La tenuta di Racconigi è rimasta intatta nella sua straordinaria bellezza, con i suoi giardini sempre curati, simili a quelli inglesi che tanto mi affascinano. Da bambino trascorrevo interi pomeriggi tra queste siepi curate e viali alberati, accompagnato dalla mia tata, la signorina Anna.
Ricordo ancora il verde intenso dei prati, i viali che tracciavano ombre dorate sulle fontane, le statue di marmo che sembravano scrutarmi con sguardi eterni e misteriosi. In primavera, la natura si risvegliava in un'esplosione di colori e profumi: il rosa delicato delle rose, l'azzurro delle ortensie, il bianco elegante dei gigli. Le panchine in pietra, immerse tra lavanda e alloro, erano i miei nascondigli segreti. Lì, seduto in silenzio, osservavo i cigni scivolare sull'acqua limpida del lago, affascinato dalla loro grazia.
Un giorno, nella mia irrequietezza, scivolai in acqua mentre gettavo briciole ai cigni. La povera Anna, con il suo abito lungo e il grembiule bianco, dapprima impallidì, poi mi mise in punizione per tre giorni senza il mio pony. Allora mi sembrò una condanna insopportabile, oggi mi fa sorridere.
Cammino tra quei sentieri, ora con Michael al mio fianco. Racconigi non è cambiata. Noi sì.
Le donne vestono in modo diverso, indossano pantaloni e capelli corti, sfidando le convenzioni. Il loro portamento è fiero, libero, eppure non riesco a distaccarmi dalla nostalgia per l'eleganza di un tempo. Amo gli abiti femminili sfarzosi, i corsetti che scolpiscono la figura, le gonne ampie che ondeggiano nei saloni da ballo. Il mondo avanza, eppure dentro di me resiste un legame con l'estetica e il rigore del mio secolo.
Michael mi guarda, sornione. «Ti mancano i nostri abiti?»
Sorrido. «Più di quanto voglia ammettere.»
«E se li trovassimo?» chiede, afferrandomi per mano. «Almeno qui, a Racconigi, da soli... potremmo ricostruire un sogno.»
Un Tempo che non Ricordiamo
Uno strano brivido mi percorre la pelle. Per un attimo, mentre attraversiamo un arco di alberi intrecciati, mi sembra di vedere una scena sfocata... un altro noi.
Michael ride, i suoi capelli biondi scompigliati dal vento, mentre io gli afferro il braccio, trascinandolo sotto una colonna del tempietto. Siamo vestiti di tutto punto: redingote, cravatta, guanti chiari. Racconigi, ma in un altro tempo. Un tempo che non ricordo.
Sento un battito nel petto, qualcosa che mi stringe l'anima. «Michael, eravamo qui.»
Lui si blocca, stringendomi il braccio. «Ale... io sento lo stesso.»
Ma poi la visione svanisce, come sabbia portata via dal vento. Rimaniamo in silenzio, i nostri occhi persi nel vuoto, mentre il ciondolo al mio collo pulsa di una luce flebile.
«Chi sta giocando con il nostro tempo?»
Una Libertà Illusoria
Rientriamo nella foresteria, concessa dal Principe Umberto. Un edificio affacciato sui giardini, vicino al Tempietto di Apollo. Qui, tra mura che hanno ascoltato secoli di sussurri, ci rifugiamo in attesa di notizie su Pietro.
Michael ed io passeggiamo tra le stanze, le finestre spalancate sulla notte. Ogni tanto ci stringiamo le mani, ci sfioriamo con piccoli gesti che in un altro tempo ci sarebbero costati il carcere. Adesso, nascosti a Racconigi, dentro queste mura impenetrabili, possiamo amarci apertamente. Eppure, la libertà che credevo di aver conquistato mi sembra fragile.
Mi lascio trascinare da Michael, le sue dita intrecciate alle mie, come se il tocco potesse ancorarmi a questa realtà che ancora mi sfugge. Il suo entusiasmo è contagioso, eppure dentro di me si agita un pensiero più profondo. La società è cambiata, il mondo ha voltato pagina, ma non sono sicuro che sia per il meglio.
