8 - Sindrome

"Nell'impossibilità di poterci veder chiaro,

almeno vediamo chiaramente le oscurità."

- Sigmund Freud -

NASH

Mi tiro su da terra e mi dirigo all'appuntamento; arrivato allo studio, suono il citofono, e appena il portone viene aperto, sento un "click" che mi indica che posso entrare.

Sono in leggero ritardo, ma non credo sia un problema. Appena busso alla porta, lo psicologo Kevin Dilon mi apre e mi sorride, benevolo. Io ricambio, un po' impacciato, e oltrepasso l'uscio.

Oggi indossa un paio di pantaloni marroni a quadratini bordeaux e un maglione beige accollato che lo invecchiano molto. Spero non mi dica nulla per il ritardo.

È un uomo simpatico, mi trovo molto a mio agio con lui; non è tanto tempo che lavora come psicologo, ha circa quarant'anni, anno più, anno meno. Ha capelli e occhi castani, e dei baffi che farebbero invidia a molti hipster! Sono in terapia da lui da cinque anni, e quando ho iniziato avevo sbalzi d'umore repentini e amnesie. Non porta il camice, né tantomeno gli occhiali come invece fa la maggior parte dei dottori. Tutto sommato è anche un bell'uomo, ma stranamente non è sposato. O almeno, io non gli ho mai visto portare la fede.

Appena entro, mi saluta dandomi una pacca sulla spalla. «Come va, campione?»

«Non c'è male» rispondo sinceramente. Ho ancora nella mente il ricordo del bacio con Lucy, che mi fa volare a un metro da terra.

Mi dice di sedermi sul divano in pelle nero e così faccio. «Mettiti comodo e rilassati. Devo dirti una cosa importante.» Lui si accomoda dietro la scrivania e si porta davanti agli occhi quello che credo sia il mio fascicolo. «Non so se ti ricordi, l'altra volta abbiamo fatto di nuovo un po' di ipnoterapia.» Annuisco, titubante. «E alla fine ti ho confidato un nostro segreto, ti ho chiesto se ti potevo registrare e hai risposto di sì, quindi l'ho fatto. Voglio fartela sentire.»

Mille pensieri mi balzano in testa e con essi anche preoccupazioni che non so come seppellire. Che segreto? Perché un segreto? Mi devo preoccupare?

Mi guarda con attenzione, piegando la testa di lato, e fa un cenno affermativo con la testa, come se parlasse con sé stesso. Chissà a cosa sta pensando...

«Ok» dico con voce roca; me la schiarisco e ripeto con più fermezza la mia risposta affermativa.

Il dottor Dilon fa partire un piccolo registratore che ha connesso tramite bluetooth alle casse. Sento subito la mia voce, che però stento a riconoscere. Ha una strana sfumatura che normalmente non gli attribuirei.

«Devo confessarti un pensiero che ho sempre in testa dalla scorsa seduta; è come se un blocco di ghiaccio si fosse sciolto... Faccio sogni strani e non riesco più a essere tranquillo; mi sento depresso e come se fossi prigioniero in una gabbia che nessuno vede. Mi sento... impotente, come se non avessi più le forze per reagire.»

Le parole vengono pronunciate senza il minimo sforzo, non devo neanche concentrarmi su cosa dire, perché le frasi escono dalla mia bocca senza pensarci troppo. Almeno questo è ciò che capisco ascoltandomi.

«Dimmi tutto, Nash» afferma Kevin per rassicurarmi.

In questo momento è piegato con i gomiti sulle ginocchia e mi sta fissando con attenzione, sembra voglia cogliere qualunque mia reazione, come se avesse paura che io possa fare un gesto impulsivo, e questo mi fa venire una leggera angoscia. Ho la sensazione che non si fidi di me. Perché?

Poi un urlo e dei singhiozzi isterici riempiono lo studio in cui ci troviamo; non si sente più niente, solo qualcuno piangere in maniera irrefrenabile. Sbarro gli occhi e sento il cuore scoppiarmi fuori dal torace. Che sta succedendo?

Sto per alzarmi e andarmene, ma Kevin mi fa cenno con l'indice di rimanere in silenzio e ascoltare. Decido, quindi, di restare seduto. Qualcuno nella registrazione tira su con il naso, probabilmente sono io.

«Vuoi un fazzoletto?» domanda Kevin nella riproduzione audio.

«Sì, cazzo» dice il ragazzo che mi sembra di non riconoscere. «Sei proprio un pezzo di merda a farmi questo.»

Trasalisco. Questo non sono io.

«Perché?»

«Perché...» deglutisce, «mi fai piangere come una femminuccia, come un debole, ed è colpa tua.»

