Deniel - L'Alpha è in calore
Arrivai in ufficio solo nel pomeriggio mentre il team pubblicitario era ancora impegnato in sala riunioni con il cliente di Lancome.
Ne ero certo perché appena varcata la porta girevole dell'ingresso avevo annusato l'aria con cautela, terrorizzato, già pronto al peggio. L'odore di vergine che temevo di sentire si era già disperso nell'aria, spazzato via dal climatizzatore e assorbito da un vago sentore di tabacco, sudore e deodoranti di varie marche.
E ne ero certo anche perché sul cellulare lampeggiavano una trentina di messaggi arrivati nel corso della mattinata e a cui non avevo rivolto alcuna attenzione. Sapevo di chi fossero senza nemmeno aver bisogno di guardarli: Connor!
Come rappresentante legale e socio maggioritario dell'azienda avrei dovuto presiedere alla riunione ma avevo disertato questo impegno a seguito della nottata di merda trascorsa a correre nei boschi. Avevo ancora addosso l'odore pungente del muschio e alcuni rimasugli di terra sotto le unghie benché avessi strofinato le mani sotto il getto bollente della doccia per quarantacinque minuti.
La mutazione era iniziata spontaneamente verso la mezzanotte, accelerata dall'eco lontano degli ululati delle lupe entrate nel periodo del calore. Era un richiamo a cui come uomo potevo benissimo resistere ma a cui di certo la bestia dentro di me non poteva opporsi.
I loro lamenti erano saturi di frustrazione, libravano nell'aria come dita invisibili che attiravano ogni maschio libero presente sul territorio. Anche il lupo più mansueto ne veniva soggiogato, subendo una trasformazione sia emotiva che fisica, finalizzata dal bisogno viscerale di accoppiamento. Non si trattava di mera libido, bensì del desiderio innato di garantire il perpetrare della specie.
Per le nostre femmine le pulsazioni sessuali erano più facili da gestire, essendo prettamente legate all'ovulazione, ma per noi maschi era diverso. In noi il livello di testosterone era costantemente alto in quanto per retaggio evolutivo dovevamo essere sempre pronti a fecondare una femmina. Per questo la bestia nascosta dentro di noi, in questo determinato periodo, non poteva essere dominata né dalla razionalità né da quella piccola parte umana che ci caratterizzava.
Solo chi di noi si era già congiunto con la propria compagna riusciva a resistere a tale richiamo, assumendo la capacità di innescare e disinnescare ogni impulso sessuale verso le altre femmine.
Avevo vagato ai piedi della montagna Eagle, zigzagando disperato tra i vari alberi, graffiando i tronchi e pisciando ovunque per marcare il territorio. Nessuna lupa avrebbe avuto la tracotanza di entrare nel mio terreno senza prima essere invitata e questo mi aveva consentito di non possederne due o tre prima delle luci dell'alba. Ne avevo un disperato bisogno ma l'imprinting mi imponeva una fedeltà verso Becky che tolleravo a stento.
Ogni parte del mio corpo tremava ancora, l'erezione dolorosamente schiacciata nella patta dei jeans pulsava da ore per essere liberata, la bestia dentro di me ruggiva ancora, sgomitando per liberarsi e correre verso la prima femmina, licantropa o umana che fosse, per fecondarla.
Mi passai una mano tra i capelli, spostando il ciuffo dalla fronte che continuava a sfuggire dall'elastico e mi lasciai cadere sulla sedia dietro la scrivania. Digrignavo i denti così forte che il respiro mi usciva a scatti, come dopo aver corso per chilometri. Dovevo darmi una calmata. Dovevo riacquistare il controllo. Dannazione!
Con un gesto brusco della mano scagliai a terra la cartellina gialla posta al centro della scrivania e questo decretò la mia condanna. Una folata di profumo, lieve e allo stesso tempo doloroso, fluttuò invisibile verso le mie narici, penetrandole come lame roventi.
