Le sentinelle
La pioggia continua a cadere ininterrottamente il terzo giorno, stavolta è pioggia vera, di quella che bagna al terzo passo. Mentre m'incammino verso la scuola, la voce del merlo non mi lascia un secondo e continua a berciarmi in testa, ma come al solito so già che non la ascolterò. Si, è brutto affare. Quindi? Far finta di nulla sarebbe molto peggio. L'idea che in quello stalletto diroccato (chissà se ha davvero mai visto un maiale in vita sua) possa essere accaduto qualcosa di spiacevole a qualcuna di noi, mi fa salire il sangue agli occhi.
Durante la lezione di storia il professor Martullo torna sugli orrori dell'ultima guerra, soffermandosi a lungo su tutta una serie di atrocità che mi fanno venire il voltastomaco. Mi sa che stavolta il dirigente scolastico se lo mangia vivo, e con l'occasione fucila una decina di noi per rappresaglia... Dice che deve seguire il programma, che a scuola non si fa politica, il solito disco rotto. A me piace, invece. E mi piace che ogni volta quello gli mostra lo stesso articolo sulla libertà d'insegnamento.
Alla fine della lezione, Martina ed io ci avviciniamo alla cattedra.
- Professore, vorremmo parlarle in privato se non le dispiace -. Lui si guarda intorno, il resto della classe è già nel corridoio. Si rimette a sedere.
- Ha mica presente quel casotto diroccato dietro la scuola? -, lui annuisce.
Martina prosegue: - Avevamo pensato di raccogliere interviste nel quartiere sui tremendi fatti che si racconta siano avvenuti là dentro nell'ultima guerra, a poche ore dalla liberazione. Doveva essere per quell'approfondimento didattico -.
Il professore annuisce interessato, rimane in attesa. Prendo coraggio, quindi riferisco l'accaduto: - Siamo entrate là dentro per un sopralluogo, abbiamo visto cose che non riguardano il passato, ma il presente, professore -.
Martullo ci guarda con un misto di curiosità e preoccupazione. Prende la parola:
- A parte il fatto che avete violato una proprietà privata - esordisce, visibilmente preoccupato - correndo rischi di cui forse non avete neanche valutato l'entità -. Prende un lungo respiro, prima di proseguire: - In ogni caso ditemi pure cosa avete scoperto. Vi ascolto - dice, abbassando la voce.
Estraggo il fermaglio dallo zaino. - Questo. - dico, posandolo sulla scrivania. - C'erano anche delle scritte sul muro -
- E tracce di sangue -, aggiunge Martina.
Martullo sospira girando il fermaglio tra le mani. - Era nella porcilaia? - domanda, pensieroso. Poi, dopo un'altra breve pausa: - Devo consultarmi con la dirigenza dell'Istituto, datemi qualche giorno. Valuteremo se sia il caso di denunciare il fatto alle forze dell'ordine, nel frattempo, sarebbe meglio che non ne parlaste con nessun altro. Siamo daccordo? -.
Siamo daccordo.
Dopo la scuola, incontrando Leonardo nel cortile gli raccontiamo del colloquio con il professor Martullo. Lui sembra alquanto dubbioso: lo è sempre, sto imparando a conoscerlo, un piccolo Amleto rachitico, con due grandi occhiali che gli scendono sul naso e quella vaga peluria che non so per quale motivo non si rade dal volto. E' tanto intelligente, quanto grottesco, un personaggio da romanzo ottocentesco.
- Temo abbia le mani legate. - riprende, - Un fermaglio non basta ad aprire un'indagine, potrebbero essere due che hanno cercato là dentro un po' di intimità, magari si sono feriti per caso, insomma il dirigente potrebbe ridergli dietro -.
Martina lo incalza, - Se riuscissimo a sorprendere, magari documentare cosa avviene davvero lì, avremmo qualcosa di più concreto da mostrare -.
- Scherzi? - Rispondo, - E come? Senza farci pescare sul fatto, intendo-.
Leonardo, l'eterno indeciso: - Avete una vaga idea di quel che potrebbe accadere, se ci cogliessero nell'atto?
Martina, ribatte: - Lo stesso che accadrebbe se il prossimo fermaglio fosse il tuo -.
La butto sul ridere, - Bellino saresti, ti vorrebbe proprio un fermaglino. Se vuoi ti presto il mio! -
Ridiamo tutti e tre di gusto, poi restiamo ammutoliti per qualche secondo. La proposta di Martina è l'unica ragionevole: non possiamo aspettare che si muovano le istituzioni. Risolviamo di tornare dietro la scuola quella notte con una piccola videocamera, che Leo prenderà in prestito, con molta discrezione, dallo studio fotografico del padre.
