venticinque - 𝚜𝚒𝚗𝚝𝚘𝚖𝚒

𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛

È come se mi avessero appena congelato il cuore. Una scarica di brividi freddi mi investe da capo a piedi, mentre la voce di Julia, stridula e petulante, mi ustiona l'orecchio.

Mi ritrovo a stringere il telefono con così tanta forza che Cloé è costretta a schioccarmi le dita davanti al viso per farmi riprendere.

Faccio un respiro profondo e sento il fiato tremolante, almeno quanto le mie gambe. Non so come, trovo la forza di sedermi. Rispondo con un lieve: «Sono Isaac.» prima di essere investito dalla pazza e devastante gioia dell'ex di Cloé.

«Oh! Ciao, tesoro!» esclama Julia, sghignazzante.
«Mi sei mancato, sai?»

«Immagino...» borbotto.

Lei sbuffa: «Non merito un "mi sei mancata anche tu"?»

«Fai come se l'avessi detto.»

«Va bene, da quando fai il prezioso?» sussurra, ammaliante.
«Perché dovresti sapere che è una cosa che mi attrae parecchio in un uomo.»

Cloé deglutisce, distoglie lo sguardo. Sembra così infelice... Il suo dolce faccino pare ringiovanire di colpo, a causa di quella smorfia desolata che le segna gli occhi e le fa comparire delle piccole rughette d'espressione, le stesse di un bambino capriccioso. Solo che la sua tristezza non è generata da qualcosa di così tanto infantile. Julia è il suo problema più grande.

«Isaac? Ci sei?» mi chiede la rossa al telefono e io annuisco, anche se non può vedermi.

«Sono qui.» aggiungo, mordendomi con forza l'interno della guancia l'attimo dopo. Non sono mai stato tanto nervoso per colpa di una ragazza.

«Ottimo! Ho delle grandi notizie!» mi risponde e un campanello d'allarme comincia a ronzarmi in testa, più fastidioso di una mosca.

«Che notizie?» ribatto.

«Prova a indovinare.» canticchia, alzando la voce. Mi pare decisamente felice e mi sento sempre più confuso. Lei e Seb si odiano, quindi perché ora sono insieme? Perché lei ha il suo telefono?

"E soprattutto perché lui ci sta ignorando?"

Cloé crolla, tira su il naso. È come se avesse intuito la situazione o sapesse qualcosa che non vuole dirmi. Mormora qualcosa a Nick, poi prende la sua borsa e si rintana in bagno. Vorrei seguirla, ma sono troppo concentrato su Julia, così tanto che non ho nemmeno metabolizzato le parole della mia amica, appena sussurrate. Nick mi fa un cenno del capo, comunicandomi con gli occhi che a Cloé ci pensa lui, dopodiché la insegue e scompare dalla mia vista.

Qualcosa mi dice che non accadrà nulla di buono.

"Puoi ben dirlo, caro!"

«Zack?» mi chiama Julia e d'un tratto detesto il suono del mio nome.
«Vuoi per caso un indizio?»

Faccio un respiro profondo, dicendomi che devo stare calmo, che non posso agitarmi per qualsiasi cosa e che sicuramente c'è una spiegazione razionale dietro questa pagliacciata.

Devo solo fidarmi di Sebastian.

«Dammi l'indizio.»

La sento ridacchiare, entusiasta, e mi immagino le sue labbra a cuore allargarsi in un sorriso fintamente gentile, lo stesso che mi aveva ingannato quel pomeriggio al parco.

«Seb ha messo la testa a posto.»
Ironico che la sua risposta sia questa, visto che a me pare che sia completamente impazzito.
«Con una brava ragazza.» continua e dalla voce mi sembra quasi che si stia vantando di se stessa.
Solo che non voglio crederci: è troppo assurdo per essere vero.
«Oh, sta arrivando! Hai fatto la doccia, caro?»

Doccia!?

"Quindi si sono dati appuntamento e Seb ha sentito il bisogno di farsi un bagno." riassume la fatina, deridendomi. I suoi artigli gelidi mi affondano nelle spalle e fanno quasi male. All'improvviso i suoi occhi di ghiaccio e il suo sorriso cattivo diventano così reali da mozzarmi il respiro.
"Non guardarmi così. Sai che questa te la saresti potuta evitare se avessi preso le medicine."

È la voce furiosa di Sebastian, dall'altro capo della linea, a riscuotermi dalla trance: «Julia! Che cazzo ci fai con il mio telefono?»