«Nash, non c'è niente di male a sfogarsi. Puoi dirmi tutto, lo sai.»

«E non chiamarmi così!»

Si sente un boato assurdo, di oggetti che cadono e si frantumano; una sedia colpisce il pavimento. Qualcuno ha gettato a terra dei mobili e altri oggetti. Sono stato io?

«Calmati, Nash! Non è successo niente. Scusami per averti chiamato con quel nome...» dice Kevin per tranquillizzarlo, ma l'interlocutore con la voce simile alla mia ride fragorosamente. Capisco, però, che non è una risata di gioia ma, al contrario, di sofferenza e disperazione.

«Tu pensi di riuscire ad aiutarmi, ma non si può salvare un'anima dannata.» Ha la voce in frantumi.

Continuo ad ascoltare e capisco che il ragazzo, me, si è alzato in piedi e si è mosso con velocità, colpendo il tavolo con un pugno, credo dove è posato il registratore, perché si avverte un tonfo ed è come se fosse precipitata anche la scrivania. Si sente qualcuno ansimare, in cerca di aria. Qualcuno che soffoca.

«Sm...smett...ila... Na...sh.»

«Io non sono Nash» ride l'alieno. «Il mio nome è Malek.»

Un colpo secco, e qualcuno cade a terra.

Sono paralizzato, cerco di capire cosa stia succedendo, ma mi basta guardare Kevin per comprendere che non è nulla di buono. Lo osservo e lo vedo mettersi la mano sulla gola.

«Togli la mano» gli ordino.

«Non posso» specifica lui, fissandomi angosciato.

«Certo che puoi, fallo!» gli urlo contro.

«Segreto professionale, Nash.»

Ma che cazzo sta dicendo? «Non c'è nessun segreto se si tratta proprio di me!» Sono furioso. Cosa diavolo è successo? Sono io? Ma io non farei mai una cosa del genere!

Finalmente la sposta dal livido blu che ha cercato di nascondere accuratamente. Ecco perché quel colletto abbottonato...

«Sono stato io a procurartelo?» Mi sento ferito nell'anima e le lacrime mi pungono gli occhi. Che ho fatto? Chi diavolo sono?

Fa un cenno affermativo, poi torna a coprire il livido per nasconderlo ai miei occhi spaventati e sbarrati.

«Oddio, cosa mi succede? Aiutami, ti prego...» Mi trema la voce.

«Hai gettato la scrivania a terra, poi mi hai assalito, volevi strangolarmi; ti ho spinto con il piede e sei caduto indietro, e d'un tratto sei tornato tu, Nash.»

«Che vuol dire che sono tornato io?»

«Che sei tornato te stesso. C'è un motivo se hai spesso amnesie...»

«Cioè?»

«Ragazzo mio... è complicato.»

«Spiegami!» gli urlo contro.

«Soffri di un particolare disturbo della personalità, noto come Sindrome della Personalità multipla.»

Sento il sangue abbandonare il mio viso. «Che vuol dire?»

«Che nel tuo corpo vivono due individui, due personalità distinte. Non sei solo, Nash, siete in due lì dentro.» Sospira per riprendere fiato, perché tutto ciò lo scuote molto. E a me manca il respiro, il cuore ha perso un battito, percepisco l'angoscia assalirmi la gola e il petto. Tremo, ho paura.

«Spiegami di più!» lo scongiuro, urlando. Mi porto le mani nei capelli.

«Nel tuo corpo vivono due persone: Nash, che sei tu, e Malek, il ragazzo violento della registrazione. Non me ne intendo molto, sei il mio primo caso di questo genere...»

«E cosa devo fare?»

«Assolutamente nulla, continueremo con le terapie per scoprire il motivo della tua scissione.»

«È possibile guarire?»

«Sì, ma è un percorso arduo, sia per me che per te. Non so se sarò all'altezza.»

Lo vedo che è angosciato, ma non posso permettere che si arrenda. «Devi guarirmi, capito?», insisto con determinazione.

«Ci proverò.»

«Mi segui da anni, chi meglio di te mi conosce?»

«Faremo delle prove, se sei d'accordo. Dovrò confrontarmi con altri esperti e analizzeremo il tuo caso. Non ti lascio solo.»

Annuisco, sovrappensiero, posando la testa fra le mani. «Non sono solo in ogni caso, a quanto pare.»

«Hai capito cosa intendo...»

Faccio un debole sorriso per dimostrargli che la mia affermazione era ironica.

«Ma senza aspettative troppo grandi.» Si passa la mano nei capelli e io faccio altrettanto. Siamo entrambi molto turbati.