Quella sera ci incontriamo tutti e tre vicino al rudere. Siamo usciti a tarda ora, le nostre famiglie ci credono a letto; è un azzardo, ma non avevamo alternative ragionevoli. La pioggia ha smesso di cadere, l'aria è ancora satura di umidità.
Entriamo di nuovo attraverso la finestra rotta, muovendoci con cautela anche per via delle siringhe lasciate là da quei poveri dementi dei tossici, che la fatina dei denti abbia cura di loro; sistemiamo la piccola videocamera assicurandola a una delle travi a vista che sostengono il tetto del casotto, mimetizzandola dietro un ferro divelto. Il luogo è freddo, ogni minimo rumore ci fa sobbalzare.
Usciamo dall'angusto locale, per osservare non visti dalla macchia non lontana. Le ore passano lentamente, il silenzio è rotto solo dal nostro respiro.
- Magari stasera non viene nessuno -, mormora Martina dopo un po', infreddolita e tesa. Le rispondo che nel caso, possiamo organizzarci per tornare un'altra volta e se necessario un'altra ancora.
- Artemisia penso di avertelo già detto, per me non è facile: devo aspettare che i miei si addormentino, scivolare via di soppiatto sperando che a nessuno venga in mente di entrare nella mia stanza mentre sono qui tra voi. Se mi scoprono, sono nei guai -. Ha ragione, poverina. E' così anche per me.
Leonardo, dopo aver riflettuto qualche secondo, sostiene che non sarà strettamente necessario trascorrere la notte qui, basterà lasciare la videocamera nella posizione in cui si trova adesso, tenendo una bassa qualità dell'immagine si dovrebbe riuscire a filmare per molte ore di seguito. Torneremo il mattino dopo a riprenderla, se qualcosa è accaduto non avremo difficoltà a dimostrarlo.
Mentre ragioniamo su queste cose, mormorando nella semioscurità della pineta, sentiamo dei passi. Riesco a distinguere con difficoltà delle ombre entrare nel porcile, accompagnate da voci e qualche risolino sommesso. Da lontano sembrano ragazzi della nostra età, ho l'impressione di riconoscere dal portamento alcuni tra gli iscritti alla nostra scuola, ma non potrei giurarlo nemmeno a me stessa.
Le famose ombre della realtà, penso tra me. Spero tra me che la videocamera non abbia una funzione autoflash, altrimenti mi sa che il papà di Leo dovrà comprarsene una nuova e noi dovremo rinunciare alle riprese.
Attraverso i vetri rotti si distinguono a malapena le ombre (tutt'altro che platoniche) muoversi confusamente nella caverna, non possiamo fare altro che osservare da lontano, immobili dal nostro avamposto nell'oscurità della pineta. Finalmente, dopo quella che sembra un'eternità, gli ospiti indesiderati lasciano il fabbricato; aspettiamo ancora temendo possano ritornare, guardandoci intorno per assicurarci di non essere sorpresi da nessuno.
Sento le palpebre pesanti. Il sonno s'impossessa di me per qualche minuto, Martina prova a tenermi sveglia pungolandomi con due dita il fianco. Al primo cenno del buio che sbiadisce, lei stessa prende coraggio e senza consultarsi con noi s'introduce fulminea nel casotto dalla bassa finestra, recupera la videocamera poi rapidamente lascia il casotto. Ci allontaniamo con tutta calma ostentando sicurezza, evitando le strade.
Quando siamo abbastanza lontano ci fermiamo in un luogo riparato, per verificare che la telecamera abbia funzionato correttamente. Quel che vediamo lascia tutti senza parole: l'immagine non è abbastanza netta per poter identificare gli aguzzini, né la povera vittima, gli atti però sono inequivocabili. Disgustata, mi sale un conato. Vomito sugli aghi di pino.
Decidiamo di portare il video al professor Martullo il giorno successivo.
Per rincasare mi servo della chiave che mia madre lascia sempre nel portaombrelli dell'ultimo piano, nel caso in cui dovessimo rimanere chiusi fuori. Quando sono uscita dormivan tutti, non dovrebbero essersi accorti della mia assenza. Mentre mi preparo per andare a letto, mi accorgo di tremare come se avessi la febbre. Con la mente affollata da pensieri, socchiudo gli occhi e riposo una mezz'ora, prima che la sveglia torni a scandire l'alba del nuovo giorno.
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