Le donne ora camminano con passi decisi, i loro volti scoperti, i capelli corti come simbolo di una libertà guadagnata con fatica. Una libertà che io ho sempre desiderato per loro, e per tutti. Nel 1850, nei giorni in cui sedevo al Palazzo Carignano, lottavo per un mondo in cui le donne potessero essere istruite, in cui non fossero più solo pedine in matrimoni combinati, in cui potessero scegliere il proprio destino. Credevo nella loro voce, nel loro diritto di decidere, di partecipare, di essere viste come individui, non come estensioni di un padre o di un marito.
E ora, eccole qui. Vestono pantaloni, fumano in pubblico, guidano automobili, scrivono articoli sui giornali. Ma possono forse votare? No. Possono davvero insegnare nelle università? Solo in pochi, rarissimi casi, e sempre sotto la lente della diffidenza. Le più brillanti tra loro faticano a essere riconosciute, vengono ostacolate, limitate, persino relegate a un ruolo secondario quando osano entrare in ambienti riservati agli uomini. La scienza, la medicina, la politica sono ancora una fortezza che non le accetta del tutto.
Ma c'è qualcosa di più inquietante nell'aria, qualcosa che nel mio tempo era meno visibile. Vedo violenza. Vedo repressione. Vedo paura.
Michael mi osserva, percependo i miei pensieri prima ancora che li esprima. «A cosa pensi, Ale?»
Guardo oltre le finestre della villa, dove il vento scuote gli alberi del parco. «Che ho combattuto per un mondo migliore, eppure non so se il mondo sia davvero migliore adesso.»
Lui inclina leggermente la testa, curioso. «Credi che le donne non abbiano conquistato abbastanza?»
Scuoto il capo. «Credo che abbiano ottenuto molto, ma la libertà che crediamo di vedere è spesso un'illusione. Lo Statuto Albertino era stato concesso da Carlo Alberto nel 1848, tra mille esitazioni, e mantenuto da Vittorio Emanuele II. Era imperfetto, certo, ma era un primo passo verso un sistema più giusto. E ora? Ora vedo un'Italia che si chiude, che si rinchiude in nuove gabbie.»
Mi passo una mano tra i capelli, gli occhi persi nel vuoto. Nel 1850 eravamo in guerra con noi stessi per la libertà. Ora vedo un popolo che si sta lasciando soffocare, lentamente, senza reagire. Le libertà non sono state ampliate, come speravo, ma ristrette. Le leggi fascistissime non sono solo parole su un foglio: sono la prova che tutto ciò per cui ho lottato sta crollando.
«Non è questa l'Italia che ho immaginato,» mormoro a fior di labbra.
Michael mi studia con attenzione. «E com'era quella che immaginavi?»
Sorrido amaramente. «Un'Italia che cresceva nella giustizia, non nella paura. Un'Italia che non si costruiva sulla repressione. Lo Statuto Albertino non era perfetto, ma era un inizio. Credevamo che col tempo avrebbe portato a un sistema più giusto. E invece, guarda cosa sta accadendo: le leggi si inaspriscono, la libertà di pensiero viene soffocata, la repressione aumenta. Chiunque osi sfidare il potere viene emarginato, perseguitato, eliminato. Persino le donne, che sembrano più libere nei gesti, nelle mode, nei costumi, sono ancora incatenate a un sistema che le vuole belle da vedere, ma mute quando si tratta di decidere.»
Michael mi prende il mento tra le dita, costringendomi a guardarlo negli occhi. «E noi?» chiede, con quella voce che sa sempre come scuotermi.
Respiro a fondo. Noi. Noi che in un'epoca eravamo un'ombra, e in quest'altra siamo un reato.
«Per noi è ancora più difficile, Michael.»
Lui annuisce. «Lo so. Nel nostro tempo eravamo perseguitati nel silenzio, oggi ci perseguitano per legge. Prima si fingeva che non esistevamo, ora ci mandano al confino.»