«Parlo con Zack, il tuo amico.» ribatte lei, allegra. Ascolto Seb imprecare. Socchiudo le palpebre quando si fa restituite il cellulare, poi lo sento allontanarsi perché la voce di Julia si affievolisce, mentre mi saluta un'ultima volta: «Ciao, Isaac!»

Con la coda dell'occhio mi sembra di aver scorto Cloé e Nick uscire dal bagno, però d'un tratto non me ne importa più un fico secco.

«Zack?»
Di solito Sebastian ha la capacità di rassicurarmi solo mormorando il mio nome, perché riesce a farmi sentire a casa, al sicuro e protetto, ma stavolta una rabbia cieca imprigiona il mio cuore e mi ritrovo a prendere a calci una sedia, buttandola a terra.

Quand'è che mi sono alzato?

Akiko mi affianca immediatamente. Metto il muto, solo per dire alla mamma che vado di sopra a prendere i farmaci. Lei pare rilassarsi un attimo e io mi incammino per le scale, conscio che non può seguirmi, perché abbiamo dei clienti in caffetteria, e altrettanto consapevole che le ho mentito.

Tolgo il muto e Sebastian mi chiede se va tutto bene perché ha sentito un rumore. Immagino si stia riferendo all'impatto della sedia di legno contro il parquet.

«Sto una favola.» ribatto a denti stretti, però poi sbatto la porta della mia stanza e, quando mi siedo sul letto, mi rendo conto che la cosa si sta facendo più grave del previsto.

Perché la fatina mi fissa in silenzio, giudicante, in un angolo della camera. Non osa fiatare, ha le braccia conserte e studia i miei movimenti proprio come farebbe un predatore. So che potrebbe scattare in qualsiasi momento. Linda mi ha detto di allontanare gli elementi di disturbo e di concentrarmi su pensieri felici quando succede, ma era da così tanto che non capitava che non ci sono più abituato.

E poi non riesco proprio a essere felice adesso. Non se rimango da solo, almeno.

«Possiamo vederci, Seb?» gli domando.
Lui sospira.

«Mi dispiace.» mi dice.
«In realtà non potremmo vederci per un bel po'.»

Raggelo. All'improvviso mi sembra di non percepire più le estremità del mio corpo.

«Perché?»

La stanza comincia a vorticare, le pareti perdono i loro dettagli. Le labbra della fata si sporcano di rosso e noto che sta masticando qualcosa.

I suoi denti. Realizzo con orrore.

E alla fine arriva l'immenso vuoto. Mi colpisce allo stomaco e mi inghiotte, lasciandomi senza anima. La mente vaga per conto suo, si libera di ogni pensiero e memoria.

Provo a prendere una boccata d'aria, faccio per scendere dal materasso e avvicinarmi alla finestra, ma la stanza ha cominciato a girare e, nauseato, mi raggomitolo sulle ginocchia.

«Ho commesso un errore.» mormora intanto Seb, la sua voce è così afflitta che non mi pare lui. 

E all'improvviso capisco.
Giusto. Questo tizio non può essere Sebastian.

Il mio Seb non direbbe mai queste cose.

«Ho una ragazza ora.» la sua voce mi arriva ovattata.

No. Non è lui. Decisamente. Sebastian detesta Julia: perché mai dovrebbero trovarsi insieme? Magari è solo qualcuno che gli somiglia. Un sosia? Ho sbagliato numero? Gli hanno rubato il cellulare?

«Mi dispiace essermi approfittato della tua curiosità per toccarti. So di essere stato orribile, ma sistemerò tutto e-»
Non lo ascolto più. Dopotutto perché dovrei? Questo tizio non è Sebastian.
«Mi sa che ho fatto un casino» continua.

Questo mostro si sarà preso anche le sue corde vocali, perché questa è senza dubbio la voce di Seb: anche se è leggermente distorta dal telefono, la riconoscerei tra milioni.

«Penso che mi piacciano più le donne. Non sono gay.»

Ah.
La fata inizia a muoversi. Inclina la testa, cambia espressione. Quell'orribile viso diventa pian piano sempre meno umano: le si infossano gli occhi, la pupilla viene divorata dalla sclera, i suoi capelli cadono a ciocche. Merda.

