Utopia

"Dio mio." Un urlo mi sveglia il giorno seguente, ho ancora la testa intontita dalla musica forte, mi alzo di scatto con gli occhi ancora semichiusi.
"Nonna." Urlo anche io nel vederla in piedi dritta come un giunco.
"Ma che de? 'O terremoto?" Anche Clemente solleva spaventato la testa dal cuscino.
"Ma quale terremoto." Mia nonna urla stringendo i denti e i pugni.
"Signora Erminia, buongiorno." Le risponde imbarazzato. "Non è come sembra." Lascia sfuggire e fa per alzarsi dal letto.
"Per carità di Dio." Nonna Erminia si copre entrambi gli occhi con le mani. "Ho già visto abbastanza."
"Nonna, calmati, è vestito e questo è solo un malinteso." Tento di spiegarle. "La maglietta era sporca di vomito e l'ho messo a dormire senza." Faccio spallucce.
"Nina, sei una sprovveduta. Fai un figlio con non si sa chi, ti fai trovare a letto con questo coso tatuato." Mi sgrida come se avessi 10 anni e avessi appena rotto il vaso preferito di casa sua.
"Ma cos'è questo chiasso?" Mia madre raggiunge la mia stanza con in braccio Matteo. "Nina, tesoro." Scuote la testa.
"Mamma." La ammonisco. "Non ti ci mettere pure tu."
"Ma si può sapere perché non venite a fare colazione?" Mio padre chiede salendo le scale, si arresta sulla porta. "Oh, ecco perché."
"Oddio santo, ma che vi è preso?" Urlo scendendo dal letto. "Questo idiota si è impasticcato e l'ho fatto vomitare nel cesso della discoteca, non volevo che lo vedesse la sua famiglia e l'ho portato qui, fine del discorso." Urlo e faccio per andarmene.
"E allora andiamo a farci tutti questa bella colazione in santa pace." Dice mio padre sorridendo. "Vieni Clemè, avrai fame."
"Che uomo inutile." Nonna Erminia non può far a meno di commentare. "Trovi tua figlia a letto con questo e gli offri pure la colazione? Qui siete tutti pazzi, tutti. Me ne vado in chiesa a pregare per le vostre anime dannate. Sodoma e Gomorra." Urla lasciando la mia stanza.
Così ci riuniamo intorno al tavolo tondo della nostra cucina, c'è ogni ben di Dio, a mio padre piace la tavola imbandita di cibo e piena di gente.
Consumano tante cose mentre io resto a guardarli, faccio da sfondo a tutta questa contentezza, perché io contenta non sono.
Avrei voluto vedere questo tutti i giorni, che fosse stata la normalità. E invece no, Clemente ha rovinato tutto e tutti lo sanno ma nessuno smette di volergli bene.
Non lo fa mio padre che lo ha sempre trattato come un figlio, da quando usciva per le strade con i calzoncini e facevano i palleggi. È stato proprio papà a insegnarglieli.
Non lo fa mia mamma che è amica della sua da sempre e che curava le ginocchia sbucciate che Clemente si faceva giocando a calcio con mio padre.
E non lo faccio io, perché, non lo so.
"Nina, amore, mangia." Mio padre mi mette un cornetto avanti alla faccia.
"La porta, apro io." Mia mamma va all'ingresso. "Vieni, tesoro."
Ritorna in cucina e al suo fianco appare Milena.
"E tu che ci fai qua?" Chiede a suo fratello, la mascella quasi sembra caderle, ha una faccia che è un misto tra sorpresa e contentezza.
"Clemente è passato per me e gli ho chiesto di restare a colazione." Mio padre prende parola.
"Sei passato per lui, eh?" Milena lo punzecchia, si fa poi largo intorno al tavolo e viene a sedersi al mio lato.
"Mi devi dire qualcosa?" Sussurra ammiccante.
"Milè, finiscila." Le do una gomitata.
"Come mai non sei in facoltà?" Clemente le chiede pungente.