Il suo tono si fa più cupo, e so che ha ragione. Nel mio tempo, bastava essere discreti. Ora basta un sospetto per essere marchiati. I governi cambiano, le epoche passano, ma per chi ama fuori dagli schemi, il mondo resta sempre lo stesso: un campo di battaglia.
Michael sospira e, con un sorriso sornione, stringe di nuovo la mia mano. «E allora torniamo nel nostro tempo, almeno per questa sera.»
Annuisco, lasciando che il gioco ci porti via, almeno per qualche ora. Ma dentro di me, so che il tempo non è solo una linea da attraversare. È un ciclo che si ripete, un'illusione che cambia forma, ma non sostanza.
E poi mi chiedo: perché Vittorio Emanuele III ha messo da parte lo Statuto Albertino? Perché ha lasciato che tutto ciò accadesse?
Non trovo risposte. Forse perché il potere teme sempre la libertà. Forse perché la paura è un'arma più efficace delle baionette.
Anche nel 1925, come nel 1850, la libertà è solo un privilegio concesso a chi si adegua. Ma io non mi adeguerò mai.
Il Duce non mi ha ricevuto. Forse non mi riceverà mai. Ma il telegramma che ho ricevuto oggi mi ha informato che Pietro sarà trasferito a Torino. È un inizio.
Accanto al camino, la fiamma getta ombre tremolanti sulle pareti. Il letto è al centro della stanza, lenzuola di lino profumate di lavanda.
Michael mi stringe tra le braccia. «Mi ami tanto, vero?»
I suoi occhi, illuminati dal fuoco, sono un universo in cui vorrei perdermi. «Più di quanto le parole possano dire.»
Lo bacio con passione, assaporando il calore delle sue labbra, la dolcezza del momento. «Spero che questo amore travolga anche il tempo,» sussurra contro la mia bocca.
Le nostre mani si intrecciano, la pelle brucia sotto il tocco dell'altro. Il ciondolo pulsa di nuovo.
E in quel momento, mentre le nostre anime si fondono nel desiderio, sento che il tempo non ci ha mai separati veramente. Forse ci ha solo messo alla prova. «Spero che questo amore travolga questo tempo,» sussurra Michael, il suo respiro caldo e intimo contro il mio viso. «Mi fai sentire vivo, vivo, amore, e come mai prima.»
«Anche tu mi fai sentire così,» rispondo, accarezzando dolcemente il suo viso. «Ogni istante con te è una dolce follia.»
Le nostre mani si intrecciano, e sento il suo calore che brucia la mia pelle. Il desiderio cresce tra di noi, un fuoco che mi stordisce il corpo quanto quello nel camino. Michael mi bacia ancora, più profondamente, e il mondo intorno a noi sembra svanire.
«Voglio che questa notte,» dice Michael, la sua voce è carica di un desiderio magico, tremolante, sinuoso, bellissimo, estremamente erotico. «Voglio perdermi dentro di te, Alessandro.»
«Anche io voglio perdermi fra la tua pelle,» rispondo, sentendo tutto l'erotismo del mondo e del ciondolo che ci avvolge. «Ti voglio, ti voglio!»
Ci lasciamo andare completamente, abbandonandoci al piacere e alla passione che ci uniscono. Il calore del fuoco ci avvolge, mentre i nostri corpi nudi e sudati si incontrano in un'intimità profonda e travolgente. Ogni bacio, ogni tocco, ogni sussurro, ogni carezza sul mio petto, e sulla sua leggera peluria, è carico di amore e desiderio folle. Il ciondolo mi sconvolge la pelle e fa sentire Michael avvolgente come un batuffolo di organza che massaggia la nostra intimità, al di sotto delle increspature del cuoio della cintura.
In quella stanza, sotto le mura di Racconigi, il tempo sembra fermarsi. Siamo solo noi due, persi l'uno nell'altro, dentro l'altro, con la promessa di un amore. Ci addormentiamo così, avvolti nella bellezza delle nostre labbra, con la certezza che, qualunque sia il tempo o il luogo, il nostro amore sarà sempre la nostra libertà e forse chissà, anche quella della mia cara sorella e di Pietro.
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