Quella cartellina apparteneva a Becky. Era rimasta per giorni sulla sua scrivania ore intere immersa nelle proprie cose personali. Becky aveva toccato quella cartellina un miliardo di volte, e fintanto che era rimasta ferma sulla scrivania, il profumo di rose era rimasto immobile, stabilizzato sulla carta. Con l'urto però, il profumo si liberò dalle catene della filigrana e si disperse in una tormentosa sevizia.
Per riflesso le iridi iniziarono ad ardere e sentii chiaramente i canini allungarsi. Arricciai il labbro superiore, scoprendo le fauci come se quella ragazzina fosse davanti a me, pronto a marchiarle la pelle.
"Per la puttana, Deniel! Calmati". Dimitri corse verso di me, afferrandomi per la spalle in modo da farmi voltare verso di lui.
"Dov'è?", ringhiai a voce talmente bassa, dal profondo del diaframma, che solo l'udito di un licantropo avrebbe potuto decifrare le sillabe.
"Ascoltami Deniel, devi mantenere il controllo. Tira un profondo respiro. Devi respirare piano, con la bocca".
Completamente accecato dalla rabbia lo acciuffai per il bavero della giacca e lo scagliai lontano da me. I suoi piedi si staccarono dal pavimento e un attimo dopo la sua testa si schiantò contro la porta a vetri, frantumandola. Una pioggia di schegge esplose in avanti, roteando al centro dell'ufficio prima di sparpagliarsi sul pavimento.
"Dimmi dove cazzo è quella femmina!", tuonai, afferrando la sedia e scagliandola alla mia destra.
Questa volta fu il turno della mensola di finire in frantumi. I libri che vi erano posati sopra caddero uno sopra l'altro e alcune copertine vennero letteralmente trafitte dai pezzi distrutti di alcune mensole. Un paio di viti rotolarono accanto ai miei anfibi.
"Se te la portassi qua ne uscirebbe in un sacco nero", tentò di farmi ragionare. Posò una mano sul ginocchio per sollevarsi. Alcuni pezzi di vetro gli erano rimasti conficcanti nel polpaccio e a poco poco si stavano tingendo di sangue. Accanto ai suoi piedi c'era una pozza di sangue scuro, una più piccola sul ripiano della stampante. "Ora cerca di calmarti e vai in bagno a farti una sega. Non ti porterò qui quella umana".
Puntai gli occhi rossi su di lui e di riflesso alcune pagliuzze dorate cominciarono ad allungarsi lungo le sue iridi, segno che si stava sottomettendo.
"Non osare metterti contro l'Alpha", minacciai.
"Fratello", mormorò cauto, allungando le mani in avanti a mo' di difesa. "Non sei nelle condizioni di poterle stare accanto in questo momento. Sappiamo benissimo cosa hai intenzione di farle, ma è un'umana. Una vergine. Credi davvero che il suo corpo non soccomberà sotto la tua brutalità? Sarà la tua bestia a possederla e il tuo lato umano resterà inerme a guardarti mentre la farai a pezzi".
Strinsi le mani in pugno e lo raggiunsi con due lunghe falcate, bloccando il mio volto ad una spanna dal suo. Dimitri abbassò lo sguardo di riflesso, seguendo il naturale istinto di sottomissione, eppure la sua espressione restò implacabile, ferma nella decisione di opporsi con tutte le sue forze a questo mio desiderio impellente.
Senza alcun avvertimento lo colpii alla mascella e la sua testa scattò all'indietro. Lo sostenni acciuffandolo per la nuca e di nuovo lo colpii, guadagnandomi un'escoriazione sulle nocche che si rimarginò pochi istanti dopo.
"Dimmi dove cazzo è quella donna!", gli urlai in faccia, talmente vicino da non riuscire a distinguere nettamente i tratti del suo volto. "Dimmelo!".
I suoi occhi gialli brillarono di ostinata caparbietà e si iniettarono di sangue quando lo colpii per la terza volta.
