XVII

(Thor)

Tornai al rifugio prima del solito quel giorno, avevo promesso ad Alfie di partecipare alla lezione dato che le precedenti le avevo marinate quasi tutte. Kiral mi aspettava sul tetto, insieme al satiro ed erano impazienti.

«Sei in ritardo» mi accusò Kiral. «Mi avevi promesso che saresti andato a lezione oggi, noi due avevamo un patto. Puoi uscire quando vuoi, sei grande e responsabile, ma se prendi un impegno devi mantenerlo.»

«Sono arrivato!» esclamai. Guardai l'orologio. Dio, ero due ore in ritardo. «Ho fatto tardi, ma sono qui. Mi dispiace.»

«Lo hai già detto, As. Scusarti è inutile se non lo pensi davvero. È importante che tu studi la magia, stai diventando troppo potente» mi rimproverò con tono fiacco.

Avevamo già affrontato quell'argomento quasi ogni settimana e non variava mai più di tanto. Da quando io e Aileen avevamo scoperto un modo per tenerci in contatto mentale, me lo aveva insegnato lei, influenzare i pensieri altrui, le abitudini e i gusti degli altri diventò semplice. Mi ero permesso di testarlo su Alfie e, be', si era indignato parecchio proprio perché aveva funzionato e ora a vedere una qualsiasi ninfa gli veniva il vomito.

«È un male?» chiesi. «Ne parli come se lo fosse. Grazie, so la citazione "da un grande potere derivano grandi responsabilità"» soffiai. «Ne fate tutti una tragedia.»

«Hai incantato Alfie, scompari per giorni interi, sei diventato più solitario e ti lasci prendere dall'ira ogni volta che qualcosa va storto. I tuoi poteri sono diversi dai nostri, ikki, sei unico nel tuo genere. Non necessariamente i poteri sono bilanciati e io voglio solo assicurarmi che tu non ne venga travolto. Ho visto troppe persone morire.»

Mi mangiai la lingua. Era accaduto spesso che fossi caduto preda del mio malessere, che mi deprimessi così tanto e mi intestardissi da farmi male. L'iperattività era un fattore negativo se dovevo per forza sfogarmi per impedire alla magia di defluire in modi peggiori.

«Sei arrabbiato, As» affermò Alfie. Io ridacchiai. «Vedo quello che c'è nel profondo del tuo animo, è paura e odio. So che ti sei preso una cotta per una ragazza, continuando così farai del male anche a lei.»

Gli puntai un dito contro, ringhiando. «Non metterla in mezzo, capra, o ti divoro.»

Un brivido mi scosse le membra e mi sentii come quando Gage Bryce mi stava trascinando con sé. Avevo visto il mio riflesso nel vetro e non mi ero riconosciuto. In quella circostanza fu il mio tono, freddo, un tetro ringhio, a farmi pentire. Il sangue in sé ancora non mi attraeva, il sapore era buono – mi frizzava in gola – però il mio problema era domare l'istinto di cacciare, di trovare una preda viva e di ucciderla per mangiarla. Sognavo di farlo, di scuoiare un cervo intero e inzupparmi del suo sangue.

Quei sogni persino Hypnos li evitava.

Kiral scosse la testa. «Sei in punizione» decretò severa. «Niente videogiochi e telefono per...» Ci pensò. Di solito era Azrael a occuparsi di quelle cose e lui si dimenticava in fretta persino dei suoi stessi ordini. «Un mese. Anzi, due. Niente uscite fuori dal perimetro e dovrai andare a lezione tutti i giorni.»

«Passi le lezioni, ma le mie uscite no!» la implorai. «Devo vedere Aileen.»

Il mio tono era quasi una preghiera e lei non abboccò. Sapeva che fossi bravo a mentire.

«Finché non cambi atteggiamento le tue uscite te le scordi. Non voglio essere il genitore cattivo, ma te lo meriti.»

«Matthew darebbe ragione a me!»

«Oh, su questo ho forti dubbi. Se Azrael osa soltanto farti vedere il computer giuro sullo Stige che lo ammazzo.»

Cercai di rigare dritto, o almeno mi ingegnai così tanto da scoprire le uscite segrete di cui disponeva il rifugio. Il primo Quartiere era sorto in Alaska, in cima al monte McKinley, e Thor aveva fatto costruire dei passaggi segreti fino a valle per scampare dai pericoli. Leggendo e studiando le vecchie planimetrie scoprii che tutti i rifugi erano simili. Preso dalla noia li trovai tutti.