"Tu come mai sei qua?" Milena contraccambia.
"Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda." Clemente le fa il verso.
"E non ci si impiccia nemmeno dei fatti degli altri." Milena risponde nuovamente.
Milena è alla mia sinistra, Clemente alla mia destra, così questo ping pong di punzecchiamenti infiniti mi sta asfissiando.
"Basta." Urlo contro entrambi.
"Sembra quando litigavamo da bambini e Nina ci divideva." Ride e sorseggia il caffè.
"Sì, mettiamoci a ripensare ai bei tempi di una volta." Mi alzo urlando e faccio per andare via.
"Nina." Mio padre mi ammonisce con la sua aria bonaria.
"Ma la smettete di comportarvi come se non fosse successo niente? Perché tu non lo odi, papà? Come è giusto che sia. Mi ha rovinato la vita." Urlo più forte e delle lacrime mi rigano il volto.
"Andiamo, Nina, non ti sembra di esagerare?" Mia madre prende parola mentre si dondola Matteo su di una gamba. "Quante persone si lasciano? Non siete né i primi e ne gli ultimi."
"Mamma, io..." mi mordo una mano. "Fate come vi pare, tenetevelo pure stretto, io ci rinuncio." Corro nuovamente nella mia stanza, affondo la testa nel cuscino e affogo le lacrime.
Sento la porta aprirsi, mio padre mi raggiunge e resta in silenzio. Si siede sul letto e mi accarezza i capelli.
"Non puoi avercela con lui solo perché vi siete lasciati, Ninù." Mi dice e mi prende tra le sue braccia.
Perché quest uomo mi legge dentro?
Scuoto la testa e prendo a respirare a fatica.
"C'è dell'altro, non è così?" Chiede retorico, papà ha già capito.
Annuisco silenziosa, butto una veloce occhiata intorno come per paura di essere ascoltata da chissà chi, poi riprendo a fatica.
"Matteo è suo figlio." Sussurro e delle lacrime continuano a rigarmi la faccia.
"L'ho sempre saputo, aspettavo solo di sentirlo dire da te." Fa spallucce.
"E come lo sapevi?" Chiedo e mi sento stupida, mio padre conosce e capisce le persone, non lascia nulla al caso, presta attenzione a tutto.
"Conosco la mia Nina." Comincia sorridendo. "E poi so quanto lo hai amato, nonostante tutto, non saresti mai riuscita a stare con un altro."
"E infatti non ho incontrato nessuno a Londra, il mio tempo libero passava in quell'attico da sola, a guardar fuori e a cercare un modo per odiarlo." Tiro su con il naso.
"Però..." esordisce e sembra quasi abbia paura di parlare, come se si aspettasse una mia reazione violenta. "Non ti sembra scorretto non fargli sapere che è papà?"
"Scorretto? Quest uomo è un disastro, io non voglio farlo avvicinare a mio figlio."
"Vostro figlio, Nì." Mio padre lascia andare un sospiro. "Un cattivo fidanzato non è per forza un cattivo padre, avresti dovuto lasciare a lui la scelta di esserci o meno." La saggezza di quest uomo mi disarma, ma non cederò.
"No, papà." Mi alzo di scatto dal letto. "Non ti permettere di dirgli una parola."
Alza le mani in segno di resa e sorride socchiudendo gli occhi, i suoi grossi baffi scuri contornano la bocca.
"Sarai tu a decidere se e quando vorrai." Risponde abbassa le mani. "Lo sai che io parlo solo per il tuo bene."
"Lo so." Mi fiondo tra le sue braccia. "Ma io non voglio avere a che fare con lui, non voglio condividere un figlio, non è un gioco." Sbuffo.
In realtà vorrei tanto essere una famiglia, crescere insieme questo figlio, portarlo al mare con noi, a sentire cantare il suo papà.
Ma questo esiste solo in un mondo utopistico in cui Clemente non è il pezzo di merda che è.

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