«Ok» dico con malinconia, ricordando la spensieratezza che provavo fino a pochi minuti fa, quando ancora ero solo il ragazzo che aveva baciato la ragazza che ama da una vita.

«Perché non ho riconosciuto la mia voce?»

«Perché effettivamente era un'altra.»

«Ma... com'è possibile?» chiedo, non comprendendo a cosa si riferisca.

«Lo so, è difficile da capire, ma con il mutare della personalità, spesso anche il fisico si può trasformare, come nel tuo caso.»

«Quindi è normale?» Come se ci fosse qualcosa di normale in tutta questa faccenda.

«Sì.»

«Dio, sono un mostro!»

«No, non lo sei, con molta probabilità hai vissuto un trauma veramente grande, che dobbiamo scoprire.»

«Che tipo di trauma?»

«Qualcosa che ti rifiuti di ricordare e digerire, qualcosa che il tuo inconscio vuole nascondere.» Non l'ho mai visto così serio e i suoi occhi mi analizzano da capo a piedi. «Puoi andare, adesso. Vuoi che chiami i tuoi genitori?»

«Cosa devo fare se Malek interviene?» gli chiedo invece.

«Non puoi fare niente: quando c'è lui, tu non esisti. E viceversa.»

Sono fottuto, in sintesi. «Potrebbe uccidere qualcuno mentre non ci sono?» Deglutisco rumorosamente. Questa è la cosa che più temo. Non sono un assassino e non voglio che lo sia neanche l'altro me stesso.

«Non è stupido, non lo farebbe...»

Esco dalla stanza, frustrato e silenzioso. Lo psicologo mi poggia una mano sulla spalla e si sforza in un sorriso debole di circostanza.

«Non devi essere così buono con me, ho provato ad ammazzarti» abbasso gli occhi, mortificato.

«Ti sbagli; Malek ci ha provato, tu non esistevi in quel momento.»

Lo saluto con una stretta di mano, anche se la mia trema leggermente.

Sulla strada del ritorno, verso la fermata dell'autobus, mi viene in mente una citazione di Harry Potter e mi viene da ridere per l'assurdità del mio pensiero: "L'uno dovrà morire per mano dell'altro, perché nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive."

È assurdo, io sono Harry e Malek è Voldemort, pronto a uccidere per non rivelare la verità. Uno dei due deve morire. Scuoto la testa. Non ci posso credere.

E se adesso incontrassi Lucy? Non deve succedere! Lui non deve intromettersi tra di noi. Ma la consapevolezza è strisciante e non posso negare l'evidenza. La verità è che sono io, solo, contro me stesso.

Il mezzo arriva e salgo gli scalini, lei per fortuna non c'è. Mi siedo proprio dietro all'autista e decido di ascoltare un po' di musica.

Mad world - Gary Jules

Hide my head, I want to drown my sorrow

Mi ritrovo a pensare a quanto il mondo sia pazzo: io lo sono, non sono normale. Tutti vedono in me la perfezione, ma in realtà io sono come una bella mela lucente che nasconde il marcio all'interno.

Tutte le ragazze mi girano intorno come uccellini per riuscire a beccare questo frutto così succulento, senza sapere che dentro ci sono i vermi.

Mi addormento senza rendermene conto e arrivo al capolinea; il conducente mi sveglia piano, scrollandomi un po'. Alzo la testa, che pendeva da un lato, in preda al panico. L'uomo che ho di fronte è a disagio.

«Dove mi trovo?» domando, aggrottando le sopracciglia.

«Ragazzo, sei al capolinea, tra cinque minuti l'autobus riparte per la direzione opposta.»

Lo ringrazio e mi precipito fuori. Do una rapida occhiata agli orari dei mezzi e salgo sul prossimo. Stavolta mi metto proprio al centro; scivolo in avanti con le gambe fino a piegare le ginocchia sul sedile di fronte a me.

Ed eccoci alla fermata dove qualche ora fa sono sceso con Lucy. Chiudo gli occhi, cercando di concentrarmi sulla musica e non guardarmi attorno.

Dopo che il mezzo riparte, sento qualcuno togliermi la cuffietta dall'orecchio e sussurrarmi: «Non ti hanno mai avvertito che dormendo in autobus si rischia di finire al capolinea?»

Apro gli occhi di scatto. Questa voce! Mi volto e la guardo. Lucy. I miei occhi incontrano i suoi e il cuore mi balza nel petto. È maledettamente bella.

Distolgo lo sguardo, ma lei invece insiste, osservandomi curiosamente nell'anima. Ci ficca il naso e penso, per un momento, che se mai qualcuno dovesse arrivare a conoscere la verità, quella persona potrebbe essere solo lei.

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