- Signorina? Come si chiama? -
- Chi è lei? -
-Risponda alla mia domanda signorina, qual'è il suo nome? -
Silenzio.
- Come si sente oggi, signorina? -
La ragazza prese a guardarsi intorno. Non riconosceva né la stanza né il suo interlocutore. Cercò di ricordare come fosse giunta lì, che ore fossero, che cosa fosse successo. Ma fu tutto inutile.
- Credo bene, non saprei con certezza. Dove sono? Che cosa è successo? -
- In realtà credevo potesse dirmelo lei. Dove siamo signorina, non lo ricorda? -
- No, se glie lo sto dicendo evidentemente non ne ho memoria. Che dice? -
- Non voglio ostilità in questa stanza, glie lo ricordo. -
- E quando me lo avrebbe detto, di grazia? -
- Come si chiama? Ricorda almeno questo? -
L'uomo aveva accavallato le gambe, seduto su d'una sedia all'apparenza molto pesante e perciò difficile da spostare, batteva il tempo tamburellando pollice, indice e medio su d'un quadernetto verde chiaro. Eppure il suo sguardo non tradiva alcuna fretta, alcuna curiosità. Non doveva essere molto diverso da tutti gli altri uomini che la ragazza aveva incontrato prima di allora.
- Sì, mi ricordo. -
- Vorrebbe presentarsi dunque? -
- A che pro? Lei sembra sapere esattamente chi sono, per non parlare del fatto che,verosimilmente, le hanno detto già tutto quello di cui ha bisogno. Perciò, ha per caso una sigaretta? -
- E' vietato fumare qui. -
- Già, come tante altre cose. - La ragazza indicò un regolamento appeso alla parete, immaginò che ve ne fosse una copia identica in ciascuna stanza.
- Perché chiedere allora? -
- Uno ci prova sempre, tanto vale la pena tentare. A volte si ha la fortuna d'essere accontentati, qualche sciocco lo si trova raramente e lei, non mi pare particolarmente furbo. Ce l'ha o no una sigaretta? -
- No, signorina. Io non fumo. -
- Lei vuole vivere in eterno? -
- Credo semplicemente che si possa vivere più a lungo. -
- Ha una vita di qualità? -
- Nessuna domanda personale, le ricordo, che non le è concesso. Siamo qui per lei, non per me. -
- Beh, non ho bisogno che lei mi risponda. Si guardi, una risposta me l'ha ugualmente data. -
- Io non credo, signorina. Ma credo che lei stia sviando. Perché siamo qui, se lo ricorda adesso? -
- Forse ma non desidero parlarne. -
- Non cambia di certo le cose. Non può andarsene e lo sa. -
- Sì, posso semplicemente evitare che lei si faccia gli affari miei mentre mi costringe a rimanere qui con lei, controvoglia. -
- Dipende da lei, è dipeso da lei in passato e dipende da lei adesso. Non può lamentarsene. -
La ragazza si alzò in piedi di scatto, voltando le spalle al suo interlocutore che ora era rimasto in attesa, il sorriso sulle labbra, la solita espressione neutrale "del cazzo".
Camminò in direzione della libreria e vi spulciò qualche manuale. Teorie e teorie e teorie, stronzate, discipline selezionate e ordinate in ordine alfabetico e poi, le schede dei pazienti, le fatture, altre stronzate rigorosamente chiuse a chiave ma visibili, attraverso le porticine di vetro smerigliato.
L'uomo notò che faceva fatica a camminare, la maglietta le cadeva sulla schiena come un lenzuolo trasparente, enorme, informe, eccessivamente bianco.