Ripresi a frequentare le lezioni con assiduità e mi concentrai sui libri, nonostante i miei pensieri fossero sempre su Aileen. Lei mi teneva compagnia nella mente, mi faceva vedere il vecchio castello in cui abitava, l'immenso giardino sempre in fiore di sua madre e la sua collezione di libri. Da quando aveva conosciuto me si era interessata molto ai Demoni, erano il suo argomento preferito. E la musica. Aveva trovato un vecchissimo vinile e lo teneva sotto il letto come un tesoro.

Ero sul letto e stavo tirando una pallina da tennis sopra la mia testa, prendendola al volo. Le stavo proprio raccontando di come odiassi stare chiuso al rifugio senza avere niente da fare, specialmente non potendola vedere, quando mio padre corse da me e mi tirò con sé.

«Non ho fatto niente! Non ho fatto niente!» mi difesi, credendo ce l'avesse con me.

Il suo sogghigno malizioso mi fece intendere che ci fosse un brio nell'aria e dovetti lasciare Aileen. Papà mi portò nella sala delle assemblee dove ad attendermi c'erano mamma e altre quattro persone che non avevo mai visto.

L'unica persona che mi saltò subito all'occhio era Thor. La sua armatura scintillava come i suoi lunghi capelli biondi, gli occhi erano del colore del cielo, blu tempesta. Con quel metallo addosso parve un vero guerriero nordico e il mantello rosso gli sfiorava le caviglie. La sua aura era serena, dolce come la primavera ed elettrica, carica di fulmini. Li vidi riflessi nei suoi occhi e, seppure mi rivolse uno sguardo gentile, pieno di emozione, mi impettii.

Al suo fianco c'era quella che doveva essere la moglie, una donnina esile dalla pelle bruna e un fitto cespuglio di capelli in testa. I suoi occhi erano vitrei, senza vita, mentre dietro di lei c'erano due giovani ragazze, una dai capelli rossi e una castana.

«Thor» sibilai affascinato. «Woah! Sei pazzesco! Sei esattamente come ti immaginavo!»

Corsi e gli saltai vicino, ammirando l'armatura splendente. Stringeva mjöllnir nella mano destra e aveva una presa talmente salda da farmi pensare che fosse amalgamato al metallo divino.

«Come mi immaginavi?» mi domandò scherzoso.

«Come un gran figo!» Rise così forte da farsi venire le lacrime. «È vero che puoi comandare i fulmini, che puoi creare campi di forza e tempeste? Voglio assolutamente vedere una tempesta di fulmini!»

Azrael alzò le spalle. «Scusalo, è la prima volta che vede un dio.»

«Ed è fantastico!» fischiai. «Ho letto una marea di libri su di te, so che hai sconfitto i giganti dei ghiacci, che hai difeso il mondo e che sei uno degli eroi della guerra di New York. Hai persino i guanti del potere!» Ero troppo carico per calmarmi. «E tu sei By! Mamma mi ha parlato di te.»

La donna mi sfiorò la mano e fu toccata da una scarica elettrica che la fece sobbalzare. Era un essere umano e come tale fu percorsa dal mio potere dal cervello fino ai piedi, in un bagliore improvviso. Le chiesi se fosse tutto okay e lei annuì sorpresa.

«Sei...» non trovò le parole.

«Speciale? Lo so» mi vantai.

«Ragazzo!» mi chiamò Thor e io saltai sull'attenti. Ebbi la stupida movenza di fare il saluto militare e all'ultimo mi trattenni. «È davvero un miracolo vederti qui, vivo e pieno di salute. Appena nascesti ero molto dubbioso su di te, lo ammetto, e dubitavo saresti sopravvissuto senza i tuoi genitori. Il tuo custode mortale ha fatto un buon lavoro.»

Feci una smorfia. «Mio padre Matthew» lo corressi e lui non capì l'antifona, si limitò a farmi un sorriso genuino e darmi una pacca sulla schiena.

Ci sedemmo al tavolo e mi feci raccontare delle vicende del Quartiere e di come stessero andando le cose al giorno d'oggi. Il rifugio in Alaska era caduto per sempre e, seppure lo avessero ricostruito – almeno la base – avevano evitato di aprirlo. Lo usavano come deposito di sicurezza. Le altre strutture erano sorte in Canada, in Cina, in Norvegia, in Russia, in Giappone e in Svizzera. Thor ora abitava in Canada con le cinque figlie adottive e la moglie By, dirigeva il più grande rifugio al mondo e teneva d'occhio allo stesso tempo ogni creatura dai movimenti sospetti. Dopo New York aveva preso contatti fissi con l'OverTwo e li aiutava spesso per quel che poteva, intervenendo quando le situazioni si facevano più intense.

