La casa dell'Orco

Il sole è alto nel cielo, le sedie sono in circolo. Alle nostre spalle un murale gigantesco domina la scena, rivisitazione di un Pellizza da Volpedo con donne e androidi che avanzano impugnando pistole di piccolo calibro, da cui fuoriescono rose graffianti. In primo piano grandi forbici levate come spade lucenti verso il cielo, striscioni e bandiere arcobaleno. Mi sento rassicurata dalla potenza di quei colori e dallo spessore di quelle linee, come se fossero proprio le donne dipinte, a chiederci di lottare nel loro nome. Come ogni volta finisco per sentirmi inadeguata al contesto, sento gli sguardi su di me. Ai loro occhi non sono altro che una viziata piccolo-borghese, non fosse stato per quel libro di Feuerbach dimenticato in tasca non mi avrebbero forse nemmeno lasciato entrare. Ha tutta l'aria di una trincea solitaria nel deserto dei Tartari, una folla di pazzi d'amore che predicano agli scorpioni.

Il capannone è la casa dell'Orco sulle nuvole, una bolla di realtà dove tutto può accadere nel tempo di una fioritura, finché il sogno non svanisce: una zona (temporaneamente) autonoma dove ogni cosa scricchiola, dall'arredamento alle sculture di rottami nulla è pensato per durare. Non puoi mettere le radici in uno spazio occupato, sai già che prima o poi dovrai migrare altrove: l'instabilità è il suo punto di forza, può svanire e ricostituirsi dove vuole senza nulla perdere.

Nelle carcasse dei relitti industriali, nella decadenza delle proprietà abbandonate, diroccate, cadenti, nidificano queste api laboriose e non si limitano a succhiare il polline dalle corolle dei fiori, in modo parassitario e autoreferenziale, come le zanzare che succhiano il sangue ai cristiani, ma sporcandosi le zampe di quel nettare finiscono per rendere possibile la nascita di nuova vita: sono utili al quartiere, per questo non vengono sgomberate subito e col tempo acquistano anche una certa indipendenza. Nasce così uno spazio che prima era morto, ora è vivo. Non bisogna affezionarsi troppo però, quando vivi sull'arcobaleno devi avere sempre la valigia pronta sotto il letto.

L'assemblea è riunita. Martina si alza in piedi, espone la questione con chiarezza: - Ho già segnalato qualche tempo fa a questo collettivo una banda criminale coinvolta in un giro di prostituzione minorile – asserisce, la voce sicura.

Un mormorio attraversa i presenti, Alfeo aggiunge: - Queste compagne hanno raccolto materiale audiovisivo per documentare le violenze, ora si trova nella scheda interna a un drone nascosto su un balcone privato, non lontano dalla metropolitana. La casa al momento è vuota, non abbiamo possibilità di accedervi in modo regolare: dovrò quindi salirvi per altra via. Serve un diversivo, qualcuno che attiri l'attenzione altrove nel frattempo -.

Si sentono abbaiare dei cani randagi fuori dal capannone. Dai vetri rotti in alto entra una rondine, vola fin quasi a noi roteando tre volte sull'assemblea riunita, poi esce dal lato opposto. Una compagna si alza in piedi e interviene, col gomito in fuori e la mano sul fianco: - Ricordo bene la segnalazione, ricordo però anche la risposta di questa assemblea: non siamo per l'individualismo, non portiamo la calzamaglia colorata e non troviamo sensato prendersi responsabilità come quella che si stanno arrogando Martina, Leonardo e questa nuova compagna di cui non conosco il nome -.

La interrompo con un sorriso: - Artemisia, quella col nome difficile. Mi permetto di inserirmi nella questione da te sollevata, che condivido: la nostra non è un'iniziativa personale, ma un atto pubblico di resistenza attiva – Guardo negli occhi Martina, esortandola a dire quel che non potrei dire al posto suo. Lei mi guarda per un interminabile istante, scavando nel profondo del mio sguardo trova il coraggio di parlare con franchezza.

- E' così – conferma lei, raccogliendo il mio invito, - Ho provato a denunciare, ma nessuno mi ha creduta: le istituzioni scolastiche sembrano più intimidite dal pericolo di uno scandalo, che animate dal desiderio di far luce sui fatti -.

- La nostra idea - chiarisco - non è quella di sostituirci alle istituzioni, ma di affiancarle. Vorremmo intanto scagionare il nostro compagno Leonardo, che per aver girato quelle riprese ora si trova coinvolto in un caso giudiziario infamante, montato ad arte contro di lui. Secondo, una volta recuperata quella documentazione, siamo intenzionate a diffonderla attraverso la rete per incitare la cittadinanza a rompere il muro omertoso che si è creato intorno ai pesci più grossi, quegli squali che prima di mordere ti mostrano i denti d'oro -.

Un brusio d'assenso attraversa la sala. Martina prosegue: - Meglio ancora sarebbe se il collettivo si prendesse la responsabilità di caricare questi video nel maggior numero possibile di nodi e ognuno di noi interagire nei commenti per garantirne la più ampia e rapida divulgazione. Basta una squadra di venti o trenta volontari, con due o tre profili diversi ognuno, a viralizzare i contenuti nel giro di poche ore dalla pubblicazione, prima che i server vengano attaccati -.

- A quel punto - si inserisce Alfeo - interveniamo noi da qui, organizzando incontri pubblici, proiezioni, letture, presentazioni di libri sul tema. Basterà convincerne uno a parlare, gli altri verranno da sé -. L'assemblea sembra convinta. Si mettono a votazione le proposte, si fanno avanti sette militanti per inscenare la rissa al bar stasera, mentre Alfeo sale sul balcone per recuperare il drone.

- Secondo me dovremmo fare prima un sopralluogo – dico a Martina. - Alfeo dovrebbe studiare la situazione prima che venga sera, per capire se non altro come salire al primo piano -.

- Meglio di no – replica – resteremo qui al sicuro fino al tramonto. Piuttosto, avremmo bisogno di abiti diversi da quelli che indossavamo quando siamo entrate qui -.

- C'è il guardaroba solidale – sorride Alfeo – Di là nell'altra sala, venite che vi mostro. Tutta roba usata, ma può fare al caso nostro. Quanto a me, non dovrei avere grossi problemi a raggiungere un banalissimo primo piano, la mia sola preoccupazione potrebbe essere l'esposizione alla luce, che non sia troppo in vista. Ma conoscendo Leonardo, avrà tenuto conto anche di questo ne sono sicuro -.

- Poche ore al tramonto – osservo. - Ho bisogno di riposare un po' -. Martina annuisce, ci trasferiamo al piano di sopra del capannone, dove non mancano divani e materassi. Alfeo tira fuori da una tasca dei pantaloni il mozzicone conservato dal mattino, lo accende con le dita sporche di cenere. Mi stendo esausta, chiudo gli occhi. Penso alla mia famiglia. Saranno disperati, non vedendomi arrivare; purtroppo non possiamo contattare nessuno da qui, nemmeno al telefono. Martina e Alfeo si stendono accanto a me, dormiamo tutti insieme stretti in un complicato abbraccio.

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