"Reagisci perdio!", sbraitai, scuotendolo.
Dimitri voltò la testa di lato e sputò del sangue. "Non mentre sei in queste condizioni. Fatti una sega e ne riparliamo".
"Fanculo".
Una fitta al basso ventre, una dozzina di volte più violenta delle precedenti, mi mozzò il respiro, indolenzendomi le cosce. Mi chinai in avanti, sorreggendomi con una mano alla spalla di Dimitri che prontamente irrigidì i muscoli della schiena per sostenere il mio peso. L'erezione scalpitò in avanti, spinta dal frustrante bisogno di essere domata, e irradiò dei crampi al centro dello stomaco.
"Merda!", biascicai in un gemito di virile disperazione, a metà tra un'oscura supplica e un mugolio di dolore.
Privo di ogni energia mi lasciai cadere sulle ginocchia, accasciandomi sul pavimento, in posizione fetale. La tempia sbatté sulle piastrelle ma non percepii alcun dolore. A stento avevo coscienza delle braccia di Dimitri che mi scuotevano.
"Devi respirare, Deniel. Fai tre lunghi respiri. Concentrati sul tuo respiro", la voce era lontana, un lamento basso e stridulo che si mescolava tra il dolore sconvolgente.
Il fuoco nell'inguine aumentò, lanciandomi stilettate nei testicoli, facendo ribollire il mio seme. Quindi crebbe ancora, fino a superare qualsiasi percezione dolorosa che avessi mai provato, raggiungendo un apice che un umano qualsiasi non avrebbe mai potuto fisicamente sopportare. Ero tramortito, vagamente consapevole di ciò che stava accadendo attorno a me, il mio cuore galoppava in agonia verso il disperato desiderio di cessare di battere .
Tossivo il respiro fra i denti mentre avvinghiavo le braccia attorno al mio corpo e mi contorcevo sul duro pavimento, scosso da spasmi epilettici. Mi morsi inavvertitamente la lingua e il sapore metallico del sangue mi scivolò in gola, strozzandomi quasi.
Fu quello a calmare l'incendio. Il sangue.
Il ronzio nelle orecchie si placò pian piano, gli oggetti tornarono ad assumere le proprie sembianze, le pupille si contrassero un paio di volte, mettendo a fuoco il contorno del viso di Dimitri.
Inginocchiato al mio fianco mi assisteva impotente, lo sguardo colmo di reverente rispetto e solida comprensione: ero ufficialmente e totalmente entrato nel calore.
Mi concessi un respiro più lungo e l'aria raggiunse i polmoni senza trovare ostacoli, segno che il peggio era passato. Sentivo il membro pulsare come dopo un orgasmo poderoso, ma almeno lo scroto non formicolava più e l'inguine si era liberato dalla stilettante morsa di dolore causata da un sovraddosaggio di testosterone.
"Va meglio?", indagò comprensivo.
Annuii. Alzai un braccio e artigliai le dita sul suo bicipite, quindi feci leva e mi sollevai su un gomito. La debolezza mi fece barcollare ma con un altro lungo respiro ripresi il totale controllo di me stesso.
"Te la sei vista brutta, fratello", commentò, abbassando il volto per osservarsi la camicia strappata e sporca di sangue. L'ematoma che gli avevo lasciato sullo zigomo non accennava a riassorbirsi. "Cazzo... ci sei andato giù pesante, eh...".
"Mi dispiace fratello". Sebbene provassi un barlume di senso di colpa non ve ne era traccia nel tono che usai. Ogni emozione era ancora tenuta sotto scacco dal bisogno impellente di accoppiarmi.
Tornando alla realtà provai un senso di disagio. Odiavo mostrarmi debole davanti ad un componente del branco. Calore o no, avevo una reputazione da difendere e un ruolo da ricoprire che non poteva lasciare margine di spazio ad alcun cedimento. Ciò che mi era appena accaduto era la dimostrazione che la luna piena, giorno in cui avrei compiuto trent'anni, si stava avvicinando inesorabile.