«E gli Antimaghi?» domandò Azrael.

Io e mamma roteammo gli occhi. Parlava della famiglia Graves come se fossero anticristi. Io li avevo cercati per un po', ma l'unica notizia che avessi di loro fu che la ragazza che si era introdotta al rifugio fosse conosciuta come "la strega del fuoco", un nomignolo fin troppo pretenzioso, persino per i raffinati gusti di un Demone.

Thor alzò la mano per lasciare perdere l'argomento. «Ora basta, Azrael. Amico mio, sai che non ci intromettiamo in simili faccende. Le rivolte sociali sono all'ordine del giorno nel nostro mondo, anche se fossi intervenuto qualcun altro avrebbe preso il posto di Anselm Graves. Vi hanno derubati di una Reliquia per via della vostra scarsa attenzione.»

Il Demone grugnì. «È l'eluisi, Thor. Potrebbe usarla contro di noi.»

E poi fu un azzardo a dire che fosse colpa nostra se un intruso fosse entrato nel bel mezzo del pandemonio. Io avevo rischiato di morire e mamma era andata in crisi. Avrei voluto vedere quel tizio al nostro posto e vedere le sue prodi opere.

«Anselm Graves è un uomo di mezza età adesso, fa muovere i figli per suo conto. Che paura ti fa?» lo sfidò e Azrael evitò di rispondergli. «Ad ogni modo Graves è felice nel suo impero. I maghi sono terrorizzati da lui, ho provato a contattare persino un mio vecchio contatto, Balthazar Bain, e gli ho chiesto di tenerlo d'occhio. Ha una figliastra.»

«Chi? Il mago?»

«Graves. Una figlia bastarda. Dicono che la madre fosse una maga.»

Azrael alzò le spalle e io rammentai la faccia della ragazza che avevo visto quella notte, gli occhi decisi, conscia del suo enorme potere. Se sua madre era una maga e suo padre il più grande Antimago vivente, questo faceva di lei un'Ibrida. Una della mia razza.

«Per quanto riguarda l'altra faccenda ne ho parlato con Alees. Sai bene che l'Esercito è sempre sulle proprie e non ha ottenuto alcuna informazione. Metterò degli uomini al confine, ma gradirei avere conferma dai principi infernali» continuò Thor serio. «Mi serve il loro consenso.»

Gettai un'occhiata all'uomo e poi a mio padre, provando a capire che diamine avessero in mente di fare, specie senza di me. Mi consideravano ancora un bambino e per via del mio comportamento mi escludevano spesso da quelle questioni, sapendo che mi interessassero.

«Che succede?» feci curioso.

«Niente, As» mi liquidò Azrael sbrigativo. «Cose nostre.»

«Tuo padre è sempre il solito megalomane. So che sei preoccupato per la situazione, ma se i Demoni si stessero organizzando lo sapresti. Questa non è opera dei Caduti, non se ne vedono da sedici anni. Quello di Parigi è un fatto isolato ed è colpa di quei pazzi.» Mi schiarii la gola per attirare l'attenzione. «Solo preoccupazioni. Una vecchia chiesa a Parigi è andata a fuoco, pensavano contenesse delle vecchie Reliquie della guerra, ma non è così. Gli Eretici non hanno trovato niente. Assomigli più a tua madre che a tuo padre, As, e in base a ciò che ho sentito su di te, il carattere è allo stesso modo sfrontato.»

Schioccai la lingua. «Chi lo dice?»

«Lo vedo da me. Tua madre mi faceva uscire di senno. Era una pazza scatenata e creava guai di continuo. Ti ricordi quando hai fatto a pugni nei dormitori o quando te ne sei andata nel bel mezzo dell'inverno? Ti avrei chiuso nelle prigioni!» ricordò, divertendosi di quelle memorie che anni prima lo avevano fatto agitare.

Kiral incrociò le braccia. «Mi avresti cacciata, Thor. Di' le cose come stanno. Mi hai fatto restare solo per Azrael.»

Thor annuì e mi disse ridendo di quanto Kiral fosse stato un vero terremoto: dava problemi a tutti, fuori e dentro il Quartiere, e il suo atteggiamento supponente la faceva passare dalla parte del torto. Scappava ogni qualvolta potesse, girovagava tra i boschi e, come me, aveva problemi con le autorità.