- Mi è stato detto che ha bruciato il diario alimentare. Come mai? -
- Vede, io non voglio vivere in eterno. Al contrario di lei e di tutte quelle stupide persone che come lei mi pongono domande alle quali non mi curo di rispondere. Non mi è concesso possedere sigarette ma un accendino sì, dunque lo posso usare come diavolo mi pare e piace. -
- Si sente ancora in colpa dunque? -
- Per cosa? Per chi, dei tanti? -
- Scelga lei. Dovrà pure iniziare da qualche parte, no? -
- Non necessariamente. -
- Mi permette di sceglierlo? -
- Scegliere cosa? -
- Da che parte iniziare? -
La ragazza appoggiò la schiena alla libreria, ne sentiva il peso sulle spalle. Si controllò il polso, erano appena le dieci e mezzo del mattino. L'uomo la invitò a sedersi, di fronte era posizionata una poltrona di pelle scura, ai bordi leggermente consunta. Prese a fissarla, scosse la testa,improvvisamente le venne da piangere ma si trattenne. Ricacciò le lacrime e rivolse lo sguardo lontano, oltre il finestrone e il cortile, oltre. Non l'avrebbero mai lasciata andare ma lei sarebbe volata via, con la mente, finché il corpo non l'avesse raggiunta inseparata sede, qualunque fosse la loro destinazione.
- Sì. -
- Bene, il suo nome signorina? -
- Maria Vittoria Leone. -
- Quanti anni ha signorina Leone? -
- Ventidue, appena compiuti. -
- Il motivo per cui si trova qui? -
- Quale dei tanti? -
- Torniamoci più tardi. C'è, una cosa che vorrei domandarle prima di procedere. -
- Quale? -
- Chi è Beatrice Elisa Bellone? -
- Lo sa. -
- Voglio che me lo dica lei. -
- Questo non mi è possibile, non ne conosco la risposta. -
- In vero, io credo che ne abbia il sospetto. -
- Un sospetto non fa la verità. -
- Ma la sua verità mi interessa tanto quanto quella riportata sul suo fascicolo. Beatrice Elisa Bellone è o non è reale? -
- Cos'è reale? -
- La sua malattia, lo sa. L'omicidio o in questo caso il tentato omicidio. -
- Sciocchezze, Vanessa è mia amica, per quanto la possa odiare, non le farei mai del male se non metaforicamente parlando. -
- E il suo fidanzato? -
- Simone? -
- Simone? Chi è Simone? Sto parlando di Matteo, Matteo Venturo. Ha presente? -
La ragazza scoppiò a ridere, fragorosamente. Si portò una mano alla testa e socchiuse gli occhi. Le medicine le stavano facendo scoppiare il cervello o era qualcos'altro? Desiderò vomitare ma dato che non poteva far altro che ridere, continuò, imperterrita, aggressiva esclamando di tanto in tanto imprecazioni scomposte, il nome di Matteo, finché la gola prese a bruciarle rasentando il soffocamento. Pensò a Vanessa, a quanto avrebbe voluto prenderla a calci o meglio pensò a quanto avrebbe voluto prendere a calci e non riuscì a fare altro che ignorare l'uomo, la stanza, il giorno, desiderando di essere nuovamente a letto, addormentata, pensando a come sarebbe andata la sua vita se fosse stata diversa.
Se fosse stata semplicemente un po' più bella, un po' più intelligente, se solo suo padre fosse ancora vivo e avesse avuto l'occasione di parlargli, per l'ultima volta, se solo avesse terminato gli studi e fosse passata oltre, oltre il tradimento, oltre il dolore, oltre l'abbandono. (Anche se, con molta probabilità, non ci sarebbe potuta, comunque, passare sopra. Si sa alcune cose sono difficili da perdonare e in fine dimenticare.) Forse e, dico, forse se fosse andata diversamente, se fosse nata dai fiumi del Piemonte e non dal sole della Liguria, se si fosse innamorata meno e impegnata di più, se avesse dimostrato più forza di così, se avesse scelto con giudizio, le cose sarebbero potute andare diversamente. Un altro nome, un altro futuro. Un figlio forse, un compagno o il successo, valeva uguale. Tutte cose per cui valeva la pena lottare. Tutte cose per cui valeva davvero vivere.
Se lo immaginava già: "Mi chiamo Beatrice Bellone e, nella vita, voglio essere abbastanza felice."
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top