«Prendi regolarmente le tue medicine» mi aveva detto una volta Linda, guardandomi con un'espressione così seria che quasi non le si addiceva.
«Stai solo mettendo a rischio la tua salute ed è da sciocchi. Tu sei intelligente, Isaac, e sai quanto può essere brutale la mente umana. Non distruggerti, lascia perdere la tua testardaggine e prendi i farmaci che ti prescrivo.»

«Zack? Perché respiri così? Stai piangendo?» domanda il sosia al telefono.

Inizio a tremare, la fatina cade a terra. Il suo corpo è già diventato un ammasso di melma verdognola ed è così reale, mentre striscia verso di me, che comincio a credere di poter annusare il marcio della sua carne, che cade a pezzi putrefatta macchiandomi il pavimento.

Vuole ammazzarmi.
Penso, indietreggiando verso il centro del letto.

Afferro le coperte e mi copro, provando a proteggermi dai mostri come fanno i bambini, ma la sua bocca sdentata continua a mormorare il mio nome, reclamandomi. Ho paura.

Se nascondessi il volto o se distogliessi lo sguardo mi attaccherebbe senz'altro.

«Cazzo! Fanculo, sto arrivando! Dove sei!?» sbotta Seb.
«A casa, giusto? Sto uscendo ora. Resisti.» lo sento armeggiare con qualcosa, la voce di Julia gli fa da sottofondo, ma lui pare ignorarla. Il rumore metallico delle chiavi mi dona un attimo di respiro: la fata si è fermata a pochi passi dal comodino. Mi fissa, sorridendomi con la sua bocca avariata.

"Cosa ti succede, Zacchino?" mi domanda.
"Ciò che ti serve è proprio qui." indica con un dito rancido il primo cassetto. Il cuore mi scoppia, arriva la scarica di adrenalina. Il finto-Sebastian continua a dirmi di fare respiri profondi, ma non capisco perché. Non mi pare di avere il fiato accelerato, anche se ogni fibra del mio fisico grida di terrore.

«Zack, aspettami.» ha abbassato la voce, quasi volesse provare a trasmettermi un po' di calma. Però non funziona, com'è ovvio che sia: voglio dire, quest'uomo è pur sempre un falso.
«Arrivo subito. D'accordo, piccolo?»

Piccolo. Solo lui può chiamarmi così.

«No.» mi ritrovo a rispondere, aggrappandomi all'ultimo granello di rabbia che mi è rimasto.
«Non ho bisogno di te.»
Metto giù il telefono.

La fatina allunga una mano verso il mio viso. Deglutisco, quando mi sfiora la guancia con il suo indice melmoso, sporcandomi. La voglia di pulirmi mi assale e comincia a pizzicarmi dappertutto, però il corpo non risponde ai miei comandi.

Lei mi artiglia le guance, approfittando della paralisi, e fa un male cane. La sua pelle continua a cadere, insieme ai muscoli, sulle coperte. Infine rimangono solo le ossa e, mentre le si sciolgono i bulbi oculari e le intravedo il teschio, penso che sia quello il volto del tristo mietitore.

«Isaac?» Akiko bussa alla mia porta e la fata ghigna.

“Game over?”

«Sto entrando.» dice la mamma e, non appena i nostri sguardi si incrociano, lei si precipita verso di me. Mi afferra con forza i polsi, allontanandomi le mani dalle guance.
Apre il cassetto con un colpo secco e ne tira fuori tutte le medicine.
«Prendila.» mormora, aprendo un pacchetto ancora intatto.
«Ti prego, stavolta prendila.» mi porge una compressa.
Lancio un'occhiata alla fata. Akiko se ne accorge, mi prende per mano. Sta tremando.
«Isaac, torna da me, ti scongiuro.»

«Scusa.» mormoro, lasciandomi cullare dalle carezze della mamma, che mi stringe forte contro il petto.

«Non hai nulla di cui scusarti, tesoro.» ribatte lei, spazzolandomi i capelli con le dita. Percepisco il battito del suo cuore: è come un treno in corsa. Non riesce a tranquillizzarsi ed è tutta colpa mia.

«Pensavo di riuscire a controllarmi.» le confesso, avvertendo le lacrime pizzicarmi gli occhi.
«Dico davvero.» ho la voce pastosa e sento la mandibola dolorante, perché prima l'ho stretta così tanto forte da provocarmi dei piccoli taglietti sulle guance.

Non mi meraviglia che i suoi artigli fossero tanto reali, visto che erano le mie stesse mani a provocarmi dolore.