«È vero. In questo sei proprio figlio di tua madre!» esclamò By vivace, bevendo il suo tè. Mea e Sersi, le loro figlie adottive, stavano sonnecchiando, stremate dal lungo viaggio. «Io e lei ci sentiamo ogni settimana e mi ha messa al corrente che ti diverti a fare di testa tua. Hai una fidanzata?»

«Si chiama Aileen» borbottai e Thor annuì saggio.

«Mi ha detto che è un Angelo, vero?»

«Mi ha detto che i suoi vivono vicino Bergen da anni e non si sono mai spostati per sicurezza. Hanno varcato i cancelli per trovare un posto pacifico dove mettere radici. A sua madre piacciono gli esseri umani.»

Gli Angeli erano creature fedeli e stabili, di rado cambiavano regione o si spostavano. I Demoni scappavano dall'Inferno di continuo e varie creature vagavano sulla Terra per creare nidi e tane. Ignoravo la loro società, se fosse loro concesso andarsene e creare una famiglia. Avevo conosciuto Aileen e dovevo ringraziare ogni dio, santo e demonio esistente per quel dono.

«Un Angelo» ripeté Thor pensoso. «Dovreste essere nemici naturali. Si dice... insomma... che le aure si respingano, avete del tutto i poli opposti.»

Eppure, pensai, in fisica i poli opposti erano quelli ad attrarsi.

Fu un modo educato per farsi i fatti miei e io ero felicissimo di parlare di Aileen. «No, lei è magnifica! Profuma di fiori e la sua magia mi rasserena, è la persona più buona sulla faccia della Terra e... ne sono innamorato» parlai con fare docile.

Mamma e By fecero dei gemiti dolci, mentre le due ragazze mi lanciarono uno sguardo di scherno. Benché fosse vero che Demoni e Angeli fossero nemici naturali, io e Aileen eravamo stati da sempre attratti come magneti e una parte di me credeva con tutto se stesso che fossimo destinati a stare insieme.

Thor picchiettò le dita sul tavolo. «Un Angelo qui... buffo» ripeté. «Perché lei? Le creature della tua... razza...» Strinsi gli occhi, colpito dal termine. «Non preferiscono le Succubi o...»

Si mangiò le parole a disagio e fu anche perché Sersi gli dette un pizzicotto sul fianco. Azrael conosceva un sacco di Succubi e a volte venivano a fargli visita, erano creature diverse, più pacifiche dei veri Demoni e si nutrivano delle emozioni umane. Molte vivevano sulla Terra come bellissime donne e ricoprivano ruoli importanti in qualunque società. Kiral non le sopportava. Io le trovavo graziose, un po' impiccione. Papà mi aveva detto che Gaia, una Succube, avesse perso la testa per me e mi ero sentito molto in imbarazzo.

C'erano tantissimi motivi per cui Aileen era diventata il mio primo e ultimo dei pensieri. Era arguta, splendida e non si arrabbiava mai, persino quando per farle una sorpresa avevo ucciso un leprotto per farci un barbecue. Per lei ogni vita aveva un valore e me lo aveva insegnato. A me piacevano le ragazze bassine, quelle con le labbra che profumavano di burrocacao, quelle che ridevano così forte da coprire il frastuono del mondo e che quando ti guardavano facevano scomparire la terra dai piedi.

Aileen era tutto questo.

Mi toccai il petto, sperando che capisse. «Quando canta mi sento morire. Mi fa stare bene.»

Mea si svegliò subito. «Un Angelo ha cantato con te? Cavolo, ti ama davvero allora, quegli smorfiosi cantano solo per chi amano.»

Thor corrugò la fronte guardingo e Kiral sospirò. «Può cantare e ballare, ma distrae As dalle sue lezioni. Ora è in punizione» si elogiò da sola, convinta di aver fatto una cosa buona.

«Questo non gli impedirà di fare di testa sua. Dammi retta, As, controllare la magia e allenarti è una parte fondamentale della crescita. Il figlio di McKingsley è qui, vero? Zero era un talento naturale, uno dei migliori» esclamò fiero.

Battei il pugno sul tavolo e lo feci ammutolire. «Io sono più forte.»

«Quanto forte?» mi domandò il dio.

«Molto forte.»

Gli dei erano creature egocentriche, quasi ogni cosa nel mondo era stata creata grazie alle credenze della razza umana e magica, i pensieri e preghiere avevano dato vita a moltissime leggende, compresa quella del magnifico Thor. Come altri era nato e vissuto in una vita dove gli umani pregavano le sue gesta e, ancora in tempi moderni, gli rivolgevano pensieri colmi di ammirazione.