Se non avessi portato a termine i miei doveri, ben presto il branco si sarebbe ritrovato senza Alpha, alla mercé di altri branchi a cui era sopraggiunta la voce che ero ancora senza compagna. E un Alpha senza la propria femmina era debole, un banalissimo anello di un cappio che avrebbe condotto alla morte la propria stirpe.
Mio malgrado ripensai a Becky, a quella dannata umana, al modo in cui si scostava continuamente una ciocca di capelli scuri dietro la spalla. Al modo in cui mi guardava, sempre tra il seccato e l'incerto. Al modo in cui balbettava impacciata se la fissavo troppo a lungo.
Il disagio tornò.
Quella femmina era pericolosa. Se riusciva a farmi perdere il controllo così, senza nemmeno essermi accanto, implicava che la mia presenza al suo fianco sarebbe divenuta ben presto una corsia a scorrimento veloce verso la sua distruzione. O la mia.
"E' tempo che le parli". Dimitri intuì i miei pensieri ed io feci altrettanto con i suoi, perché erano identici ai miei.
Nessuna umana sana di mente avrebbe digerito di buon grado l'esistenza dei licantropi né tantomeno avrebbe accettato di dividere la propria vita con uno di loro. Sarebbe scappata, questo era certo. E facendolo avrebbe risvegliato la mia ancestrale sete di predatore, alimentando e infuocando il mio innato desiderio di cacciare le prede.
Non aveva possibilità di sfuggirmi ma ci avrebbe tentato ugualmente, trasformandosi inconsapevole in vittima sacrificale.
"Ho tentato di unirmi a lei con le tattiche umane", sbuffai, mollando la presa sul suo avambraccio e rimettendomi in piedi. "E cosa ho ottenuto? Si è forse invaghita di me? No. No, dannazione. Ha rifiutato il mio corteggiamento rifilandomi una scusa idiota".
"Suppongo tu ti stia riferendo alle gerbere".
Davanti agli occhi mi balenò il viso imbarazzato di Becky mentre i suoi occhi saettavano confusi da me al mazzo di fiori. Le guance rosse non erano artificiose e la sua timidezza era qualcosa di tremendamente ostacolante, una sorta di bastone tra le ruote che rallentava il momento in cui l'avrei fatta mia.
"Il primo mazzo lo ha rifiutato. Gli altri che ho fatto recapitare a casa sua non saprei. Devo ancora vederla".
"Grazie a Dio", scoppiò a ridere, smorzando il gelo nella stanza.
Mi sfuggì un sorriso strafottente. "E' pur sempre una femmina. Anche se umana avrà degli ormoni o degli impulsi. Forse non le sarebbe dispiaciuto farsi gettare da me sopra questa scrivania per...".
"Alt". Dimitri fece scattare in alto le mani. "Blocca immediatamente questo pensiero. Non pensare al sesso o ti ritroverai di nuovo agonizzante". Si guardò attorno, registrando i danni che avevo causato. "Inoltre temo non ti sia rimasto più niente da distruggere in questo ufficio".
"Rimani tu".
"Divertente", bofonchiò, massaggiandosi lo zigomo. "Quindi, la tua prossima mossa "umana" quale sarà?".
Restai immobile per un po', vagliando le varie possibilità che avevo. Il corteggiamento umano era molto diverso da quello del mondo animale. Ciò che per noi era immediato, per gli umani richiedeva dei tempi quasi biblici. Tempo che comunque io non avevo. Se avessi avuto l'imprinting con una femmina di licantropo mi sarebbe bastato strofinare il muso sul morbido mantello di pelo che le ricopriva la giugulare, annusarle la coda e girarle attorno un paio di volte. A quel punto lei si sarebbe sdraiata su tutte e quattro le zampe, abbassando le orecchie in segno di accettazione e con un ululato avrebbe urlato di appartenermi, in modo che tutti i maschi del branco ne venissero a conoscenza.
