Chapter 6 - Siddiq

Carl continuava a sostenermi, solo una volta si fermò: per prendere un altro sacchetto con del cibo e dell'acqua dentro al suo zaino, facendomi però sedere contro il tronco di un albero, per poi ricaricarsi il mio peso sulle sue spalle. Non parlavamo, stavamo attenti nel percepire anche il minimo suono, soprattutto quello di passi. Umani, magari. Dopo circa una mezz'oretta sentimmo dei rantoli, per questo ci bloccammo immediatamente sul posto, ma il Vagante non arrivò, così come il suono dei passi. Decidemmo di avanzare lo stesso, visto che il pericolo sembrava non esserci, per poi continuare la nostra ricerca del misterioso ragazzo. Più avanti trovammo un Vagante -da cui provenivano i rumori che avevamo sentito- incastrato in un palo di legno usato come trappola, mentre cercava di prendere un sacchetto di plastica.
E poi arrivò lui, che saltò fuori dal nulla, come un tuono a ciel sereno: accoltellò il Vagante da dietro, approfittando così della sua distrazione; Carl mi posò vicino al tronco di un albero, voltandosi poi verso il ragazzo.
"Hey," lo chiamò, cogliendo di sorpresa sia lui che me; l'altro lo riconobbe quasi all'istante. "è stato mio padre, erano solo colpi d'avvertimento; non voleva spararti." Non riuscivo a capire di cosa stessero parlando, ma a quanto pare l'altro ragazzo lo sapeva perfettamente. Carl si avvicinava sempre di più, passo dopo passo e con calma, niente fretta. "Mi chiamo Carl."
L'altro non rispose subito, rimase in silenzio a guardarlo, o meglio, osservarlo: cercava di identificare tutto nel ragazzo, come se gli stesse leggendo la sua vita in faccia; si guardò anche intorno, vedendo se c'era qualcun altro. Non mi vide.
Dopo un po', si decise a rispondere: "Siddiq."
Quindi era quello il nome di colui che stavamo cercando, per il quale avevamo fatto strada e strada attraverso i boschi: aveva la carnagione di un marrone chiaro sporco, i capelli scuri quanto gli occhi.
Carl gli porse il sacchetto trasparente che aveva precedentemente preso dal suo zaino, con all'interno una bottiglia d'acqua ed un panino.
"Cibo e acqua." Lo informò, facendogli segno che erano per lui e poteva prenderlo.
"Perché?" Gli domandò confuso Siddiq, guardandolo dubbioso ed aggrottando le sopracciglia scure.
"Parlavi..." Carl si bloccò, guardando verso il basso mentre pronunciava questa frase e rialzandolo quando andò avanti a parlare: "di qualcosa che ha detto tua madre... sull'aiutare le persone;" Fece un respiro profondo prima di dire, con voce carica di malinconia e tristezza: "mia madre diceva che si deve fare la cosa giusta. A volte è difficile capire quale sia, ma altre volte non lo è." Si sentiva che gli faceva male parlare e ricordare sua madre, una pugnalata al cuore e alla memoria ad ogni piccola parola; quello era un segno di fiducia da parte di Carl, anche se non lo conoscevo bene -anzi, proprio per niente-, riuscivo ad intuirlo.
Carl avanzò di un altro passo, lanciando il sacchetto di plastica e facendolo atterrare ad un metro da Siddiq, il quale si avvicinò e cadde in ginocchio; strappò la busta di plastica e prese la bottiglia d'acqua in modo frenetico, la aprì frettolosamente e la scolò in poco tempo. Carl lo guardava sorridendo, senza mostrare i denti, ma era un sorriso sincero; fece sorridere anche me, quasi come se ne fossi stata contagiata.
Siddiq abbassò la bottiglia vuota in grembo, guardando prima Carl, per poi abbassare lo sguardo e sussurrare, con voce gutturale: "Grazie".
"Ce l'ho fatta a trovarti." Rispose lui, rivolgendogli uno sguardo gentile.
"Mi stavi... Cercando?" Chiese con un filo di voce Siddiq, rialzandosi in piedi con la bottiglietta ancora in mano.
"Sì, ho preso delle sardine e altra roba." Gli rispose, annuendo. "Io e mio padre abbiamo una comunità;" Carl si voltò verso di me, indicandomi, per poi dire: "anche lei è nuova, si chiama Gwen. L'ho trovata stamattina e per miracolo sono riuscito a portarla con me, andando contro mio padre come sto facendo adesso con te."
Siddiq mi rivolse uno sguardo curioso ed un po' impaurito, facendomi distogliere lo sguardo per il disagio che mi causava; tornò poco dopo a guardare Carl, come a dirgli che era interessato a ciò che stava dicendo.
"Ti farò qualche domanda, devi rispondere sinceramente, okay?" Gli chiese, continuando ad avvicinarsi.
"Okay." Acconsentì l'altro.
"Quanti Vaganti hai ucciso?" Quella situazione mi sembrò un deja-vu; era la stessa identica domanda che aveva posto a me, quella mattina. "So che è difficile tenere..." Non riuscì a finire la frase, visto che lui rispose: "237."
Carl ne rimase davvero sorpreso, dato che non riuscì a trattenere lo stupore che la risposta gli aveva dato.
"Davvero?" Domandò infatti un secondo dopo.
"Uno più, uno meno." Siddiq era sicurissimo della sua risposta, cosa contraria alla mia.
"Quante persone hai ucciso?" Erano proprio le stesse domande che aveva rivolto anche a me. E se fosse cosa abituale chiederle a chiunque entrasse nella comunità? Non avrei saputo dire con certezza.
"Una."
"Perché?"
Siddiq esitò all'inizio sulla risposta, ma alla fine disse: "I morti hanno provato ad ucciderlo, ma non ce l'hanno fatta." Il discorso cadde lì, seguito da una pausa colmata solo dal silenzio.
"Fai trappole per i Vaganti; è così che ne hai uccisi molti?" Gli domandò Carl, cercando di cambiare argomento.
"È... È solo un aspetto." Siddiq esitò di nuovo, ma questa volta molto meno dell'ultima. "Mia madre pensava -o sperava- che ucciderli avrebbe," fece una pausa, cercando le parole giuste. "liberato le loro anime." Carl fece un piccolo cenno della testa, come se stesse annuendo; infatti Siddiq lo interpretò così. "Capisci? Forse... Forse aveva ragione."
"Così non è ancora più difficile riuscire a sopravvivere?" Ormai era da tutto il tempo che si comportavano come se io non ci fossi, nonostante sapessero della mia presenza.
"Non... Non lo so, io..." ribattè Siddiq. "ma si devono onorare i tuoi genitori, giusto?"
A Carl scappò una piccola risata.
"Se onorassi mio padre, non staremo parlando ora." Fece una pausa, prima di decidere, infine: "E non ti porterei nella mia comunità."
La speranza illuminò gli occhi scuri di Siddiq, mentre annuiva e seguiva Carl, che si stava avvicinano a me.
"Scusami se ti ho lasciato qui." Si scusò, aiutandomi a rialzarmi e a stare in piedi.
"Tranquillo, non c'era nessuno in giro." Lo rassicurai, allungando una mano verso Siddiq; se Carl sentiva di potersi fidare, lo avrei fatto anch'io.
"Piacere, io mi chiamo Gwendolyn, ma preferisco Gwen." Mi presentai, mentre lui allungava una mano e stringeva la mia.
"Siddiq." Mi rispose, mentre ci incamminavamo tutti e tre verso il viaggio di ritorno, con Carl che ancora portava il mio peso.

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