La mia era una provocazione sottile e, come pensai, ci cascò. L'uomo possente si tolse il mantello e si inclinò in avanti, mentre Kiral fece un lungo lamento, capendo dove volesse andare a parare. Posò il gomito sul tavolo e alzò il braccio destro.

«Vediamo quanto sei forte, ragazzino» berciò convinto.

Mea e Sersi risero di gusto e By tentò di far ragionare il marito senza successo. Thor era la reincarnazione della potenza e della furia del fulmine, poteva spaccare montagne senza ombra di fatica e il pensiero di essere messo al secondo posto da un cucciolo lo fece imbestialire. Azrael rimirò la scena con interesse e decise di non intervenire.

Mi sistemai di fronte a lui e ci afferrammo la mano, giocando a braccio di ferro. Era il doppio di me e avvertii un'onda di magia folgorante invadermi i polpastrelli. Già al primo tocco aveva tutta l'intenzione di vincere. Non me ne fregò nulla se fosse un dio e avesse alle sue spalle eserciti interi, avevo voglia di distruggerlo.

Quando iniziò ci mise subito forza e io tenni dritto il braccio, senza fatica. Fu una sorpresa per lui dato che non si aspettò affatto una simile resistenza. Contava a battermi subito perché i Demoni avevano la brutta abitudine di diventare cattivi all'angolo. Le nostre mani sudarono e mantennero l'equilibrio, spostandosi di pochi millimetri. Cominciai a pensare che fosse stata una pessima idea sfidare un dio, la sua forza aumentava ad ogni muro che creavo e Thor puntava a distruggerli tutti.

«Tesoro, vacci piano» lo ammonì By. «Gli farai del male.»

Emisi un verso strozzato e il peso si inclinò verso di me, dimezzando la distanza al tavolo. Avevo un male incredibile alle dita, al polso e soprattutto allo stomaco. Mettere una simile pressione alle braccia era stremante e i muscoli del dio si tesero, massimizzando lo sforzo fisico. La sua magia faceva a pugni con la mia, mi girò la testa, e persino il grande Thor cominciò a soffrire per non riuscire a mandarmi al tappeto con la scioltezza con cui era partito.

Mi faceva male ogni muscolo nella parte destra del corpo e fui pronto a rompermi le ossa della spalla pur di non perdere. Col cavolo che lo avrei fatto vincere pur di smettere di provare quel dolore, avevo affrontato cose peggiori e rifiutavo l'idea di venire preso in giro da un tizio simile. Dopo Gage Bryce la paura aveva lasciato posto all'odio e Alfie aveva ragione: ne ero pieno.

Accantonai la paura e mi lanciai travolgere dalla rabbia. Le ossa del braccio scricchiolarono, si ruppero e subito si ricomposero per affrontare quell'uomo mostruoso. La magia defluì in ogni fibra, avvolse i muscoli e li rese più resistenti. Il braccio di Thor tremò e, lentamente, tornammo al punto di partenza e si piegò dall'altro lato. La sua faccia diventò rossa e strinse le labbra, nonostante questo non poté più fare niente. Se mi avesse battuto significava che fossi un debole, che non avrei potuto proteggere nessuno, tanto meno Aileen e il pensiero di vederla ferita mi incendiò. Ero stanco di essere al centro delle preoccupazioni altrui.

Spinsi il suo braccio al lato opposto e fu così distruttivo che il tavolo su cui eravamo seduti si spaccò a metà e Thor saltò in piedi, massaggiandosi il polso. Io ero ancora inebetito e nascosi la mano in tasca, mascherando le unghie che nel frattempo erano cresciute in piccoli artigli. Con la punta della lingua sentii il canino crescermi nelle gengive.

Avevo la voglia di saltargli al collo e di conficcargli i denti nella pelle. Mossi un passo e Azrael mi afferrò la coda che, nel frattempo, mi era scivolata fuori dai pantaloni. Emisi un gemito affannato e tremai. La coda era la parte debole dei Demoni e quando me l'afferravano con furia mi girava la testa. La nascondevo per quello.

«Che forza incredibile...» borbottò Thor stupito. «Ti sei rotto le ossa.»

«Sì, e allora?» puntai. «Ti ho battuto. Ho vinto, dio del tuono.»

Thor lanciò un'occhiata alla moglie e lei mormorò qualcosa. Pensai che si sarebbero arrabbiati, al contrario il dio esplose in una grassa risata e mi tirò a sé, stringendomi tra le braccia.

Forse ero davvero un mostro, ma dovevo esserlo per proteggere me e gli altri. 

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