Con le umane però non funzionava esattamente così. Loro avanzavano pretese, si rifugiavano nella loro mente contorta alla ricerca di stratagemmi inutili per resistere il più a lungo possibile. Le umane adoravano complicare le cose. Altrimenti non erano contente.
"La inviterò a cena e le spiegherò come stanno le cose", dissi.
"Molto umano, davvero", ruotò gli occhi. "Portarla in un ristorante per dirle che sei un Alpha e che lei ti appartiene, sia che lo voglia o meno, non è propriamente dare una svolta alla tua complicata situazione".
"Forse ti sfugge che di tempo me ne è rimasto molto poco".
Allargò le braccia e le lasciò ricadere con un tonfo lungo i fianchi. "Andiamo Deniel, sai benissimo che scapperà da te prima ancora di avere il tempo di aprire il menù".
Sentii il labbro curvarsi verso l'alto, mentre provavo ad immaginare la scena. Le avrei lasciato un minimo di vantaggio, giusto per osservarla trasformarsi in preda mentre fuggiva lontano da me. Poi l'avrei rincorsa e una volta presa... L'erezione tornò a pulsare, ricordandomi di quanto stessi perennemente correndo sul filo del rasoio.
"Nemmeno violentarla la legherà a te", riprese serio, intuendo nuovamente i miei pensieri. "Anche perché con tutta probabilità la lasceresti moribonda prima ancora di raggiungere l'orgasmo".
Il mio sorriso scomparve. Le parole di Dimitri erano intrise di così tanta logica da irritarmi. "Che proponi? Tu sei tra gli umani da molto più tempo di me, conosci i loro pensieri, ciò che vogliono. Cos'è che vuole quella dannatissima ragazzina?".
"Se vuoi legarla a te devi andare per gradi. Impara a farti conoscere, insegnale a starti accanto, abituala della sua presenza. Sono tutte cose che alle donne piacciono".
"I fiori, quindi, sono stati una puttanata inutile?".
"Ti ricordo che sei il suo capo".
"Motivo in più per sentirsi lusingata, non ti pare?".
"Non nel mondo umano", ribatté ovvio.
Mi mossi per la stanza, pensieroso. Ad ogni passo i vetri scricchiolavano sotta la suola degli anfibi. "Potrei inventarmi una campagna promozionale e prendermela come assistente".
"Sì, questo vi porterebbe a passare del tempo insieme", approvò. "Potrebbe essere una soluzione".
"E soprattutto la distoglierebbe dalle attenzioni di quel figlio di puttana".
Dimitri corrugò la fronte. "Ma di chi parli?".
"Quel Connor".
"Connor non è minimamente interessato a lei", rigettò, con una scrollata di spalle.
"E ti sembra una ragione sufficiente per smettere di desiderarlo morto?".
"Saremmo a tre civili morti per mano tua in meno di 24 ore". Strinse le labbra, poco convinto. "Io eviterei per il momento".
Scoppiai in una risata, gettando indietro la testa. "Hai letto i giornali, quindi!".
"Sì", mi guardò storto. "Ho letto. E ha letto anche la tua ragazzina".
"Non mi collegherà mai a loro". Afferrai ciò che rimaneva dello stipite dalla porta e lo scardinai, gettandolo sopra un mobile con il piede spezzato in due parti. "E poi quei due me la stavano mangiando con gli occhi. La loro vita era divenuta sterile".
Porca puttana se mi avevano fatto incazzare quei tizi. Ora, io potevo comprendere che Becky fosse bellissima, e se una cosa era bella era bella e basta. Normale che qualcuno potesse voltarsi ad osservarla. Ma a tutto c'era un limite, Cristo!
"Fai dare una ripulita", ordinai nel passargli accanto, dandogli una spallata scherzosa per spostarlo.
"Dove stai andando?".
Lo fissai complice, inarcando un sopracciglio. "A trovare un cliente adatto per una nuova campagna pubblicitaria".
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