandii le parole dell'sms ad alta voce, lei si infuriò ancora di più e disse che se non avevo fiducia in lei era inutile andare avanti e che forse era stato un azzardo andare a vivere insieme tanto presto.
Quelle parole colpirono il mio cuore come proiettili, sentii il mondo crollarmi addosso e se pensavo di aver raggiunto il fondo dopo aver letto quel messaggio, con quelle ultime parole mi ritrovai a raschiarlo e una voragine nera sembrò aprirsi sotto ai miei piedi pronta a divorarmi.
Mi divincolai. Non volli cadere in quella pozza oscura senza prima aver tentato di parlare con calma con Ginevra.
Eravamo entrambi troppo arrabbiati, glielo dissi, ma lei sembrò non udire una parola, si voltò di scatto e la vidi sparire nel corridoio, sentii che aveva appena acceso l'abat-jour di camera nostra, per un attimo un brivido mi percorse la schiena e temetti di vederla riapparire di lì a poco con una valigia in mano, invece, tornò dopo qualche secondo con un cuscino e una coperta tra le braccia.
"Stasera dormo sul divano", furono le parole lapidarie che uscirono dalla sua bocca come una sentenza inappellabile.
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