Mamma resta in silenzio, ma continua a coccolarmi. Deve aver assistito a una scena terrificante, forse avrà pensato di avermi perso.

Mi dispiace. Mi dispiace davvero.
Vorrei fare ammenda in qualche modo, ma se lo dicessi ad alta voce la ferirei ancora di più. Lei odia i miei piagnucolii, perché sa di non potermi aiutare e questo la fa sentire spaesata.

Akiko è una donna in gamba e una buona madre, il problema è che si è ritrovata un figlio inutile. Non capisco davvero che ci faccia ancora qui, perché non mi abbia abbandonato. Meriterei solo questo.

Vorrei solo farle sapere che non è colpa sua, ma lei mi ha chiesto di non ripeterglielo più. Sostiene che non esiste nessun colpevole, che vado bene anche così e che possiamo combattere insieme con l'aiuto dei farmaci.

Vado bene anche così, è una bugia.
Sono maledettamente consapevole che andrei meglio se non fossi come sono. La gente smetterebbe di avere pietà di me, di guardarmi con angoscia e di farmi sentire sbagliato.

Ho un problema e questa cosa, che mi sta succhiando via la vita, mi rende imperfetto. Sono stufo di essere un'anomalia, voglio che la smettano di giudicarmi, di essere tristi per me. Mamma dice che sono più della mia condizione, ma pare che alla fine si riconduca tutto a quella cosa.

«Isaac.» mi chiama Akiko.
«Stasera ti dispiace se dormo sul tuo divanetto?»
Sta ancora tremando, io invece mi sento sempre più rilassato. Il sonno sta vincendo, non sono più tanto vigile. Penso sia un effetto collaterale del serenase, dopotutto avrei dovuto prenderlo prima di andare a dormire.

Era così, giusto? Non lo so più. Magari mi sto inventando ogni cosa e la crisi mi ha stancato tanto da togliermi ogni energia.

«Rimani pure.» sussurro, respirando il suo profumo che sa proprio di casa.

Se non fossi così testardo, forse risparmierei questa insopportabile sofferenza ai miei cari, ma l'idea di prendere constantemente le mie medicine mi distrugge. Non voglio essere malato, desidero essere normale.
Come i miei amici, come la mia famiglia. Come Paul e Sebastian.

Seb...
Spero che non mi detesti, visto come l'ho trattato. Non mi ricordo nemmeno cosa gli ho detto, ma non deve essere stato bello e poi gli ho sbattuto il telefono in faccia.
Dovrò scusarmi anche con lui, se me lo permetterà.

Il respiro si fa più pesante. So di essere in dormiveglia, quando percepisco mia madre muoversi sul materasso. Mi appoggia delicatamente la testa sul cuscino. Mi rassicura dicendomi che torna subito.

Le braccia del Dio del sonno si spalancano, mi avvolgono e accolgono. Sto per lasciare il mondo degli svegli per addentrarmi in quello dei dormienti, ma la sua voce si introduce fra i miei pensieri e, ancora una volta, mi cattura.

Le mani calde di Sebastian mi sfiorano la fronte e mi chiedo se questo sia reale o solamente un sogno felice. Vorrei che fosse qui, ma non oso aprire gli occhi. Ho paura di trovare la stanza vuota. Senza contare che, anche volendo, non ho neanche la forza di muovere un muscolo.

«Scusami...» mormora.
«So di essere un cazzo di egoista e hai tutto il diritto di urlarmi contro più tardi.» la sua voce si fa ovattata, ma provo a resistere al dolce richiamo di Morfeo.

Sono contento che lui sia qui, spero che non sia un'illusione. Voglio credere che questo Seb sia reale.

«Isaac, scusa, io... Sono io ad aver bisogno di te...» mormora d'un tratto.

Queste parole sono così dolci e confortanti...

Voglio ascoltarlo, dirgli che l'unico egoista sono io, ma mi sento trascinare lentamente nell'universo dell'inconscio. Per quanto mi aggrappi alla coscienza, questa scivola via dalla mia presa.

«...dispiace...»

Anche i miei pensieri stanno diventando incoerenti e la sua voce si allontana sempre di più.

«...amo...»

Seb!
Provo a chiamarlo, la bocca però non si muove di un millimetro.

Infine mi ritrovo in una distesa di margherite bianche, insieme a un unicorno. E mi dimentico di Sebastian e del mio amore infelice.

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